Stati Uniti d’America cioè carceropoli

Il problema è molto più grande della polizia razzista; il cancro è la folle “guerra contro le droghe”

di James Gierach. A seguire una nota di Enrico Fletzer.

Cosa spinge un agente di polizia bianco di Minneapolis a pensare che potrebbe inchiodare al pavimento con il ginocchio sul collo per otto minuti un arrestato nero – ammanettato, sottomesso, sospettato di aver passato una banconota contraffatta di 20 dollari – con il sostegno dei suoi tre colleghi, mentre il fermato ripeteva implorando di non riuscire a respirare?

Cosa potrebbe provocare sulla verde terra di Dio la percezione di un agente di polizia del giusto e dello sbagliato, della gestione dell’ordine accettabile e inaccettabile tanto da deviare in tal modo dallo scopo legittimo di mantenere l’ordine nel 21° secolo?

Che tipo di addestramento di polizia o che tipo di politica pubblica potrebbe essere talmente indifferente rispetto alla saliente e opprimente questione del razzismo del 21° secolo?

Che è successo alla bella America se quattro agenti di polizia si permettono in cooperativa l’abuso e l’uccisione di un altro essere umano anche solamente con la compiacenza mortificante e nessuno dei quattro rapidamente liberi George Floyd dal soffocante ginocchio sul suo collo? Otto minuti di agonia, gli ultimi tre quando George giaceva incosciente e completamente inerme.

Che razza di politica pubblica ha trasformato la società ststunitense in una contorsione irriconoscibile della sua passata fiera statura? Il Paese il cui tappetino recitava una volta “Benvenuto” diretto a persone di ogni razza, credo, colore, sesso e nazione di origine?

Che tipo di intolleranza, che tipo di impazienza é stato in grado di trasformare l’America nel corso di solamente mezzo secolo da “Paese dei Liberi” alla «principale prigione del mondo» con oltre 2 milioni e duecentomila persone dietro le sbarre? Più imprigionati di ogni altra nazione sulla Terra, in termini di grandezza.

Che malaccorta politica di gestione della polizia e missione persa ha incoraggiato e reso possibile la militarizzazione dell’azione della polizia a livello locale?Movimentando un surplus di nuovi veicoli militari e armi nell’arsenale dei distretti della polizia locale?

Che razza di politica pubblica ha talmente messo in pericolo gli Americani che l’attuale leader a minacciato di usare le sue forze militari contro i cittadini?

Quale politica pubblica esterna agli Stati Uniti minaccia gli Stati Uniti e altre nazioni del mondo con pari corruzione, intolleranza, incarcerazione di massa, violenza infinita ed erosione dei diritti umani e della decenza umana?

Dove sono i nostri leader? 

Nessuno di loro può riconoscere la causa di questo cancro? Nessuno di loro può discernere la minaccia centrale sulla quale sono oggi intessute la salute pubblica, la sicurezza pubblica e le crisi della morale che si stringono intorno al collo di ogni cittadino?

Gli Stati Uniti d’America stanno sperimentando la tempesta perfetta: una pandemia di tre mesi e un lockdown che preme in maniera crescente a partire dall’isolamento, dalla disoccupazione e dalla disperazione. E ora un altro omicidio di polizia di un uomo nero arrestato da poliziotti bianchi per nessuna buona ragione. Con un bullo insensibile per presidente. E, cosa ancora più importante, la peggiore politica pubblica conosciuta nel corso della storia. 

Cos’é questa politica che fa deragliare il nostro spirito, i cuori e i cervelli? E’ la guerra mondiale alle droghe.

Una nota di Enrico Fletzer di ENCOD (Coalizione europea per politiche giuste ed efficaci sulle droghe)

James E. Gierach è un ex dirigente della squadra omicidi della polizia di Chicago e per molti anni dirigente della Leap, ovvero i tutori dell’ordine contro il proibizionismo. Ha partecipato a Vienna agli incontri dell’ONU sulle droghe. Leap, cioè Law Enforcement Against Prohibition, è un’associazione che raggruppa poliziotti, guardie carcerarie e giudici di tutto il mondo. Fra loro l’ex questore di Muenster Hubert Wimber, l’ex dirigente della narcotici britannica Neil Woods. Per non parlare di Annie Machon, ex agente dei Servizi britannici, che di recente è stata ospite del Parlamento italiano in occasione della Million Marijuana March di Roma.

Il messaggio che Gierach ripete, ogni volta che può, è chiaro. Alla base della violenza istituzionale c’é la stigmatizzazione di persone collegabili (o così si sospetta) a certe sostanze. E’ questo che ha trasformato gli USA in un Paese con milioni di carcerati che, per inciso, hanno perso il diritto al voto. C’è una lunga storia politica connessa alle droghe: il proibizionismo sull’alcool venne “inserito” nel movimento per il diritto di voto alle donne come ricordava Sigmund Freud in un celebre passaggio del suo seminale L’avvenire di una illusione (1927) con un riferimento molto esplicito a quella che molti definiscono «la malattia americana».

Gierach vive in una Chicago tornata, a quasi un secolo di distanza dal periodo di Al Capone, a essere il teatro di numerosi ed efferati omicidi commessi nel contesto proibizionista. Come tanti suoi concittadini si trova a leggere i soliti articoli sulle sparatorie che funestano la città. Nel tran tran mediatico si accorge di un articolo del Sun Times, scritto da John Fountain, che si domanda: «Come mai non riusciamo a fermare gli omicidi?». Come molte persone piazzate nelle posizioni importanti, il signor Fountain sceglie di ignorare l’elefante nell’armadio costituito dal proibizionismo. Per far cessare gli omicidi – gli risponde Gierach – il problema non è votare o pregare ma fermare la war on drugs, la madre di tutti i guai del sistema poliziesco americano.

UN LINK UTILE:  https://www.wired.it/attualita/politica/2020/05/28/minneapolis-george-floyd-polizia-immunita/

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