Sporchi

di Mark Adin

L’ultimo gentile epiteto rivolto dall’Incantabìss alla Sinistra non merita certo di essere commentato. Trattasi di: “sporchi”. Meglio precisare, in quanto oggi potrebbe già non essere più l’ultimo.

Voglio invece ringraziarlo per avermi, con ciò, riportato alla mente un episodio che appartiene alla storia e all’onore delle persone che hanno lottato fino in fondo per le loro idee. Una storia che ci riguarda, perché ogni atto di libertà dovrebbe appartenerci.

La lotta degli irlandesi per la liberazione dal dominio britannico fu a volte erroneamente scambiata per una guerra di religione dal momento che la parte oppressa era, in maggioranza, cattolica e quella tirannica, per lo più, protestante.

Bobby Sands era un giovane apprendista capo-cantiere. Provò sulla sua pelle il clima di violenza che si era instaurato in Belfast. Dovette trasferirsi con la famiglia dal quartiere in cui abitava, e in seguito fu costretto ad abbandonare il praticantato per le minacce continue dei filo-britannici, i cosiddetti “lealisti”. Aderì all’ala Provisional dell’IRA – Irish Republican Army – l’esercito di liberazione che era braccio armato della resistenza. Vi era una lunga tradizione di lotta nell’Ulster, la parte ancora inglese dell’Isola, che traeva i suoi primi passi dall’inizio del secolo.

Bobby, all’età di diciotto anni, venne arrestato in seguito ai riots e passò quattro anni in carcere senza processo. Venne rilasciato e proseguì nella sua attività politica. Un anno più tardi venne nuovamente arrestato, l’auto su cui viaggiava con altri tre compagni era stata fermata e su di essa era stata rinvenuta una pistola. Processato per questo e condannato a quattordici anni di reclusione, fu internato a Long Kesh, famigerata prigione ribattezzata Maze, labirinto.

Il detenuto scriveva di giornalismo e poesia, su pezzi di carta igienica che faceva uscire con inventivi stratagemmi. E’ straordinario constatare come la poesia possa accompagnare violenza e privazione subite, assumendo connotazioni ristoratrici. Nonostante fosse stato rinchiuso nel braccio più tristemente noto per asprezza di trattamento, organizzò insieme ai suoi compagni la protesta volta a ottenere lo status di prigioniero politico.

Le azioni culminarono nella “dirty protest”,  ovvero protesta – appunto – dello sporco.

Anche per reagire alla violenza delle guardie, che nell’accompagnare alle docce i detenuti li picchiavano duramente durante il tragitto, smisero di lavarsi.

Il rifiuto fece il paio con quello, più estremo, a utilizzare i servizi. I detenuti orinavano sotto la porta delle celle e spalmavano i muri delle stesse con le proprie feci.

Ma la cosa non fu sufficiente. Dopo quattro difficilissimi anni, non ottenendo risultato, il gruppo di detenuti irlandesi diede vita al primo sciopero della fame. Digiunarono in sette per cinquantatre giorni, finchè uno di loro versò in fin di vita. Il governo britannico fece qualche promessa e l’agitazione finì. Era il 1980.

Bobby Sands, nel frattempo, era stato nominato Officer Commanding dei “politici” di Maze, e il primo marzo 1981 decise di promuovere un altro sciopero della fame. Gli impegni inglesi, infatti, non erano stati mantenuti. Cambiò la strategia, organizzando lo sciopero scaglionando l’inizio del digiuno su gruppi diversi di partecipanti, in modo tale che gli aggravamenti – o le morti – degli scioperanti avvenissero in tempi diversi e successivi, tanto da essere seguititi costantemente dall’opinione pubblica. Campagne internazionali di denuncia e di sostegno furono messe in atto in diversi Paesi.

Mentre era in corso la protesta, un membro del parlamento inglese passò a miglior vita e fu necessario sostituirlo. Venne candidato Sands, che vinse per qualche centinaio di voti, ma il governo britannico promulgò una legge che, di fatto, ne rendeva invalida l’elezione.

Bobby Sands, dopo sessantasei giorni di sciopero della fame, morì.

Uscì cadavere da Maze. Al corteo funebre fecero ala centomila persone.

Successivamente, altri sei militanti reclusi perirono allo stesso modo.

Non sono più riuscito a dimenticare – ma neppure l’ho mai desiderato – la foto di quei muri sporchi di poveri escrementi, dei quali pareva giungere l’odore acre e pervasivo. Ancora oggi quei muri sono per me il simbolo di una rivolta capace di ogni azione possibile, pur di reagire alla violenza, di una ribellione che può arrivare alla più estrema delle conseguenze, pur di far valere la propria istanza, umana e politica, di liberazione.

Ecco, signor Presidente Proprietario del Partito dell’Amore, perché il suo insulto mi fa sorridere.

In qualche modo, nonostante la sua proverbiale ignoranza della Storia, questa volta l’associare alla Sinistra l’aggettivo “sporco” ha in sé un elemento di verità.

Se faccio riferimento a quei muri, alla dirty protest, – e siccome anche il suo inglese è carente, mi pregio tradurre: “protesta sporca”- se faccio riferimento al consapevole atto di non provvedere alla propria igiene personale pur di difendere la libertà, non posso che darle ragione.

Accetto e rivendico, in relazione a quanto sopra, l’aggettivazione di Sporco.

In fin dei conti, a differenza sua, l’aggettivo che ella ritiene di attribuirmi, ha solo una S in più di quello che molte italiane hanno ritenuto di attribuire a lei.

Un saluto molto ma molto distinto.

Intenda: distinto da lei.

VELOCISSIMA PUNTUALIZZAZIONE SUI NOMI

Dove l’ottimo Mark Adin scrive di un “signor Presidente Proprietario del Partito dell’Amore” devo precisare che su codesto blog abbiamo l’abitudine (giusta? sbagliata? il dibattito è aperto) a chiamarlo “signor P2-1816” indicandolo cioè con la sua qualifica più interessante: quella di iscritto a un’associazione massonica segreta che voleva rovesciare l’ordinamento costituzionale in Italia. (db)

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