«Sono morto come un vietcong»: la Sardegna dei veleni

La recensione di Daniela Pia al libro di Giulia Spada e le riflessioni di Elena Camino sulla Sardegna dei miitari e dei veleni

«Sono morto come un vietcong»: questo il titolo del breve romanzo-denuncia di Giulia Spada, per le edizioni Sensibili alle foglie.

Scenari di guerra quelli che si svelano lentamente, attraverso la vita delle persone intente a preparare una focaccia al pomodoro che profuma di sole.

Donne sorprese mentre lavano i panni agli uomini del posto o ai militari, con quelle divise piene di una polvere strana. Oppure scenari raccontati attraverso gli occhi di un ragazzino che si spegne piano come una ciminiera silenziosa. 

Uomini e donne che attribuiscono alla terra “malata” le colpe di un male oscuro, una condanna per non si sa quali colpe, mentre intorno fiorisce la Base militare che promette lavoro e prosperità.

Che la Sardegna sia sempre stata terra di conquista lo testimonia in modo inequivocabile la sua storia. Fra i conquistatori più rapaci e tossici si annoverano le numerose  basi militari presenti nel territorio. Quella del Salto di Quirra vanta sicuramente un nefasto primato: il Pisq – «Poligono missilistico sperimentale Interforze salto di Quirra» – è il più grande poligono d’Europa.

«Settemiladuecento ettari di terreno, settantacinquemila ettari […] di zone di restrizione dello spazio aereo e della navigazione. Ecco la geografia della morte. Un’ampia fetta di territorio che abbraccia tutti i tipi di paesaggio. L’aspra rocciosità della montagna granitica, la dolcezza delle valli incurvate, l’estensione trasparente del mare. I carri armati equipaggiati di tutto punto, missili compresi. Come potrebbe essere altrimenti visto che la nostra terra è calcata da american boots».

Situata in una zona poco popolata, questa riserva militare ha una percentuale spaventosa di leucemie e alterazioni genetiche legate alle esercitazioni e all’interramento di sostanze pericolosissime per l’uomo e per la natura. È dal 2001 che viene denunciata – e documentata (*) – quella che è conosciuta ormai con il nome di «Sindrome di Quirra».

Ne parla in modo doloroso l’autrice, Giulia Spada, attraverso la voce narrante del padre, professore di una scuola media in un paesino che potrebbe orbitare fra Perdasdefogu, Escalaplano, San Vito.

Il professore riflette a lungo sul perpetrarsi di morti continue fra gli studenti e i loro familiari. Quando poi viene in possesso di una serie di documenti lasciatigli in eredità dal maestro del paese – morto di leucemia – al fine di testimoniare le innumerevoli morti per «mancanza di globuli rossi» che, nei paesi vicini al Poligono, si sgranano come i semi di un rosario, sa che dovrà raccoglierne in pieno il testimone, sino alle estreme conseguenze.

Bella figura quella del professore, piena di umanità, attento alle storie dei suoi ex studenti, soprattutto di quelli che sono finiti intrappolati nella Base militare – dove il lavoro si scambia inconsapevolmente con la salute – con le evidenze di morte a denunciare l’incompatibilità fra le attività della popolazione e le continue attività di guerra che nel Poligono si svolgono.

Con orrore, il professore scopre che la sua scuola è fiorita sopra fusti di napalm interrato e non riesce a rassegnarsi all’omertà che circonda la malattia diffusa.

«Le donne del paese preparano caffè con napalm e acqua. Le famiglie impastano il pane con farina e acqua e napalm. I pastori hanno le ossa fluorescenti, gli agnelli hanno due teste, le persone muoiono di leucemia perché respirano uranio e calpestano napalm». 

Ma da dove è arrivato il napalm nell’Isola? Quest’arma chimica che tanta morte ha seminato in Vietnam…

«Abbiamo un problema con il materiale, signore […]».

«Parli sergente non perda tempo».

«Gli ultimi fusti arrivati si sono rivelati fragili a un controllo […]».

«Ebbene questo implica che la tenuta non è sicura è che i ragazzi potrebbero essere in pericolo se li maneggiano senza protezione alcuna, insomma il napalm potrebbe fuoriuscire e non sappiamo cosa possa succedere».

«Ho capito sergente, che alternative abbiamo? […]».

«Ci sarebbe una soluzione signore».

«Quale sergente?».

«Beh, potremmo preparare una spedizione segreta e farli interrare nel nostro Poligono più lontano».

«Quello sull’Isola» dissero i due.

«Molto bene sergente, dia disposizioni affinchè la spedizione abbia priorità immediata. Che un aereo sia pronto in venti minuti, seguirò le operazioni personalmente. Comunichi lei le nostre decisioni e si preoccupi che il contenuto della telefonata e della nostra conversazione smetta di esistere dal momento in cui mette giù la cornetta».

Tante, troppe le evidenze di una morte che passeggia fra la gente poggiandosi sulle loro spalle, sino a ghermirle affondando nelle vene la leucemia. Incontrovertibili le omissioni, i tentativi di mettere a tacere le responsabilità delle gerarchie militari.

«I dottori della base fingevano sorpresa. Mangiano bene qui da noi, dicevano. Fanno attività fisica, due o tre ore almeno, tutte le mattine […]».

E a ogni “che strano” preannunciato da questi servi della morte, un assegno veniva staccato in tutta fretta e penne svolazzanti sparavano numeri con zeri a ripetizione […].Un figlio morto, tre zeri. Due figli morti, sei zeri. E chi li aveva mai visti tutti quei soldi!».

Trovare qualcuno che parli, dentro la Base, è ciò che si propone allora il professore: cerca il numero di un suo vecchio studente ma il telefono rimarrà muto per lungo tempo. Si incontreranno poi dove nessuno dei due avrebbe mai voluto essere, nel luogo in cui si trovano coloro che hanno il tempo contingentato.

La storia non si conclude: ha trovato in Giulia e in tanti altri/e la volontà di denunciare perché non accada più. Questo piccolo libro prezioso che si lascia leggere facilmente è un libro che merita di essere diffuso anche nelle scuole; i giovani cui tanto teneva il professore possono essere coloro che, prendendo in mano il loro destino, si faranno difensori della loro terra e della salute anche per le generazioni che verranno. 

Per farlo però bisogna conoscere, è necessario essere consapevoli che la Sardegna è una «graziosa pattumiera per mercanti di cannoni»: lo denunciava anche un approfondito reportage di Radio France – citando il “Comitato scienziate/i contro la guerra” (del 2005) – trasmesso lo scorso febbraio, nel quale si definisce lo scempio compiuto nell’isola «Il male invisibile sempre più visibile, la presenza militare come tumore sociale che genera tumori reali».

(*) in “bottega” sono anni che riprendiamo queste denunce.

La Sardegna come il Vietnam

di Elena Camino (**)

Un tema interessante e complesso

Mi è capitato di recente di scambiare idee e documenti con alcuni amici e amiche sulla ‘questione Sardegna’: di cosa si tratta, almeno per quanto riguarda la nostra conversazione? C’era l’ipotesi di dare una mano a un giovane, laureato in Scienze della Natura, per svolgere una ricerca sulla situazione socio-ambientale dell’isola conseguente alla presenza dell’apparato militare. Pensavamo di poter offrire qualche spunto utile a delineare il contesto generale in cui nel tempo si è sviluppata e consolidata l’occupazione militare (italiana e internazionale), e offrire piste di ricerca e proposte operative per una trasformazione delle attività, dei soggetti, delle finalità d’uso di questo straordinario territorio in una prospettiva nonviolenta.

Disponevamo di una vasta documentazione sull’uso dei poligoni di tiro, le associate restrizioni all’uso del territorio, le conseguenze sanitarie e ambientali delle esercitazioni militari; avevamo informazioni sulle produzioni belliche nella sede distaccata della fabbrica tedesca RWM. Molto interessante era anche la documentazione di iniziative messe in campo nel settore agricolo, artigianale ed educativo come proposte alternative, nonviolente, orientate a una trasformazione sociale, culturale e ambientale dell’isola. 

Il tema è apparso ben presto troppo complesso da affrontare nell’ambito di una tesi, e da parte di una persona sola.  Quindi l’ipotesi di sviluppare una ricerca sulla militarizzazione della Sardegna e sulle prospettive di riconversione in chiave nonviolenta, è stato – almeno per ora – rimandato.  Ma resta elevato l’interesse, e chissà che in futuro non si riesca a costituire un gruppo di ricerca che possa approfondire la questione, che – pur essendo geograficamente collocata nell’isola – ha tuttavia implicazioni globali e riveste un forte significato simbolico.

Una lunga storia tragica e negata

Ai problemi legati alla militarizzazione della Sardegna ha dato spesso voce il Centro Studi Sereno Regis, che ha ospitato nel sito numerose testimonianze negli anni, e ha di recente ri-pubblicato – in due puntate – un’indagine a firma di Walter Falgio, giornalista professionista e ricercatore in Storia Moderna e Contemporanea, ricca di segnalazioni  di letture:

Sul sito del CSSR si trovano anche informazioni sul ‘caso RWM’, l’industria controllata dalla tedesca Rheinmetall Defence, che produce armamenti in territorio sardo, e la cui attività è oggetto di controversie tra diversi soggetti: i comuni, la regione e il Comitato per la Riconversione.

Sono ormai numerosissimi i documenti, le denunce, le commissioni di inchiesta che denunciano l’insostenibile carico sociale, economico, sanitario e ambientale esercitato – direttamente o indirettamente – dalla militarizzazione della Sardegna.  Sono inoltre molti i libri – spesso studi di caso e testimonianze personali – ambientati nello scenario della situazione ‘militare’ dell’isola: romanzi, testimonianze, pubblicazioni di indagini. Ne cito solo alcuni:

  • Perdas de fogu, di Massimo Carlotto, Edizioni e/o, 2008.
  • Servitù militari in Sardegna. Il caso Teulada, di Guido Floris e Angelo Ledda, Edizioni La collina, 2010.
  • Veleni in paradiso. La sindrome di Quirra e le polveri di morte che minacciano la Sardegna, di Ottavio Pirelli, Castelvecchi, 2011.
  • Silenzio di piombo. Poligoni e veleni in Sardegna, di Mariangela Maturi, Round Robin Editrice, 2016.

Due realtà?

20 marzo 2019.  Due militari sardi, in servizio a Cagliari e Teulada, si sono ammalati a causa dell’esposizione all’uranio impoverito nel corso delle missioni di pace all’estero e delle esercitazioni nei poligoni di Quirra e Teulada. E per questo devono essere risarciti dallo Stato. Lo afferma una sentenza del TAR di Cagliari al quale i due soldati si erano rivolti per avere giustizia in quando le commissioni mediche militari avevano sempre negato il rapporto diretto tra esposizione alle polveri della guerra causate dai proiettili all’uranio impoverito e l’insorgenza delle loro patologie tumorali.

14 giugno 2020. Firmato il protocollo d’intesa tra l’esercito e il Comune. Aperti al pubblico alcuni degli arenili dell’area militare. Quest’anno le spiagge di s’Ortixeddu e una parte della spiaggia Is Arenas Biancas, entrambe comprese all’interno del Poligono militare di Teulada, saranno accessibili alla balneazione. Le attività di addestramento militare lasceranno temporaneamente spazio ai turisti.

Convivono attualmente due realtà: quella secondo la quale la presenza militare in Sardegna (e più in generale in Italia) è necessaria alla sicurezza e agli equilibri geopolitici, e l’uso del territorio per attività di guerra (fabbricazione di armi, esercitazioni di soldati, test per saggiare l’efficacia di nuovi sistemi d’arma) è indispensabile per il buon funzionamento e la modernizzazione del sistema di difesa nazionale. In questa realtà si offrono modeste compensazioni locali, qualche posto di lavoro al servizio dell’apparato militare, e si può persino fare qualche concessione al turismo.

L’altra realtà contesta questa forma di schiavitù, imposta da decenni alla popolazione e a tutto l’ambiente di un’isola meravigliosa, in cui le testimonianze di antiche civilizzazioni si integrano con le bellezze naturali.  Questa realtà rifiuta che l’unica opzione per vivere sia quella di fabbricare armi, e propone attività che valorizzino gli ecosistemi naturali e sostengano la ripresa di tradizioni agricole e artigiane in una prospettiva di sostenibilità.

Al di là delle propensioni politiche e delle preferenze sulle diverse idee di società, di progresso, di sviluppo, c’è un aspetto cruciale che continua ad essere nascosto, taciuto, minimizzato, negato: le malattie e la morte che continuano a colpire donne, uomini, animali, creature viventi.  Questo aspetto, al di là delle evidenze faticosamente messe in luce nonostante i segreti e le bugie dell’apparato militare e del sistema di potere con esso connivente, dovrebbe costituire un imperativo morale per la classe dirigente e per la società civile italiana a porre fine a questa tragedia. 

Sono morto come un vietcong

Sono morto come un vietcong è un viaggio nella Sardegna contemporanea militarizzata e colonizzata da eserciti di tutto il mondo, che scelgono i suoi Poligoni per testare le armi utilizzate nei vari teatri di guerra della Terra. La voce narrante è il padre dell’autrice, Giulia Spada, un professore di scuola media in un piccolo centro nel sud dell’Isola, che racconta ciò che accade intorno a lui: giovani e anziani che muoiono di leucemie e tumori, animali che nascono deformi, e l’attività della base militare vicina al paese, che offre ai giovani un’opportunità di lavoro avvelenata. Attraverso le parole del padre l’autrice racconta della loro magnifica relazione di affetto, e insieme comunica il messaggio morale che il padre le ha trasmesso per prendere coscienza degli orrori della guerra: non solo quella lontana, ma quella che colpisce qui, nelle case del paese, dove si muore di leucemie o tumori provocati dalla predisposizione, dall’accettazione, e poi dalla preparazione alla guerra. Chi rimane dunque sono orfani, orfane, vedovi e vedove di guerra, uccisi dagli stessi veleni con cui furono irrorate le foreste del Vietnam.

La realtà della Sardegna di oggi – 2020 – è una realtà di guerra. Subisce la guerra e nel frattempo la alimenta.  Ma nel libro non si parla di soldati. Nello scorrere le pagine i numeri, le statistiche, le denunce sono intrecciate al racconto delle vite di una realtà di paese, dove tutti si conoscono. Emerge la tenerezza della relazione tra un papà e una figlia, la cura per gli oggetti recuperati, come un vecchio libro; l’empatia per il dolore di una madre che ha saputo della leucemia di un figlio; il rispetto per persone anziane segnate dal lavoro. Emerge un mondo fatto di riconoscimento, attenzione, ascolto, condivisione.  E di eventi, esperienze, fatti, preoccupazioni, dolore.

«Hanno inventato un gioco strano questi giovani arbustelli. Fanno a gara a chi getta più in alto dei mucchietti di terra particolari. Al lancio sembra una terra normale ma, raggiunta una certa altezza, qualcosa di luccicante si stacca dal resto e sembra polvere di stelle che rimane a galla in aria per pochissimi istanti prima di ricadere. […] Dove la collina fa un salto verso l’alto si intravedono le recinzioni e il filo spinato della zona militare. Un fumo denso e grigio sale in volute geometriche in aria. Sembra metallico anche quello perché a certi riflessi scintilla come composto da frantumi di specchio che si rifrangono al sole».

«I dossier erano divisi per anno. […] Poligoni di tiro e materie pericolose. […] Dapprima una descrizione dei territori sotto servitù militare, poi un dettaglio sull’estensione della base e di tutte le aree circostanti sotto il suo controllo. Curioso, c’è anche un terreno che confina giusto appunto con la scuola. Si, la scuola. C’era una volta un gruppo di ragazzini che aveva trovato un cartello arrugginito nel parcheggio del retro. Era appeso con quattro catenine a una staccionata scrostata che a malapena si teneva in piedi. “Zona militare, limite invalicabile” la scritta. […] Lo avevamo appeso sulla porta dell’aula, ed era diventato un gioco tra noi tutti».

Questo libro merita di essere letto, condiviso, disseminato nelle scuole.

(**) ripreso da serenoregis.org

 

Daniela Pia
Sarda sono, fatta di pagine e di penna. Insegno e imparo. Cammino all' alba, in campagna, in compagnia di cani randagi. Ho superato le cinquanta primavere. Veglio e ora, come diceva Pavese :"In sostanza chiedo un letargo, un anestetico, la certezza di essere ben nascosto. Non chiedo la pace nel mondo, chiedo la mia".

10 commenti

  • alberto campedelli

    Io vivo a Correggio RE e ho eletto la Sardegna come mia seconda patria. Quando ho letto il tuo articolo mi sono messo a piangere calde lacrime di disperazione perchè a mio parere non ci sono soluzioni a portata di mano. Occorrerebbe fare un grande lavoro per rendere pubblica questa cosa orrenda: radio, giornali, tv, cinema, volantini e manifesti, perchè di questa cosa non gliene freganiente a nessuno, copreso lauti pagamenti sotto forma di tangenti agli industriali, ai politici e ai giornalisti per ottenerne il silenzio. é giunta l’ora di mobilitarci e io mi rendo disponibile nella mia regione (Emilia Romagna) a fare un fracasso tremendo. Voi intanto cominciate a pensare un testo per un volantino-manifesto da distribuire e da affliggere. Un caro saluto da Alberto Campedelli

  • Patrizia Sterpetti

    Noi donne di WILPF Italia stiamo per avviare un piccolo progetto in occasione del ventennale della Risoluzione 1325 creando uno scambio di pratiche di contrasto della guerra -e dei suoi apparati – tra donne yemenite e donne sarde.
    Questo libro, la recensione, l’articolo ci coinvolgono profondamente.
    Patrizia Sterpetti
    Presidente Wilpf Italia

    • vergogna la camino! è il trionfo delle ‘spiritose invenzioni’, della vigliaccheria della fake:new inventata e attribuita ad altri…

      ‘«Abbiamo un problema con il materiale, signore […] »: classico esempio di fraude, quando non si sa cosa dire o scrivere e si inventa uno scambio di comodo, presentato come testo verbatim: la camino era presente? ha registrato? ha il coraggio – ma è sicuo che non ne ha, per questo mente – di affermare l’autenticità di questo dialogo?

      povera bottega, annegata in tanto fango ‘militante’!

      bruno vitale, ginevra – autore di articoli, libri, seminari, un intervento orale alle nazioni unite contro ogni utilizzazione militare o civile dell’uranio impoverito

      • mi sono sbagliato (per la rabbia, che è cattiva consigliera!) scuse alla elena camino, rimprovero invece alla daniele pia che ripete senza accorgersene una idiozia del libro che presenta

        ma, per le due, è chiaro che sono incapaci di una lettura critica dei testi: le parti lese ripetono: danni e cancri ‘dovuti all’azione dell’uranio impoverito’. ma nessun testo giuridico citato lo afferma, e sarebbe prezoso che sia integralmente citato; ogni testo è citato non con le sue parole, ma con le parole delle due participanti alla bottega, e quando si va alle sentenze – mai citate integralmente – si ha l’impressione che il testo sia piuttosto del tipo ‘a causa del servizio prestato in zona di guerra’, ma perchè nè il riccio, nè la pia, nè la camino hanno il coraggio di pubblicare, almeno una volta, UN TESTO GIURIDICO INTEGRALE? probabilmente perchè questi testi non osano affermare quello che si vorrebbe. ‘PER CAUSA DELLA PRESENZA DI TRACCE DI URANIO IMPOVERITO’ – ma perchè nasconderlo e quindi inventare che c’è una accettazione scientifica, giuridica, istituzionale del nesso causale trapresenza e uranio che in realtà non sembra esistere

        bruno vitale, fisico, ginevra

        • Daniele Barbieri

          Credo che Bruno Vitale abbia equivocato: Daniela Pia (ed Elena Camino) parlano di un romanzo. Di sentenze e perizie sull’uranio impoverito altre/i hanno parlato in “bottega”… e ovviamente continueremo a farlo.

  • NON E’ UN ‘COMMENTO DUPLICATO’!

    caro daniele, il fatto che il libro sia stato publicato come un romanzo, è certamente “un fatto” – ma una rilettura del vecchio pirandello sarà utile:

    “- Il capocomico: Veniamo al fatto, veniamo al fatto, signori miei! Queste son discussioni!
    – Il padre: Ecco, sissignore! Ma un fatto è come un sacco: vuoto, non si regge. Perché si
    regga, bisogna prima farci entrar dentro la ragione e i sentimenti che lo han determinato”
    (Pirandello: Sei personaggi in cerca di autore)

    è un romanzo, per evitare un processo; è uno strumento di accusa, servito in modo elogiastico dalla pia e dalla camino, in una confusa lotta contro militarizzazione del paese, dipendenza dalla nato, inquinamento del territorio, … ; e, nella tecnica di oggi della ‘politica’, è un cavallo di troia per infiltrarci dentro falsità (frittate che assorbono il napalm dal sottosuolo, terreno che scintilla, …) e fake:news o almeno notizie non controllate – dachi scrive – e non controllabili – da chi legge

    l’associazione: intervista acritica del piccin al riccio, che afferma – senza dare un briciolo di possibilità di controllo – che ci sono stati 372 morti tra i militari italiani ‘per colpa della esposizione all’uranio impoverito’; presentazione altrettanto acritica della pia del ‘romanzo’ della spada; ripresentazione dello scenario sardo da parte della camino che ‘afferma’ che la giustizia sarda ha ‘statuito’ in due casi che dei cancri erano di ‘responsabilità uranio impoverito’, ma poi non dà (anche quando si pizzica sul suo ‘afferma’) alcuna prova della sua affermazione, …

    tutto questo pemette di situare il ‘fatto romanzo’ nel ” la ragione e i sentimenti che lo han determinato”: l’attacco alla situazione sarda – ma allora perchè mentire? perchè ridicolizzarsi con le frittate al napalm? perchè ‘affermare’ quando poi si è incapaci – e non si cerca più nemmeno – di controllare le pseudo-informazioni che si diffondono? e la banale esigenza politica: non affermate! controllate prima di esplodere, e fate in modo che ogni lettore possa controllare quello che scrivete!

    il problema dell’uranio impoverito è tragico, insieme a tutti gli altri creati dallo stato di guerra diffuso in cui ormai viviamo; ogni informazione ben controllata e controllabile può essere preziosa, ogni informazione stupidamente ‘affermata’ può essere pericolosa!

    pensate ai militari italiani in sardegna, MA PENSATE ANCHE AI CIVILI E MILITARI IN IRAK E ZONE ADIACENTI , IN VIETNAM-LAOS-CAMBOGIA che subiscono ancora i residui napalm-defolianti argent orange diossina-uranio impoverito e chi sa cosa altro

    fate che la bottega non diventi un centro di sfogo acritico personale, ma di analisi critica – documentabile e documentata – a partire della quale sia possibile – sani e sicuri e onestamente agguerriti – agire

    bruno vitale, fisico, ginevra (daniele darà il mio e-mail agli amici-compagni che desiderano ampliare il dibattito e cercano documentazione)

  • francesco Giordano

    tutti sanno delle morti per uranio impoverito o le centinaia di mercenari ammalati e poi morti sono invenzione? i bambini ed animali deformati sono invenzione?

    I criminali che hanno usato ed usano uranio impoverito hanno potere e soldi per non far conoscewre o deformare la realtà che tutti conoscono.
    Tutti quelli che vogliono conoscre.

  • Questa era una recensione, di un romanzo ancorato ad una realtà incontrovertibile e non “lievissimamente” ma in modo tremendo. In rete il signor Vitale, fisico come lui si definisce, troverà ogni aggancio scientifico, fornito anche qui in Bottega, come facciamo sempre, basta cercare.
    “Quel che chiamiamo fiction è come una tela di ragno, attaccata forse lievissimamente, ma pur sempre attaccata alla vita per tutti i suoi quattro angoli.”
    VIRGINIA WOOLF

  • Gentilissima Daniela,
    grazie per questa recensione: non conoscevo il libro e mi sembra meriti letture e riflessioni…
    Come posso contattarla per chiederle alcune informazioni a riguardo ma anche sulla scuola?
    Non trovo una pagina “Contatti”…

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