Storia dei morti

Un racconto di Riccardo Dal Ferro

come in una storia di vendetta, erano tornati.
Schermata 2015-04-07 alle 11.29.54erano tornati con i volti lisci di un tempo ed erano i soldati falciati durante la guerra d’indipendenza, durante le scorribande partigiane, durante un attentato bolognese, e non volevano ritornare. tutti sapevamo che prima o poi sarebbero tornati, ma eravamo troppo occupati a dimenticarcene. eravamo troppo indaffarati a illuderci della vita per pensare ai morti, eppure loro sono ritornati, riversandosi da un qualche sbrego nel mondo, qualche squarcio improvvisato nello spaziotempo, tracimando fuori dal bordo che separa l’universo di qua da quello di là. erano tornati con passi lenti e diffidenti, senza prestare attenzione a tutto ciò che era cambiato. erano i bambini squarciati da una granata e le madri suicide sotto il sole afghano. erano le vittime delle persecuzioni cristiane ed erano gli schiavi deportati in egitto. venivano da un luogo che i vivi avevano rimosso, un luogo appena di là della coda dell’occhio, un posto che riposa in un’ombra timida sempre pronta ad aprirsi come una fica ancestrale per mettere in comunicazione universi paralleli. erano tornati, ma non avrebbero mai voluto.
vennero dai boschi e noi come avremmo potuto riconoscerli? noi eravamo gli impiegati di banca, gli strozzini, i muratori e le maestre di scuola, loro erano gli aztechi, gli ebrei, i militari di iwo-jima, gli assediati di nanchino. erano i dimenticati, i senza nome, i rinchiusi. chi avrebbe mai detto che quelli erano i morti? erano diversi da come ce li immaginavamo: non erano decomposti né mutilati, erano perfetti come avrebbero dovuto essere per sempre, anche se quel “sempre” era un concetto incomprensibile nell’universo dei vivi. era come se qualcuno avesse spalancato una porta socchiusa senza avvisare, una porta che dai boschi lasciava strada libera ai morti che attraversarono le strade in cerca di una risposta della quale non avevano la domanda. erano i morti e noi eravamo i vivi ed era tutto troppo terribile per avere paura. i morti non parlavano, si guardavano intorno, ci guardavano negli occhi e noi non riuscivamo a sostenerne lo sguardo. ci osservavano come se avessimo qualche colpa, e certo eravamo colpevoli ma non sapevamo di che cosa. noi eravamo gli idraulici, i vigili, i respiranti bambini di una scuola elementare, loro erano i massacrati della storia, i defunti delle guerre, i dilaniati delle ingiustizie. erano i bambini gasati, violentati, stuprati, bruciati. erano le donne carbonizzate, sventrate, i padri torturati, appesi, spellati. erano i proletari ingabbiati morti di fame, ma tra loro non si vedevano gli imperatori decapitati della storia. erano i morti ed erano perfetti ed eterni, mentre scendevano la montagna. erano silenziosi e ci avevano rubato le grida. erano quieti e ci avevano sottratto il terrore. avevano volti dolci anche se erano stati decapitati e la loro pelle era liscia e soffice anche se erano stati messi al rogo. non avevano ustioni né menomazioni, nonostante fossero i figli del vietnam su cui era stato riversato il napalm, non avevano mutilazioni né ferite, nonostante fossero i bambini del congo squartati e impalati. era come se il mondo si fosse fermato nel momento in cui i due universi avevano collimato, spaccandosi in due e mischiando le carte dell’eternità con quelle della finitezza. era tutto come in sogno, ma sapevamo che prima o poi sarebbero tornati. erano i morti devastati ma la loro perfezione ridicolizzava la violenza dei vivi. “il popolo degli specchi ritornerà, romperà le cornici e uscirà dai confini in cui l’abbiamo relegato, e allora avrà la sua vendetta” aveva scritto borges, e c’era persino lui in mezzo alla folla, con il suo tweed e il bastone e il cappello, ma non era cieco, ci vedeva lungo un miglio. era morto, era uscito dagli specchi. era una vendetta, ma loro non l’avevano richiesta, non l’avevano voluta. erano risorti, ma non c’era alcuna salvezza nei loro occhi. erano eterni, eppure fragili. erano i morti, camminavano sommessamente per le vie del nostro piccolo pianeta e da allora, senza spargimenti di sangue, l’umanità ha smesso di parlare. era un corto-circuito, era una violazione del diritto universale, così insopportabile da lasciare ogni uomo, vivo o morto, senza parole.
ci siamo lasciati tutti morire senza speranza e senza paura, e l’apocalisse è arrivata senza far rumore.

Riccardo DAL FERRO

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *