Stonewall
Apre il festival di arti performative Fog di Triennale Teatro dell’Arte
di Susanna Sinigaglia
Il festival di arti performative Fog di Triennale Teatro dell’Arte, annullato a marzo a causa della pandemia, si è diviso in due dando vita a Fog vol. 1 – svoltosi durante l’estate con vari lavori rappresentati ai giardini della stessa Triennale – e Fog vol. 2 inaugurato il 6 ottobre. Con il sottotitolo “L’abitudine è una cosa meravigliosa”, è stato presentato da Umberto Angelini, fra le altre, con queste parole: … ”Riconquistare una relazione con il pubblico, con i suoi desideri e le sue paure. Tornare ad abitare uno spazio di incontro e contatto, distanziati (probabilmente), in un clima di effervescente attesa. FOG appare, fermo nelle sue incertezze, come una visione instabile, molecolare. A delineare una presenza possibile, a testimoniare l’urgenza dei corpi, la loro vitalità incontenibile.”
Purtroppo, l’urgenza e la vitalità incontenibile dei corpi è stata di nuovo contenuta e soffocata poiché con la nuova ondata di Covid, i primi a farne le spese sono stati proprio i luoghi in cui il corpo si rappresenta nella sua massima espressione, dove gli spettacoli si svolgono dal vivo e dove i film si guardano dal vivo.
Il festival prevedeva 17 eventi fra performance teatrali, una Lectio magistralis, due film e un progetto video. Ora è di nuovo tutto spostato online, e l’unico spettacolo che ho visto andando a teatro è stato proprio quello che ha inaugurato la stagione.
Come out! Stonewall Revolution
drammaturgia di Margherita Mauro
regia di Michele Rho
Una bravissima Maria Roveran e un bravissimo Marcos Vinicius Piacentini, i due performer, si presentano sul palco con grande semplicità e con grande semplicità cominciano a raccontarsi e a raccontare alternandosi agli spezzoni di filmati di repertorio girati all’epoca, la notte fra il 27 e il 28 giugno 1969, quando i frequentatori della Stonewall Inn furono oggetto dell’ennesima retata della polizia mentre vi si trovavano come sempre per vivere in libertà il proprio essere, il bisogno di non omologarsi ai costumi sociali e sessuali vigenti.
Narrano di come si dovessero oscurare le finestre e portare di nascosto abbigliamenti che avrebbero indossato all’interno, per poi dismetterli prima di uscire e tornare a casa. E di come dopo quella retata avessero avuto il coraggio di ribellarsi, non subire passivamente l’attacco della polizia affrontando da lì il lungo cammino verso la conquista dei propri diritti.
I piani temporali si sovrappongono, i performer non si rappresentano come persone dell’epoca ma immaginano i sentimenti di paura, vergogna, e poi coraggio vissuti da quelli che allora erano giovani come loro: e con loro s’identificano travestendosi secondo un rituale che probabilmente appartiene ad alcune categorie di LBGTQI in tutte le epoche.
Accennavo sopra agli spezzoni di filmati che si alternano alle entrate in scena dei due performer per rievocare gli eventi di oltre cinquant’anni prima rendendoli attuali.
Ho molto apprezzato i ritmi perfetti di quest’alternanza che hanno dato vita a una performance senza sbavature e senza ripetizioni inutili, a un’interpretazione pulita, empatica ma non enfatica.
https://triennale.org/fog-vol.2