Spie e giornalisti. Le ragioni dei silenzi… tutti i silenzi

shahzad

Ayid Saleem Shahzad in missione investigativa.

di Karim Metref

Sulla rivista «Internazionale» (950 25/30 maggio) è stato ripreso un ormai vecchio articolo del giornalista statunitense Dexter Filkins, vincitore del premio Pulizer 2009. L’articolo di Filkins, una lunga inchiesta sull’uccisione di Sayed Saleem Shahzad, un giornalista pakistano specializzato nelle questioni di sicurezza e terrorismo, era uscito sul «New Yorker» nel mese di settembre 2011 sotto il titoloTHE JOURNALIST AND THE SPIES.

Un lungo lavoro d’inchiesta con testimonianze di colleghi, parenti e amici della vittima. Oltre a fonti dei servizi segreti pakistani e statunitensi. Scopriamo in Saleem Shahzad un giornalista freelance che navigava in acque poco sicure, in quella zona grigia dove è difficile distinguere la spia dal criminale e dal terrorista.

Shahzad era andato varie volte nel cuore del Waziristan pakistano, la terra dei talebani e ha intervistato vari esponenti di spicco della guerriglia dei mullah e della così detta rete Al Qaeda. Ha scritto molti pezzi molto imbarazzanti per i servizi segreti e per l’esercito pakistano. Ma forse l’ha fatto, come si capisce dall’articolo di Filkins, perché era appoggiato da esponenti dello stesso esercito pakistano o di qualche servizio di intelligence straniero. Fatto sta che uno di questi suoi articoli, probabilmente l’ultimo sull’attacco terroristico a una base della marina pachistana, gli è costato la vita.

«At other times, like many Pakistani journalists, he seemed to spare the intelligence services from the most damning details in his notebooks.» – scrive Fiilkins. Cioè: “Altre volte, come molti giornalisti pakistani, sembrava sorvolare volutamente sui dettagli più compromettenti per i servizi segreti”.

Notare il tono sottilmente paternalista con il quale il premio Pulizer sottolinea la sottomissione dei giornalisti del Paese del terzo mondo nei confronti delle loro autorità. Sottomissione che sicuramente contrasta con la grande libertà dei giornalisti del primo mondo.

Nel suo articolo, Filkins parla, usando spesso informazioni raccolte dallo stesso Shahzad, di collusioni gravi tra l’ISI, i servizi segreti pachistani, e i gruppi armati di matrice islamo-jihadista. Molti dei quali secondo lui sarebbero stati addirittura creati di sana pianta da questi servizi. Cosa nota ai più. Tra questi molti, vi sono anche i Talebani. Anche questa è una cosa nota ai più.

La cosa nota a molta gente ma che il signor Filkins non dice mai è che tante volte (troppe) i gruppi armati creati, finanziati, e addestrati dai “pakis” lo erano stati in subappalto per interessi dei servizi britannici e statunitensi.

La cosa più imbarazzante detta nei confronti della Cia è che, forse qualche volta, usa informazioni ottenute con la tortura. Tortura ovviamente praticata da servizi di Paesi barbari (amici ma barbari comunque) come il Pakistan e l’Egitto.

Ora l’ottimo articolo del signor Filkins, che racconta la sorte riservata a Chahzad dopo il suo pezzo incriminato,  ci spiega benissimo perché molti giornalisti pachistani non osano mettere in imbarazzo i servizi segreti del loro Paese. Ma non ci dice niente su perché i loro colleghi appartenenti ai Paesi anglosassoni osano ancora meno con i servizi dello Zio Sam e quelli della sua graziosissima maestà britannica.


Karim Metref
Sono nato sul fianco nord della catena del Giurgiura, nel nord dell’Algeria.

30 anni di vita spesi a cercare di affermare una identità culturale (quella della maggioranza minorizzata dei berberi in Nord Africa) mi ha portato a non capire più chi sono. E mi va benissimo.

A 30 anni ho mollato le mie montagne per sbarcare a Rapallo in Liguria. Passare dalla montagna al mare fu un grande spaesamento. Attraversare il mediterraneo da sud verso nord invece no.

Lavoro (quando ci riesco), passeggio tanto, leggo tanto, cerco di scrivere. Mi impiccio di tutto. Sopra tutto di ciò che non mi riguarda e/o che non capisco bene.

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