Speranze di cambio sociale in Costarica

di David Lifodi

All’inizio di aprile si sono svolte delle elezioni presidenziali che rimarranno storiche per il Costarica, sia per le modalità che hanno portato alla vittoria Luís Guillermo Solís sia perché, per la prima volta, il paese sarà governato da un presidente di non stretta osservanza neoliberista.

Si è trattato di elezioni inusuali, innanzitutto perché l’avversario di Solís, Johnny Araya, esponente del conservatore Partido de Liberación Nacional (Pnl) ed ex sindaco della capitale San José, partito come favorito, si è virtualmente ritirato dalla contesa un mese esatto prima del ballottaggio, sfiduciato dai sondaggi che lo indicavano come sicuro perdente. Di fatto, Araya ha cessato di fare propaganda elettorale (la Costituzione costaricense vieta il ritiro formale della candidatura), tanto che lo stesso Solís ha dichiarato che le tocó luchar con un fantasma: con oltre il 77% delle preferenze, il candidato del Partido Acción Ciudadana (Pac) è divenuto facilmente il nuovo presidente del paese. Gli analisti politici e i media hanno dipinto Solís in maniera assai diversa tra loro:  qualcuno lo ha definito come centrista, altri di centro sinistra, sottolineando in ogni caso che l’esito delle presidenziali costaricensi non sia stato particolarmente gradito negli Stati Uniti. Di certo, il nuovo presidente ha mostrato un’attenzione alle tematiche sociali come finora in Costarica non era mai accaduto, a partire dalla nomina dei ministri fino al compromiso ético che la sua stessa squadra di governo ha sottoscritto. Queste elezioni presidenziali rappresentavano per il Costarica un’opportunità per sconfiggere l’ideologia neoliberista, ma in molti sottolineavano che ciò sarebbe stato possibile solo grazie all’unità di tutte le forze progressiste. Per battere la continuità conservatrice del Partido de Liberación Nacional, però, Solís non sembrava la persona più indicata: in molti avevano riposto le proprie speranze sul Frente Amplio, il cui esponente principale, José María Villalta, un giovane avvocato di 36 anni, puntava direttamente al ballottaggio con Araya. Impegnato con i movimenti sociali e le cause ambientaliste, Villalta veniva accreditato da tutti i sondaggi come il più probabile sfidante di Araya per la presidenza, mentre il Partido Acción Ciudadana di Solís, che pure rappresentava la seconda forza del paese all’Assemblea legislativa, esprimeva anch’esso un’opposizione al Pnl anche se in chiave assai moderata e più blanda. L’impegno a lottare contro la povertà endemica che affligge il paese, la democrazia partecipativa, la garanzia di debellare la corruzione, la difesa dell’istruzione pubblica e dei beni comuni, le campagne per la tutela dell’ambiente e la sovranità alimentare rappresentavano i punti principali del programma presidenziale di Villalta tra i più graditi dai costaricensi, che ne erano venuti a conoscenza grazie alla coraggiosa campagna del Frente quartiere per quartiere: il partito, infatti, non disponeva dei potenti mezzi di comunicazione del Pnl e del Pac, ma godeva di un forte appoggio tra i gruppi vicini alla pastorale sociale (due deputati frenteamplistas sono sacerdoti per anni impegnati a fianco dei contadini), i campesinos, i giovani e le comunità delle province più povere del paese, tra cui Guanacaste e Limón. E invece, in un paese dove dal 2010 la disoccupazione e le disuguaglianze sociali sono cresciute costantemente, al primo turno delle presidenziali, che si svolse a febbraio, il Frente Amplio, pur ottenendo un discreto risultato, si era fermato al 17% dei consensi, lasciando così spazio ai due partiti tradizionali, Pac (30,6%) e Pnl (29,6%), che si sarebbero giocati il ballottaggio all’inizio di aprile. Il Frente e Villalta, che comunque hanno ottenuto un risultato storico, con ben 9 loro rappresentanti eletti all’Assemblea legislativa, avevano dovuto, inoltre, fare i conti, con una feroce campagna di disinformazione mediatica nei loro confronti (molti lavoratori sono stati minacciati affinché non votassero per il Frente), mentre non c’era grande fiducia nel Partido Acción Ciudadana, definito troppo frettolosamente come partito di sinistra quando in realtà, al suo interno, convivono in maniera un po’ contraddittoria correnti di centrodestra e socialdemocratiche. Al contrario, in un contesto di astensionismo crescente (al primo turno il 31,7% degli elettori non era andato a votare, al ballottaggio addirittura il 43%), il successo di Luís Guillermo Solís ha avuto il merito di rompere il bipartitismo Pln-Unidad Socialcristiana, e i suoi primi mesi di presidenza sembrano lasciar ben sperare per un paese dove lo sfruttamento dei lavoratori, l’assenza dei diritti ed un preoccupante conservatorismo avevano fatto fin troppa strada. Solís ha messo subito in pratica lo slogan della sua campagna elettorale, Con Costa Rica non se juega: storico di professione e docente di Scienze politiche all’Universidad de Costa Rica, il presidente ha fatto della trasparenza e della lotta alla corruzione la sua bandiera ed ha presentato un programma di assistenza sociale per debellare la povertà estrema del paese. Inoltre, Luís Guillermo Solís non sembra essere intenzionato a firmare altri trattati capestro di libero commercio come hanno fatto i suoi due predecessori alla presidenza del paese, entrambi provenienti dalle file del Partido de Liberación Nacional, Óscar Arias (2006-2010) e Laura Chinchilla (2010-2014): quest’ultima ha sottoscritto l’adesione del paese all’Alleanza del Pacifico. Al tempo stesso, lascia qualche dubbio la carriera politica di Solís, che fino al 2005 aveva militato nel Pnl per poi uscirne a causa di gravi irregolarità interne ed unirsi al Pac nel 2009. L’attuale presidente è stato capo di gabinetto sotto la prima presidenza di Arias (nel 1986) e direttore della politica estera nel governo di Jose María Figueres Olsen, anch’esso del Pnl, dal 1994 al 1998. Infine, va sottolineato anche il declino dell’estrema destra, incarnata dal Movimiento Libertario (non tragga in inganno il nome), passato da 5 a 2 deputati.

Per il Costarica (fin qui) neoliberista il successo di Luís Guillermo Solís, el historiador que promete el cambio, rappresenta comunque un primo cambiamento importante, in attesa della crescita del Frente Amplio che potrebbe condurre ad un cambiamento forte e costituire un esempio per tutto il Centroamerica sul modello del Partido Libertad y Refundación (Libre) honduregno.

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