«Solidarity is not crime»
Report di Domenico Stimolo sul convegno a Catania del 15 e 16 dicembre
I processi di emigrazione, solidarietà e accoglienza, drammaticamente in corso in questa fase storica in maniera sempre più grande in Italia e in Europa, sono stati i riferimenti di fondo che hanno caratterizzato l’importante iniziativa internazionale «Solidarity is not crime» (svoltasi a Catania il 15 e 16 dicembre nella sala conferenze del Centro Fideistico Le Cimiere) cioè «Per un’Europa solidale e di pace, fondata sull’accoglienza e la libertà di circolazione», organizzata da PRC, European Left (Sinistra europea) e Trasform Europe.
Nella città siciliana è ubicata la sede nazionale di Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera.
Tre tematiche sono state al centro delle due intense giornate caratterizzate da molteplici interventi, confronto e dibattito:
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Da Frontex agli accordi illegali di rimpatrio. La repressione è una scelta sbagliata.
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Le soluzioni della Sinistra Europea: Welfare diffuso, canali di ingresso legali per migranti e richiedenti asilo, strategia comune europea.
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Una Road Map Euromediterranea. Alleanza tra forze politiche progressiste, attivisti, giornalisti legali e ONG, per la salvaguardia delle persone e dei diritti umani.
Nella giornata di venerdì i lavori si sono aperti con l’introduzione di STEFANO GALIENI, responsabile di “Movimenti, Pace e Immigrazione” del PRC. Ha evidenziato gli aspetti organizzativi delle due giornate, l’importante significato politico dell’iniziativa, la costruzione dell’Europa sull’idea di muro, di fortezza, con tutte le tragedie in atto, di spese enormi finalizzate alla “sicurezza” (71 miliardi di euro in dieci anni), scelte che non possono essere accettate dalla Sinistra Europea.
L’incontro catanese non può restare “una cattedrale nel deserto”- e la presentazione di MAITE MOLA, vicepresidente della SE/Pce Spagna – che sottoline la rilevanza compositiva della Sinistra Europea (rappresentante 37 partiti) la positività della solidarietà, il crimine rappresentato dalla guerra e dal traffico degli esseri umani, i rifugiati prodotti dai conflitti e dallo sfruttamento dei popoli, la capacità di indicare progettualità di soluzioni e non solo denunce.
Il ruolo di moderatore/trice è stato svolto da ANNA MIKKOLA, GL Migrazione della SE/ Alleanza di sinistra – Finlandia.
Il primo intervento, articolato e adeguato, è stato di NANCY PORSIA, giornalista freelance, specializzata sulle questioni che riguardano il Medio Oriente e i Paesi arabi, con l’esperienza diretta acquisita “sul campo” poiché da 5 anni vive lì e da 3 in Libia. In particolare ha toccato gli elementi di fondo che caratterizzano l’odierna situazione libica. Un Paese che dopo l’intervento armato degli occidentali (a partire dalla Francia) vive una situazione politico-sociale catastrofica. Ha evidenziato che nei 20 anni precedenti la Libia è stata un vero “ammortizzatore sociale” per l’Africa, assorbendo molti migranti provenienti in particolare dalle aree del centro-Africa e la gran parte di questi non pensavano di attraversare il Mediterraneo. Oggi la Libia, dato il drammatico vuoto di potere, è stata consegnata alle fazioni in contrapposizione tra loro, alla criminalità e alla mafia. E’ pur vero che i luoghi di detenzione esistevano già negli anni finali del potere di Gheddafi però i migranti – dato che esistevano regole – nell’aspettare il passaggio per la traversata del Mediterraneo erano liberi di uscire dai campi. Oggi ai 27 campi ufficiali si aggiungono un numero consistente di ulteriori campi detentivi, con circa 3-400 presenze per singola unità: i migranti sono di fatto incarcerati, senza cibo e cellulare. Le milizie locali hanno aperto luoghi di detenzione irregolari, come avvenuto in Turchia dopo l’accordo con l’Europa. Mentre in Italia la solidarietà è stata trasformata in un “affare commerciale” dell’accoglienza, in Libia è in atto un vero e proprio business con i profughi-migranti, violentati nei campi, fra l’altro, da un gran numero di ragazzini aggregati nelle milizie. Il recente accordo del governo italiano con i libici, data l’assenza dell’Europa, ha portato il nostro Paese a fare il “lavoro sporco”. Il blocco navale ha fatto aumentare esponenzialmente i campi di detenzione in Libia: decine di migliaia di profughi sono rientrati nei Paesi di provenienza senza nessuna assistenza.
Successivamente è intervenuta (via Skipe) ELLY SCHLEIN, eurodeputata eletta con il Pd, oggi con Possibile, vicepresidente della delegazione alla commissione parlamentare di stabilizzazione e di associazione UE-Albania. Ha messo in risalto l’ossessione politica che caratterizza i Paesi europei per bloccare il flusso dei migranti. Mentre in Europa teoricamente vige la libertà di movimento dei cittadini che appartengono ai 26 Paesi dell’Area Schengen, con l’abolizione dei controlli alle persone alle frontiere, con perversa contraddizione ideologica e politica viene imposto un comportamento totalmente divergente a chi proviene da altre zone. Vengono stanziate rilevantissime risorse economiche per costruire nuovi muri e sbarramenti invece di una vera attiva cooperazione sociale ed economica. E’ indispensabile ristabilire un principio fondamentale e certo sul diritto d’asilo: in questo quadro assume un’importanza rilevante l’approvazione della proposta di modificare l’Accordo di Dublino sull’asilo da parte del Parlamento Europeo lo scorso 16 novembre, per ripartire i richiedenti asilo nei diversi Paesi dell’Unione europea (non più dunque nel primo Paese di accesso). La riforma dovrà adesso essere approvata dal Consiglio europeo.
Il terzo intervento della prima sessione è stato effettuato da MINI MINAWI, ex responsabile dell’esercito di liberazione sudanese ed ex presidente dell’Autorità regionale del Darfur Transitorio, attuale leader del Movimento SLM-SRF del Darfur. Ha portato i saluti del Movimento di Liberazione: tracciando il percorso storico delle persecuzioni subite dalla popolazione della Regione, ha espresso la necessità della solidarietà nei riguardi degli oppressi. Chi è costretto a lasciare la propria terra ha bisogno di attivo sostegno mentre vanno disprezzati i criminali che costringono le persone a diventare rifugiati politici. Date le condizioni non sostenibili sono pronte ad affrontare i rischi più grandi. I profughi africani rappresentano la più grande tragedia di questo secolo. Nel commettere le atrocità quotidianamente il regime del Sudan utilizza milizie tribali: 2 milioni di persone sono state costrette a sfollare, in 500.000 hanno trovato rifugio nei Paesi confinanti. Il Movimento di Liberazione del Sudan agisce per trovare le soluzioni adeguate finalizzate a raggiungere un processo di pace. Assieme alle vittime si chiede all’Europa di non sostenere i regimi dittatoriali.
La sessione pomeridiana è stata aperta dall’intervento di BERTA CAO, consigliere locale su Migrazione e Rifugio Madrid. La premessa è stata dedicata alla situazione dei rifugiati nel mondo con attenzione specifica al quadro europeo. Quindi ha sviluppato un ampio ragionamento sull’assunzione di un maggiore ruolo da parte delle città, anche in termini di autonomia, viste le competenze acquisite nella quotidianità, per la gestione dei processi globali, comprese le questioni che riguardano i migranti. A questo riguardo è importante consolidare il percorso avviato nei confronti dell’ONU, strada già seguita dal sindaco di New York; un percorso similare sta iniziando nella Comunità europea.
Quindi l’intervento di ELEONORA FIORENZA – via Skipe – eurodeputata del Gruppo GUE/NGL (Sinistra Unitaria Europea/Sinistra Verde Nordica). Ha evidenziato i consistenti passi in avanti definiti recentemente dal Parlamento Europeo per modificare l’accordo di Dublino sulla ripartizione dei richiedenti asilo. Si è aperto un importantissimo snodo: o assumere posizioni innovative sul piano globale per la ricollocazione certa e concordata dei profughi nei Paesi della Comunità europea o consolidare gli indirizzi fortemente negativi che caratterizzano gli accordi fatti con la Turchia e la Libia. Si è soffermata quindi sui grandi rischi in atto in Europa con il riemergere – caratterizzato da forme “istituzionali” violente – di eventi e atti che richiamano il nazifascismo. E’ necessario superare la differenza tra richiedenti asilo, riconosciuti dalle convenzioni, e migranti economici e/o ambientali.
Sono seguite le valutazioni di MAITE MOLA, vicepresidente della SE/Pce Spagna. In maniera efficace ha sottolineato il grave rischio di indifferenza e odio che attraversa l’Europa nei riguardi dei migranti, con un tendenza rilevante che subdolamente si è insinuata in parti importanti delle popolazioni, tesa a considerarli nemici. Bisogna incentivare la cultura internazionalista. Non esistono differenze tra migranti politici o di classe. In questo contesto il soggetto più debole è la donna, soprapposta a continue violenze. Nella UE è cresciuta l’ipocrisia, si fanno affari con le persone, come se fossero merci. In Europa si è determinata una situazione disastrosa: cinquecentomila persone migranti sono ufficialmente considerate apolidi, non hanno riconosciuta nessuna cittadinanza.
In coda alle due sessioni largo spazio è stato dedicato al dibattito. Fra i vari interventi da segnalare le valutazioni di un rifugiato del Sudan. Con energia e grande sensibilità umana ha rilevato l’esigenza fondamentale del riconoscimento dei Diritti Umani in tutti i luoghi: le organizzazioni internazionali e l’ONU sono nate proprio per perseguire questo obiettivo. In Africa c’è un forte problema “razziale”: è la principale causa – assieme alle ragioni economiche – delle emigrazioni collegato con le dittature. Milioni di persone attraversano il deserto nel tentativo di arrivare in Europa. Un ruolo importante per ridimensionare i processi di emigrazione è rappresentato dalla necessità di estirpare le dittature, nel rispettare i diritti umani, nell’eliminare la schiavitù che tocca vertici molto grandi.
Nella giornata del 16 dicembre, i lavori sono stati aperti dal moderatore THIAGO QUEIMADO SILVA, GL Migrazione della SE/SKP– Finlandia. Nel puntualizzare come l’attuale fase sia contrassegnata dalla criminalizzazione dei migranti e dei poveri, dalla forte crescita della demonizzazione del “nemico” e del razzismo, ha posto l’attenzione sui compiti del convegno: l’obiettivo è come migliorare le loro condizioni sociali, combattere per la cultura della vita.
L’intervento di GIOVANNELLA SCIFO – di Mediterranean Hope, Casa della Cultura (Scicli-Ragusa) della FCEI, la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia – ha esposto l’esperienza iniziata dall’associazione fin dal 2014. Sul piano operativo fu assunta la decisione di avviare un progetto di solidarietà diretta, umanitario e sociale, indirizzato all’accoglienza e all’integrazione di profughi che manifestano la scelta di restare in Italia. Il progetto è finanziato dall’8 per mille della Chiesa evangelista valdese. Inizialmente il piano aveva come riferimento Lampedusa, dopo la strage del 3 ottobre 2013 con l’annegamento di 386 migranti a pochi kilometri dall’isola. Nel dicembre 2014 venne inaugurata la Casa della Cultura a Scicli. Si offre ospitalità a 40 migranti, in particolare minori non accompagnati, giovani mamme, donne incinte. Si promuovono altresì programmi sociali, interculturali e di integrazione. L’obiettivo prioritario è rivolto a creare relazioni culturali e sociali per fare partecipare i minori alle iniziative che si svolgono nel paese.
E’ seguita la relazione di ELENA MAZZONI di Fair Watch, rilevando che l’associazione si occupa dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile, con particolare attenzione agli accordi che regolano il commercio internazionale. Nell’impianto progettuale uno specifico impegno è rivolto a non fare violare i diritti dei cittadini, derivanti da impegni commerciali assunti. L’associazione ha assunto un ruolo di interlocuzione diretta con la specifica Commissione europea. E’ molto difficile fare mutare gli “equilibri” e le pressioni di interesse economico-finanziario che pressano costantemente i rapporti di scambio. Nel 2016 è stato presentato un Rapporto sul legame fra politiche economiche europee e Diritti Umani che vengono conseguentemente infranti.
Quindi è seguita l’esposizione di FULVIO VASSALLO PALEOLOGO dell’Associazione Diritti e Frontiere. Un intervento molto articolato, di grande efficacia. Nella lunga premessa ha evidenziato il cambio drastico messo in atto in questo ultimo anno nelle politiche di accoglienza effettuato dall’Italia e dalla Comunità Europea. Nel nostro Paese l’asse portante è stato rappresentato dal duro attacco sferrato contro le ONG, accusate esplicitamente di collusione, proveniente dalla gran parte delle forze politiche e da alcune Procure dell’isola (cosa ancor più significativa, considerato che Catania è sede nazionale di Frontex). Fino a ora però nulla di concreto è emerso come imputazioni specifiche cioè in fatti, eventi e uomini coinvolti. Il recente accordo italo-libico, basato ad attuare in maniera intransigente le politiche di respingimento, ha enormemente aggravato la condizione dei profughi-migranti. Centinaia di loro, approdati recentemente a Pozzallo, hanno raccontato le torture subite dai libici dopo essere stati portati indietro nei campi di detenzione. Fra l’altro, per giusta “coerenza”, nel processo che si aprirà per la strage del’11 ottobre 2013 nel Mar Mediterraneo – che determinò la morte di 268 siriani, una sessantina i bambini – sono stati chiamati solo due militari di medio livello della Guardia Costiera. Dall’accordo di febbraio (il “Piano Minniti”) le responsabilità italiane sono diventate prevalenti rispetto a quelle europee. L’obiettivo è rivolto a stanziare esclusivamente soldi per contrastare l’immigrazione, in questa maniera si sostengono gli innumerevoli lager presenti in Libia. Fra l’altro è stata incrementata l’attenzione operativa nei confronti dei migranti considerati irregolari: in Italia sono presenti in 200.000 senza permesso di soggiorno che dovrebbero essere “portati indietro”. Nel corso di quest’anno, 20 mila persone sono state portate via dall’Italia. Gli egiziani che arrivano in Sicilia vengono immediatamente espulsi da Catania e riportati al Cairo. Ci sono anche quelli rimasti senza lavoro, quindi senza permesso di soggiorno. Il governo italiano si fa forte degli accordi fatti con i cosiddetti “sindaci” libici, ma chi sono questi sul piano democratico? Si parla ufficialmente di Libia come se fosse un’entità statale unica: la realtà invece è nettamente divergente. Inoltre la Guardia costiera libica copre un arco di soli 100 Km. Si vuole fare un campo profughi definito “protetto” nel Niger. C’è di fatto una violazione totale della Convenzione del mare e di tutte le altre convenzioni internazionali. Le responsabilità europee sono altissime: i Paesi del Gruppo di Visegrad hanno ribadito che dall’Italia non prenderanno nessuna persona.
E’ seguito l’intervento di FLORE MORAND YOVANOVICH ( via Skipe), giornalista e scrittrice. Per impegni sopravvenuti non ho avuto maniera di seguire l’ultima ora circa del convegno.
Una nota finale debita: durante le due giornate dell’importante avvenimento, era presente – specie venerdì – una significativa rappresentanza di profughi mentre la partecipazione di catanesi è stata complessivamente scarna. Evidentemente sono mancate le sinergie di adeguato coinvolgimento con la composita platea cittadina, non piccola, di associazioni e strutture impegnate sul fronte dell’antirazzismo e della solidarietà ai migranti. Un’ulteriore dimostrazione di come sia ormai molto difficile costruire e praticare la cultura dell’unitarietà. Peccato… per chi ne ha reale e impellente necessità.