Soldi
Nella puntata 190 di «Ci manca(va) un Venerdì» il noto astrofilosofo Fabrizio Melodia (tasche vuote) si aggira tra inferno e paradiso
«Essere il denaro non è facile. Iniziamo con l’identità; esisto e vengo usato per corrompere, governare, costruire e distruggere in tutti i Paesi del mondo, però in fondo, io, il denaro, da dove vengo? Chi sono? Sono George Washington da 1 dollaro? Un generale argentino da 100 pesos? Suor Giovanna Ines dei nuovi biglietti da 200 messicani? Un re [spagnolo]? Mah… Quale re? La cosa triste è che io, il denaro, vengo maneggiato sempre dagli altri, da gente capace di rubare e ammazzare per tenermi, e questo non posso controllarlo» risponde nientemeno che il Denaro in persona alla caparbia Mafalda, “comunista” e pacifista.
Eppure il compianto fumettista argentino Quino, papà letterario di Mafalfda, tra il serio e il faceto non fa altro che ribadire una grandiosa e chiarissima verità: il denaro può soffrire di alienazione.
C’è chi lo esalta e chi lo riempie d’infamie. Basti pensare a Paolo di Tarso, che in una nota lettera al discepolo Timoteo ebbe modo di predicare: «L’attaccamento al denaro infatti è la radice di tutti i mali; per il suo sfrenato desiderio alcuni hanno deviato dalla fede e si sono da se stessi tormentati con molti dolori».
Mentre il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer ebbe modo di affermare che «Il solo danaro è il bene assoluto, perché esso non provvede unicamente ad un solo bisogno in concreto ma al bisogno in generale in abstracto».
Il denaro è la base di ogni società fondata sul capitale. Sembra persino che sia la base di ogni società possibile. Non può esistere una società dove non vi sia produzione di qualcosa con il denaro a scambio di valore tra gli individui?
Quindi non tanto sul dialogo, sulla cooperazione, sulla distribuzione, ma sul dare un valore a qualcosa che si ha e che altri desiderano: ecco il vero fondamento di ogni società umana.
Il denaro è dunque un Dio concreto ma astratto, presente e assente allo stesso tempo e sotto il medesimo rispetto, volendo parafrasare il filosofo greco Aristotele?
“La vita degli uomini è cosa miserevole, come vento di tempesta l’attraversa l’incontenibile avidità di guadagno: oh, se contro di essa si fossero uniti tutti i medici per curare un male che è più grave della follia perché viene benedetto, mentre è una malattia e produce del male” affermava Ippocrate, fondatore della medicina.
Pur sempre una malattia, il denaro non è messo in discussione. Non c’è cura? Sarà possibile una società in cui evenga distribuito in modo equo e dove tutti abbiano di che potersi sfamare? O la disuguaglianza è proprio nella natura stessa del denaro?
In conclusione – poco conclusiva, lo so – lascio la parola all’economista John M. Keynes, il quale ebbe modo di considerare che lo psicanalista servirebbe magari alle persone, non tanto ai soldi: «L’amore per il denaro come possesso, e distinto dall’amore per il denaro come mezzo per godere i piaceri della vita, sarà riconosciuto per quello che è: una passione morbosa, un po’ ripugnante, una di quelle propensioni a metà criminali e metà patologiche che di solito si consegnano con un brivido allo specialista di malattie mentali».
POST SCRIPTUM (per db) : tutto questo per dirti che dovresti ridarmi quei 10 euri che ti prestai nel 2009.