Smart working, lavoro agile, diritto alla disconnessione ma …

… in primo luogo salute e sicurezza

Intervento di Unione sindacale italiana – Usi (in occasione dell’incontro del 24 marzo scorso promosso da Rifondazione comunista sullo smart working)

Il lavoro agile o smart working, ha avuto un forte impulso in questo periodo di covid 19, come una delle misure messe in atto per ridurre il fattore di rischio del contagio. Ciò sia nel Pubblico Impiego che nel settore privato, con l’attuale caratteristica di esecuzione delle prestazioni lavorative e professionali, funzionale ad una modalità organizzativa del lavoro ampiamente flessibile, con lo spostamento del luogo fisico dello svolgimento del lavoro salariato, cioè “da casa”, rispetto all’originario luogo della prestazione lavorativa, definita (anche in termini di disposizioni su salute e sicurezza) “luogo di lavoro”.
Tale modalità flessibile, utilizzando strumenti telematici e tecnologicamente idonei al lavoro “da remoto” (computer-p.c., tablet, smartphone…), rischia di spostare in modo sostanziale la questione, dal mero luogo fisico dello svolgimento delle prestazioni di lavoro e professionali dei dipendenti, pubblici o privati, con il mantenimento delle rigidità tipiche del rapporto di lavoro subordinato e della sua codificazione con i contratti di lavoro, anche individuali, verso una modalità che vorrebbe incidere su orari di lavoro, di spazio e ambienti di lavoro, aumento e intensificazione dei carichi di lavoro, andando quindi a modificare l’oggetto e lo scopo del rapporto e contratto, della prestazione oggetto del rapporto di lavoro stesso, rendendo quindi meno differenziati non solo il confine tra vita personale e privata, impegni familiari con le mansioni e le attività lavorative vere e proprie, ma anche con una compressione dei diritti individuali del dipendente, normativi, salariali e con impatto negativo sulla salute e sulla sicurezza di lavoratori e lavoratrici.
Il tutto, con un’accentuazione maggiore delle disparità di trattamento, di genere, dove le lavoratrici, sono ulteriormente penalizzate nella gestione, già difficile in condizioni “normali”, tra responsabilità familiari di madri, mogli, figlie con carichi non frontali di cura e assistenza, con quelle di natura lavorativa e professionale.
Quindi, un tentativo ora mascherato, di MODIFICA IN CONCRETO DELLA NATURA E DELLA MODALITA’ DI SVOLGIMENTO DELLE PRESTAZIONI LAVORATIVE, dal mero luogo fisico allo scopo e oggetto contrattualmente definito dal nostro codice civile del TEMPO DI LAVORO (con la pretesa illegittima padronale, di avere i dipendenti perennemente reperibili e “connessi”, disponibili anche fuori dal normale orario e tempo di lavoro) E DELL’ORARIO DI LAVORO, DELLE STESSE MANSIONI ORIGINARIE per le quali si è assunti o utilizzati, con conseguenze negative anche dal punto di vista salariale, di indennità, di carichi e aumento del lavoro come ritmi reali, di indebolimento nella fruizione di diritti considerati consolidati, nonché per la piena ed efficace tutela della salute, uno degli aspetti meritevoli di tutela di fonte costituzionale, con tutela di fonte europea.
Non è di difficile comprensione, che l’utilizzo, anche prolungato  di strumenti tecnologici, telematici e digitali, ha degli effetti negativi sulla salute di chi lavora, non solo per aspetti relativi alla postura statica durante la prestazione lavorativa  per un certo numero di ore consecutive (ndr non tutti-e applicano le disposizioni sui riposi e pause tecniche già in uso per i video terminalisti, di 10 minuti ogni due ore di pausa e di tutele ora riconosciute anche dal D. LGS. 81 2008), con disturbi muscolo – scheletrici e disagi muscolari, ma anche sotto il profilo psicologico; lavorando “da casa” ma da soli rispetto ad un contesto collettivo lavorativo in un ufficio, si accentuano fenomeni di dipendenza dalle tecnologie, di isolamento, stati di ansia, insonnia, fino al c.d. “burnout”, in contrasto con il diritto-pretesa che ha ogni lavoratrice-lavoratore e come obbligo-dovere di ogni datore di lavoro, di garantire a tutti i prestatori di lavoro l’integrità psico fisica e morale (articolo 2087 del codice civile…del 1942!).
In Italia, abbiamo visto una legislazione parziale, rispetto alle stesse indicazioni dell’Unione Europea (Risoluzione del Parlamento europeo del 21 gennaio 2021, recante raccomandazioni alla Commissione UE sulla proposta di Direttiva sul “diritto alla disconnessione”), attraverso la Legge 81 2017, che è limitata al solo “lavoro agile”. Il legislatore italiano, non ha riconosciuto la disconnessione come un diritto. Inoltre, l’articolo 19 della legge, ha previsto che l’accordo relativo alla modalità di lavoro agile è stipulato per iscritto e disciplina l’esecuzione della prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali. Tale accordo, dovrebbe  individuare i tempi di riposo del lavoratore nonché “le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”.
Quindi, come al solito, un aspetto rilevante e fondamentale è rimesso NON A UNA PREVISIONE LEGISLATIVA CON EFFICACIA ERGA OMNES (leggi e atti aventi forza e valore di legge), ma ad una negoziazione tra le parti, una fonte del diritto pattizia (ndr dove la forza lavoro è la più debole contrattualmente e non ha la parità e capacità negoziale paritaria, rispetto ad altri c.d. negozi giuridici, come la compravendita, criterio falsato e già utilizzato per la prima volta in Italia, come finta parità negoziale tra datore di lavoro e lavoratore-trice, dalla legge 30/2003 e dai decreti attuativi  D. Lgs. 276/2003…).
Senza un intervento legislativo, estendibile a ogni  settore lavorativo, privato o pubblico, che definisca in modo equilibrato la vicenda del controllo del tempo di lavoro e dell’orario di lavoro con il riconoscimento erga omnes, per tutti-e del “diritto alla disconnessione”, quindi di sottrazione di una parte del tempo di chi lavora, alla reperibilità e alla disponibilità di aspettative datoriali, non meritevoli di tutela anche dal nostro ordinamento giuridico, ad essere sempre connessi e “on line” , fuori dell’orario normale di lavoro, senza subire penalizzazioni o discriminazioni, compresi gli effetti negativi (ai fini di progressione di carriera, migliorie salariali o di altra natura), in caso di mancata accettazione  di accordi individuali o collettivi in pejus, che magari diano premi o incentivi di natura economica svincolati dalla normale retribuzione, a coloro che accettino di essere “sempre reperibili o connessi”, quindi subordinando la libertà di rispondere alle comunicazioni di lavoro (come telefonate, e-mail, messaggi) durante i periodi di riposo o di non lavoro, senza che questa situazione possa compromettere la situazione lavorativa del dipendente.
Il c.d. “diritto alla disconnessione”, tra le frontiere dei nuovi diritti e agibilità nel rapporto di lavoro subordinato, non solo non dovrebbe essere confinato al solo smart working o lavoro agile, ma dovrebbe prevedere un intervento legislativo italiano e adeguato alle indicazioni dell’Unione Europea, come riconoscimento di un diritto fondamentale, legato alla disciplina dell’orario e dei tempi, ritmi di lavoro (ndr già disciplinato in applicazione di direttive U.E. dal D. Lgs. 66 2003), intrecciato come fattore di prevenzione dai rischi e pericoli collegati alla tutela della salute e della sicurezza sul-del lavoro (D. Lgs. 81 2008, anch’esso di ratifica di direttive europee in materia). UN LIMITE SUL CONTROLLO DELL’ORARIO DI LAVORO E DELLA DISPONIBILITA’, come assoluta pretesa padronale, ad essere sempre reperibili e disponibili, quindi sul TEMPO E SUI RITMI DI LAVORO e di intensificazione delle prestazioni lavorative, visto che anche il legislatore italiano nella Legge 81 2017 (capo II), pone l’accento sul lavoro agile come “possibilità per il dipendente di prestare la propria opera anche al di fuori dell’azienda, senza vincoli di orario.
La legge sul lavoro agile chiarisce che il lavoratore è tendenzialmente libero di stabilire in autonomia i tempi di lavoro (ma quando mai, in pratica…). L’unico vincolo,  è dato proprio dalla durata massima dell’orario di lavoro, che si deduce per via empirica in 13 ore giornaliere (24 ore – 11 ore di stacco tra la fine della prestazione lavorativa e l’inizio di quella successiva) e nel giorno di riposo settimanale. Raggiunto questo limite, anche il lavoratore “flessibile” ha il diritto di “staccare la spina” e rendersi irreperibile, riprendendo il controllo e la libertà sui tempi di vita e sulla loro gestione. Il confine giuridico è ancora labile, di questi limiti, anche se nei pochi esempi italiani di contrattazione collettiva, analogamente a quanto già riconosciuto dalla legge sul lavoro francese, il c.d.”diritto alla disconnessione” e quindi la pretesa legittima di chi lavora di rendersi irreperibili, è ormai considerato un criterio generale di riferimento per esempio sull’utilizzo di cellulari e altri dispositivi di comunicazione.
In tale ambito, nell’ottica di un rapporto  più equilibrato tra vita lavorativa e vita privata/familiare, la possibilità di effettuare chiamate ai dipendenti, di inviare e mail per motivi di lavoro, è dichiaratamente limitata al solo orario di lavoro e non è concessa nelle restanti ore della giornata, come applicazione in concreto di quei principi fondamentali di correttezza, buona fede e diligenza (disciplinati dal nostro codice civile), che caratterizzano per entrambe le parti del rapporto di lavoro subordinato (datori di lavoro e forza lavoro salariata) i criteri e principi basilari anche della correttezza sul piano delle relazioni sociali, oltre che rispettoso delle raccomandazioni e risoluzioni Europee sopra citate, da applicarsi con disposizioni NORMATIVE (cioè leggi e  atti aventi forza e valore di legge, secondo la nostra Costituzione) e non delegandole alle sole disposizioni di fonte pattizia cioè accordi collettivi o individuali, i quali potrebbero disporre solo clausole e condizioni di miglior favore.
Anche su tutti questi aspetti, i rapporti di forza e la doverosa attività di informazione, diffusione del “sapere operaio” e della formazione continua, sono fattori ed elementi fondamentali per non cedere alle aspettative datoriali-padronali e al controllo sul TEMPO DI LAVORO e del TEMPO DI VITA, fino a creare le condizioni per il superamento totale dello stato di cose presenti, ad opera di lavoratori e lavoratrici in forma indipendente, autorganizzata: l’emancipazione sarà opera di lavoratrici e lavoratori…o non sarà.
Redazione
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Un commento

  • Da anni sono fautore del diritto alla disconnessione, indipendentemente dal cosiddetto lavoro agile. Per i lavori concettuali, il fatto di poter leggere da casa tramite cellulare, PC, o altri device il traffico di e-mail e messaggi è di sicuro una opportunità nei casi di necessità od urgenza che raramente hanno a che fare con la quotidianità. Se al sabato o domenica ricevo sulla e-mail o sulle chat di gruppo aziendale, informazioni o richieste dal mio capo o dal datore di lavoro, è solo perché lui/lei ha individuato nel suo fine settimana i tempi per riorganizzare le idee o per programmare il lavoro della settimana successiva, ma io dipendente non ho alcun obbligo di leggerle o, avendole lette, di rispondere o adeguarmi (faccio sempre presente che nei casi di reale URGENZA tutti si muovono indipendentemente dagli orari ma l’urgenza non è un capriccio o frutto di cattiva programmazione del lavoro ma dovuta a cause imponderabili ed è differente dall’importanza. Ci sono cose importantissime che possono essere fatte con estrema tranquillità dopo il rientro in orario lavorativo). Un problema lasciato totalmente a carico del lavoratore è la sicurezza del posto di lavoro: sedie ergonomiche, adeguata illuminazione, posizionamento rispetto alle fonti di luce esterna, per chiare solo i più elementari ma rischiosi. Come si diceva nell’articolo, questi elementari diritti devono essere codificati da normative e non lasciati alla singola contrattazione.

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