Stefania Noce, morire di femminicidio a 24 anni

27 dicembre 2011, Licodia Eubea

di Silvia Palmas Aledda (*)

Stefania Noce, studentessa e femminista, giovane militante di sinistra, da sempre in prima linea per i diritti delle donne e morta di femminicidio nel 2011 – a soli 24 anni – la mattina del 27 dicembre a Licodia Eubea, insieme al nonno Paolo Miano che tentò invano di difenderla dai colpi mortali dell’ex fidanzato.
Stefania lo aveva lasciato. Allora Loris era entrato nel garage e aveva manomesso l’autovettura della mamma di Stefania, togliendo i bulloni alle ruote e disattivando l’impianto frenante. Poi si era appostato con una balestra pronta al tiro in un edificio abbandonato dirimpetto all’abitazione. E quando la mamma di Stefania si è recata al commissariato per denunciarlo, è entrato in casa e ha accoltellato Stefania e il nonno che ha tentato di difenderla, ha ferito anche la nonna e poi è scappato. Amava Stefania più della sua stessa vita, diceva.
Per i tre efferati crimini, l’assassino reo confesso è stato condannato in primo grado all’ergastolo. Nelle motivazioni della sentenza il reato viene configurato in maniera diretta come femminicidio: è la prima volta che accade in Italia.
Stefania, in questa bellissima foto, viene ripresa durante la manifestazione del 13 febbraio 2011 di «Se non ora quando?» e tiene sollevato, con orgoglio, un cartello con la scritta «Non sono in vendita».
Scriveva Stefania: «Queste righe sono per quelle donne che non hanno ancora smesso di lottare. Per chi crede che c’è ancora altro da cambiare, che le conquiste non siano ancora sufficienti, ma le dedico soprattutto a chi NON ci crede. A quelle che si sono arrese e a quelle convinte di potersi accontentare. A coloro i quali pensano ancora che il “femminismo” sia l’estremo opposto del “maschilismo”: non risulta da nessuna parte che quest’ultimo sia mai stato un movimento culturale, né, tanto meno, una forma di emancipazione! Cominciando con le battaglie inglesi delle suffragette del primo Novecento e passando per gli anni ’60 e ’70, epoca dei “femminismi”, abbiamo conquistato con le unghie e con i denti molti diritti civili che ci hanno permesso di passare da una condizione di eterne “minorenni” sotto tutela a una forma di autodeterminazione sempre più definita. Abbiamo ottenuto di votare e, solo molto dopo, di avere alcune rappresentanze nelle cariche governative; siamo state tutelate dapprima come “lavoratrici madri” e, solo dopo, riconosciute come cittadini. E mentre gli altri parlavano di diritto alla vita, di “lavori morali” e di denatalità, abbiamo invocato il diritto a decidere della nostra sessualità dei nostri corpi.
Abbiamo denunciato qualsiasi forma di “patriarcato”, le sue leggi, le sue immagini. Pensavamo di aver finito. Ma non è finita qui.
Abbiamo grandi debiti con le donne che ci hanno preceduto.
Il corpo delle donne, ad esempio, in quanto materno, è ancora alieni iuris per tutte le questioni cosiddette bioetiche (vedi ultimo referendum) che vorrebbero normarlo sulla base di una pretesa fondata sulla contrapposizione tra creatrice e creatura, come se fosse possibile garantire un ordine sensato alla generazione umana prescindendo dal desiderio materno. Di questa mostruosità giuridica sono poi antecedenti arcaici la trasmissione obbligatoria del cognome paterno, la perdurante violabilità del corpo femminile nell’immaginario e nella pratica sociale di molti uomini e, infine, quella cosa apparentemente ineffabile che è la lingua con cui parliamo, quel tradimento linguistico che ogni donna registra tutte le volte che cento donne e un ragazzo sono, per esempio, andati al mare. Tutto, molto spesso, inizia nell’educazione giovanile in cui è facile rilevare la disuguaglianza tra bambino e bambina: diversi i giochi, la partecipazione ai lavori casalinghi, le ore permesse fuori casa. Tutto viene fatto per condizionare le ragazze all’interno e i ragazzi all’esterno.
Pensiamo poi ai problemi sul lavoro e dunque ai datori che temono le assenze, i congedi per maternità, le malattie di figli e congiunti vari, cosicché le donne spesso scelgono un impiego a tempo parziale, penalizzando la propria carriera.
Un altro problema, spesso dimenticato, è quello delle violenze (specie in famiglia). Malgrado i risultati ottenuti, ancora nel 2005, una donna violentata “avrà avuto le sue colpe”, “se l’è cercata” oppure non può appellarsi a nessun diritto perché legata da vincolo matrimoniale al suo carnefice. Inoltre, la società fa passare pubblicità sessiste o che incitano allo stupro; pornografie e immagini che banalizzano le violenze alle donne.
Per non parlare di quanto il patriarcato resti ancora profondamente radicato nella sfera pubblica, nella forma stessa dello Stato.
Uno Stato si racconta attraverso le sue leggi, attraverso i suoi luoghi simbolici e di potere. Il nostro Stato racconta quasi di soli uomini e non racconta dunque la verità. Da nessuna parte viene nominata la presenza femminile come necessaria e questo probabilmente è l’effetto di una falsa buona idea: le donne e gli uomini sono uguali, per cui è perfettamente indifferente che a governare sia un uomo o una donna. Ecco il perché di un’eclatante assenza delle donne nei luoghi di potere.
Ci siamo fatte imbrogliare ancora. Ma può un Paese di libere donne e uomini liberi essere governato e giudicato da soli uomini? La risposta è NO.
Donne e uomini sono diversi per biologia, per storia e per esperienza.
Dobbiamo quindi trovare il modo di pensare a un’uguaglianza carica delle differenze dei corpi, delle culture ma che uguaglianza sia, tenendo presente l’orizzonte dei diritti universali e valorizzandone l’altra faccia. Ricordando, ad esempio, che la famiglia non ha alcuna forza endogena e che è retta dal desiderio femminile, dal grande sforzo delle donne di organizzarla e mantenerla in vita attraverso una rete di relazioni parentali, mercenarie, amicali ancora quasi del tutto femminili; ricordando che l’autodeterminazione della sessualità e della maternità sono OVUNQUE le UNICHE vie idonee alla tutela delle relazioni familiari di fatto o di diritto che siano; ricordando che le donne sono ovviamente persone di sesso femminile prima ancora di essere mogli, madri, sorelle e quindi, che nessuna donna può essere proprietà oppure ostaggio di un uomo, di uno Stato, né, tanto meno, di una religione».
Sen (Stefania Noce) nell’articolo riportato dal sito del Movimento Studentesco Catanese.
Nelle biografie delle donne uccise non si è mai parlato di femminismo. Ma non si può certo escludere che la determinata volontà di “non essere oggetto di ostaggio di un uomo” abbia avuto parte nello scatenare l’ira violenta di chi è cresciuto nella convinzione che la virilità si misura sulla dedizione e l’arrendevolezza delle donne, per cui risulta intollerabile che abbiano una vita propria, che desiderino essere considerate “persone di sesso femminile” prima che mogli, madri, sorelle.

https://www.facebook.com/Nel-ricordo-di-Stefania-Noce-262953353768330/

cfr l‘album «Donne»: https://www.facebook.com/giovanna.fronteddu/media_set?set=a.1182821371740692.100000385202081&type=3 . La pubblicazione nell’album è stata curata da Eros Campofiloni.

COSA SONO LE “SCOR-DATE” – NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche motivo il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente tantissimi i temi, come potete vedere in “bottega” guardando un giorno… a casaccio. Assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Ovviamente non sempre siamo state/i soddisfatti a pieno del nostro lavoro. Se non si vuole scopiazzare Wikipedia – e noi lo abbiamo evitato 99 volte su 100 – c’è un lavoro (duro pur se piacevole) da fare e talora ci sono mancate le competenze, le fantasie o le ore necessarie. Si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allarga.

Avevamo pensato (nel nostro 2015 “sabbatico”) di fare un libro, cartaceo e/o e-book con una selezione delle «scor-date» già apparse in “blottega”. E’ rimasta una vaga idea ma chissà che prima o poi…

Il 12 gennaio 2016 si è concluso il nostro “servizio” di linkare le due – o più – «scor-date» del giorno, riproponendo quelle già apparse in blog/bottega nei 2 anni precedenti; e ogni tanto aggiungendone di nuove. Dal 12 gennaio abbiamo interrotto, salvo rare eccezioni come oggi. C’erano 2 ipotesi per il futuro prossimo. Si poteva ripartire con nuove «scor-date» ogni giorno, dunque programmandole qui in redazione: insomma il volontariato (diciamo stakanovismo?) della nostra piccola redazione e/o di qualche esterna/o. Qui in “bottega” ci sarebbe piaciuto mooooooolto di più ripartire CHIAMANDOVI IN CAUSA, cioè ri-allargando la redazione. Come ripartenza c’eravamo dati il 21 marzo, una simbolica primavera… però il nostro “collettivo” non ha avuto gli auspicati rinforzi. Così vedrete le «scor-date» solamente ogni tanto, anziché ogni giorno come ci piacerebbe. Grazie a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazioneabbastanza “ballerina” e sempre più mutevole nel tempo, per inevitabili altri impegni – è all’incirca questa: (in ordine alfabetico) Alessandro, “Alexik”, Andrea, Clelia, Daniela, Daniele, David, Donata, Energu, Fabio 1 e Fabio 2, Fabrizio, Francesco, Franco, Gianluca, Giorgio, Giulia, Ignazio, Karim, Luca, Marco, Mariuccia, Massimo, Mauro Antonio, “Pabuda”, Remo, Riccardo, “Rom Vunner”, Santa e Valentina. Ma spesso nelle «scor-date» ci hanno aiutato altre/i oppure abbiamo “rubato” (citando le fonti) qua e là.

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Un commento

  • domenico stimolo

    Un bel pensiero ricordare Stefania Noce, nell’anniversario del suo atroce assassinio. Uccisa assieme al nonno.
    All’inizio del mese di settembre è morto il papà, Ninni.

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