Sinistra: «La battaglia possibile»

      di Luciano Canfora (seguito da una nota di db)

VitaAsinistra-biani

     Questo intervento è uscito il 26 agosto sul quotidiano «il manifesto»

Per scegliere come agire conviene partire dalla conoscenza dei dati di fatto. Eccone alcuni, a mio avviso rilevanti:

a) Sta tornando, anche nel cuore di società ricche, la schiavitù; secondo una stima della Cgil in tale condizione si trovano (ma le stime sono riferite a ciò che è visibile, non al sommerso) già 400.000 esseri umani, in larga parte extracomunitari; il “profitto” se ne giova enormemente.

b) Strettamente connesso è il potere incontrastato dei grandi e meno grandi centri mafiosi equamente diffusi nel pianeta. (Con la vittoria della “libertà” a Mosca, anche Mosca è diventato un epicentro mafioso). Le banche riciclano indisturbate il “denaro sporco”, di cui droga, prostituzione, caporalato, ecc. sono l’alimento. Così l’intreccio tra capitale finanziario e malavita si è compiuto. Nella totale passività e complicità dei poteri politici.

c) Il cosiddetto fenomeno migratorio ha carattere strutturale ed epocale. Ogni trovata mirante a interromperlo (respingimenti, interventi nei luoghi di partenza) è risibile. E’ come voler svuotare il mare col mestolo. L’Occidente – fabbricanti di armi sempre pronti a commuoversi, interventi imperiali in Irak, Siria, Libia ecc. — ha creato i disastri, una cui conseguenza è tale migrazione di popoli.

d) La mutazione della Cina in Paese ipercapitalistico a carattere nazionalsocialista ha chiuso il ciclo novecentesco del “socialismo”.

e) La fine del movimento comunista ha comportato anche il declino delle socialdemocrazie.

f) Il meccanismo elettorale pluripartitico (caratteristica e vanto dell’Occidente) è defunto. Ciò grazie a dinamiche liberticide irreversibili: delega dei poteri decisionali a strutture tecniche non elettive, e per di più massiccia introduzione di sistemi elettorali di tipo maggioritario. Il de profundis è stato il formale misconoscimento della volontà espressa dal referendum greco di luglio da parte dello stesso governo che lo aveva indetto. Ciò, per ordine e ricatto di una entità priva di qualunque legittimazione elettorale quale l’Eurogruppo.

g) Il soggetto sociale tradizionale dei partiti di sinistra è, numericamente, in via di estinzione. Mi riferisco all’operaio di fabbrica, o meglio a quella parte che veniva un tempo definita “operai coscienti”. Sono subentrati per un verso la nuova schiavitù, per l’altro un gigantesco ceto medio condannato a un crescente impoverimento, in alcuni Paesi appesantito dalle rigidità della moneta unica.

h) Una formazione politica di sinistra dovrebbe dunque decidere se: (1) scegliere di rappresentare i nuovi diseredati, ovvero (2) puntare, con qualunque alleato, ad andare al governo a qualunque costo per fare una qualunque politica. Da tempo, la ex-sinistra (in Italia, Francia, Germania, ora anche Grecia) ha scelto tale seconda opzione.

i) La sola battaglia possibile in questa situazione è di carattere culturale, il più possibile di massa. Descrivere scientificamente il “capitale” del XXI secolo e smascherare la cosiddetta “democrazia occidentale”; diffondere la consapevolezza della sua vera natura. I luoghi di intervento non sono molti. La grande stampa funziona sulla base di una costante censura del pensiero critico nei confronti dell’Occidente. Ma c’è un grande terreno di lotta culturale, che è la scuola. E’ lì che si può indirizzare una lotta tenace in favore del pensiero critico.

j) Verrà sollevata la questione: ma qual è la classe sociale di cui la sinistra dovrebbe rappresentare gli interessi? Lo sfruttamento non è affatto scomparso, ma è ormai soprattutto sfruttamento del lavoro intellettuale che costituisce la parte essenziale del ciclo produttivo. E persino ai quadri medio/alti — per ora ben pagati – andrebbe fatto capire che anch’essi sono degli sfruttati e che chi li sfrutta è meramente parassitario.

k) Nell’epoca del dominio mondiale del capitale finanziario, “il nemico” è quasi invisibile.

«C’E’ VITA A SINISTRA»: UNA NOTA DI DB

L’intervento di Luciano Canfora è stato pubblicato su «il manifesto» del 26 agosto all’interno del dibattito – sotto il titolo «C’è vita a sinistra» con il logo di Mauro Biani che avete visto in apertura – lì aperto dal 28 luglio. Affermazione perentoria, senza un punto interrogativo come nell’ironico titolo del bel libro (vedi qui: «C’è una vita prima della morte?») di Miguel Benasayag e Riccardo Mazzeo. Però la maggior parte degli interventi – non questo di Canfora che mi pare assai interessante – è a mio avviso roba da zombies, mummie: per i contenuti vecchi, per la quasi totale assenza nel dibattito di persone presenti nei luoghi dello scontro sociale (che pure in Italia esistono e non solo in Val di Susa), per l’autoreferenzialità… Del resto questo è purtroppo il quadro della sinistra oggi, con poche eccezioni: «il manifesto» lo rispecchia. Inoltre io credo che sia sempre una buona regola ricordare che è importante quel che si dice ma soprattutto quel che si fa: così tanto per fare un nome poco mi fido di un Sergio Cofferati, visto quello che fece (e soprattutto non fece) da sindaco di Bologna in tempi recenti. Invece dalle parti de «il manifesto» sembrano cadere ipnotizzati a ogni batter di ciglia di Cofferati e simili. Mi pare invece che questo contributo di Canfora sia un buon punto di partenza per capacità di sintesi ma soprattutto perché guarda al sodo; sono meno pessimista di Canfora e dunque dissento sull’idea che – come lui scrive al punto «i» – la battaglia possa essere solo culturale. Per il resto il suo è un alfabeto “ragionevole”.

Di certo se la sinistra (ma io preferisco dire le sinistre) si crede in vita solo perché discute… stiamo freschi. Nella crisi greca per la credibilità – almeno iniziale – di Syriza più che le parole hanno pesato i gesti concreti (gli ambulatori popolari, le mense, la presenza nella resistenza quotidiana nei posti di lavoro e nei quartieri) e lo stesso mi pare per Podemos in Spagna o per quel che accade in parte dell’America latina. E’ il lavoro sociale e politico che dà senso alla necessità (e all’urgenza) di ragionare su come organizzarsi; il contrario – cioè i politici di professione che discutono “da fuori” e dettano l’agenda – può portare solo nuovi guai. (db)

Redazione
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