Storia di due città

Un racconto di Riccardo Dal Ferro

Schermata 2015-04-15 alle 11.23.38E poi c’è quella storia, la storia di due città.

Voi non la conoscete, perché non è raccontata nei libri. Eppure la conoscete, perché di storie così ce ne sono talmente tante da aver perso il conto. È una storia stupida, come ogni storia che parla di guerra. Ma non parla solo di guerra, parla ovviamente anche di due città, altrimenti non sarebbe la storia di due città.

Delle due città importa poco il nome. Quasi tutte le città hanno conosciuto storie simili, o almeno quasi tutte le città stupide. Ma oltre a essere stupide, queste erano due città bellissime. La città di qua stava appollaiata su un colle, e faceva da vedetta all’orizzonte, con le sue guglie, con i suoi obelischi, con i monumenti e le statue e le cupole perfette. La città di là sorgeva sul colle esattamente di fronte alla sua sorella, e anch’essa era stupenda, e ogni architrave che si trovava di qua, sorgeva identica nell’altra città. E così ogni palazzo, ogni strada, persino i capitelli di marmo erano in tutto e per tutto uguali, tanto nell’una quanto nell’altra città.

Ora, mettetevi nei panni di un abitante di una di queste due città, poco importa quale, dal momento che anche gli abitanti erano tutti identici nell’una e nell’altra, e il maniscalco sembrava clonato di qua e di là, e così la puttana e l’architetto e la professoressa e il ladro. Mettetevi nei panni di queste persone, orgogliose del luogo in cui vivevano, e immaginate lo stupore nell’accorgervi che, proprio sul colle di fronte, una città in tutto e per tutto simile alla vostra sorge altezzosa e superba. Accorgervi che il palazzo reale non è più così unico, né così reale, perché di là ce n’è un altro copiato alla perfezione; che la piazza della Bellezza, con il suo prezioso pavimento di marmo bianco, è solo una bellezza tra le tante, o almeno tra le due; che i musicisti, i pittori e le loro opere sono esattamente identiche di là, nella città degli usurpatori. Immaginate lo stupore, poi la delusione, poi la rabbia, infine il rancore. Esattamente in quest’ordine, esattamente con questa intensità, tanto da una parte quanto dall’altra.

Non ci credete? Lo sapevo.

Ma la storia delle due città non finisce qui. No, perché, nel momento in cui diventò insopportabile il fatto che non uno scultore poteva portare a termine una nuova statua senza che dall’altra parte ne sorgesse una uguale, e non un panettiere poteva creare la nuova ricetta per un pane morbido di sesamo senza che nell’altra città quello stesso pane fosse masticato da avide bocche, ecco che le due città cominciarono a guardarsi con odio. “Impostori”, dicevano da una parte, “usurpatori”, rispondevano dall’altra. Ma ogni cosa sembrava sovrapporsi, e a ogni lettera di minaccia inviata ecco che una lettera uguale, che riportava le stesse identiche parole, veniva recapitata. A ogni sguardo di sbieco, un’occhiata di antipatia veniva corrisposta, e le due città si fronteggiavano, facce a facce, come le fauci di due bestie pronte ad azzannarsi.

Voi non potete ricordarvela, questa storia, ma di storie così stupide è pieno il mondo.

E nelle storie stupide, una questione stupida viene risolta con la violenza, no? E così, grandi generali vennero assoldati dalle due città, generali che adottavano le medesime strategie, e quando di qua uno di costoro diceva “attacchiamoli ai fianchi”, di là uno ribadiva “colpiamoli alle reni”; mentre di qua si preparavano le truppe d’assalto, di là venivano addestrate centinaia di migliaia di soldati; se di là si costruiva un nuovo missile, ecco che di qua ne sorgeva uno altrettanto potente, pronto a seminare morte tanto di qua, quanto di là. E i generali parlavano di morte e distruzione, fomentavano gli animi irrequieti della gente, e gli artisti diventavano colonnelli, e i musicisti politicanti, e le fabbriche che producevano giocattoli iniziarono a costruire fucili, carri armati, cannoni e bombe, e l’una e l’altra città divennero brutte, coperte dal fumo delle ciminiere che sputavano detriti, tanto di qua, quanto di là. Le due piazze della Bellezza vennero coperte di fuliggine, e così, di due bellezze da ammirare non ne rimase più neanche una. E il panettiere smise di produrre pane al sesamo, per cucinare dure pagnotte da guerra, e così fece il panettiere di là. E l’odio dell’una parte si rifletteva identico nell’altra, e così le maldicenze e gli sputi per terra, mentre le città sembravano trasformarsi in neri fantasmi pronti a distruggersi a vicenda, coprendosi di improperi e insulti, perdendo ognuna delle cose che le facevano entrambe belle, adottando ognuna delle cose che le facevano entrambe orrende.

Insomma, come potrebbe finire, la storia di due città?

Non si è mai capito bene da quale parte sia giunto l’ordine, ma con il senno di poi possiamo dire con certezza che provenne contemporaneamente da entrambe. Il generale maggiore, dall’una e dall’altra parte, comandò di fabbricare la bomba più potente della storia, e così fecero gli ex-artisti, che erano diventati produttori di morte. Fabbricarono un mostro di metallo che avrebbe raso al suolo l’una e l’altra città, incuranti delle conseguenze, ripetendo a loro stessi che si era costretti ad agire così, per via dell’affronto subito nell’esser stati copiati ed eguagliati in bellezza e maestosità. Caricarono quel missile su una rampa immensa, ed entrambe le città puntarono la pistola verso la gemella, pronte a lanciare la distruzione insensata, mentre le due popolazioni inneggiavano a quella stessa distruzione, a quella stessa morte, alla fine della storia delle due città.

Quando il missile fu lanciato, esso partì contemporaneamente dall’una quanto dall’altra città. Si avvicinava velocemente, e gli occhi dei carnefici e delle vittime osservavano avidi la scia di morte che si lasciava dietro. Ma, giunto a metà strada, esplose a mezz’aria con un bagliore immenso e un boato catastrofico, mandando in frantumi lo specchio su cui la città si rifletteva, e i milioni di cocci di quello specchio messo là da chissà quale dio caddero come una pioggia di diamanti sulle teste della popolazione incredula, che osservava quel diluvio di immagini spezzate, percependo nel proprio cuore l’immensa stupidità dell’essere umano.

La storia di due città è una storia stupida, come lo è ogni storia di guerra.

La guerra delle due città è una guerra stupida, come ogni guerra che combattiamo inventandoci un nemico invisibile, quando invece il nemico è dentro di noi. Ce ne sono talmente tante di storie così, che abbiamo perso il conto, i nomi e il ricordo di quelle che abbiamo già vissuto. E come sempre, restiamo in attesa del prossimo specchio da odiare, mentre ci raccontiamo storie stupide.

Perché la storie di due città è la storia di una.

E la stupidità di due uomini è la stupidità di uno.

Come ogni storia che si rispetti.

Come ogni stupidità che non si rispetti.

Riccardo DAL FERRO

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