Storia di una indocumentada. Attraversamento del deserto di Sonora-Arizona

Recensione al libro di Ilka Oliva Corado (Edizioni Arcoiris, 2017)

di David Lifodi

Conosco Ilka Oliva Corado per i suoi articoli di analisi politica e sociale su Alainet. Quando parla del suo paese, il Guatemala, o della realtà latinoamericana, è un fiume in piena. Ilka è stata una indocumentada che adesso vive negli Stati uniti dopo un viaggio compiuto nel 2003 al limite della sopravvivenza. Ha impiegato del tempo per trovare il coraggio non tanto di raccontare, quanto di rivivere, la sua odissea caratterizzata dall’attraversamento del deserto di Sonora-Arizona, braccata dalla migra, la polizia di frontiera statunitense, che l’ha definita “rifiuto latinoamericano”. Glielo hanno urlato in faccia, più volte, a lei e alle migliaia di indocumentados che in quel momento stavano cercando di lasciarsi alle spalle i problemi per i quali fuggivano dai paesi di origine. Ilka Oliva Corado è una delle fortunate che ce l’hanno fatta e adesso, in qualità di giornalista, ha potuto raccontare il suo viaggio dal Guatemala agli Stati uniti nel suo libro Storia di una indocumentada. Attraversamento del deserto di Sonora-Arizona.

Ilka fa parte di quella folta schiera di migranti riusciti ad entrare senza documenti negli Stati uniti, espaldas mojadas, schiene bagnate, così vengono definiti con disprezzo nel paese che invece dovrebbe accoglierli e che ha dato rifugio a tanti migranti, anche italiani, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. L’autrice dedica il suo libro “agli immigrati indocumentati, che sono morti nel tentativo, a quelli che sopravvivono alla frontiera della morte, a quelli che emigreranno”. Del resto, la stessa Ilka ha sperimentato bene cosa significhi essere una preda in una battuta di caccia, dove la polizia di frontiera non dà tregua agli indocumentados con pistole di gomma, cani ammaestrati, armi da franchi tiratori, motociclette, pick up ed elicotteri. Una sorta di safari umano in mezzo al deserto, dove ad essere inseguiti non sono le  bestie, ma le persone, arrestate e rinchiuse in vere e proprie vetture accalappiacani. Per coloro che non ce la fanno non c’è né pietà né misericordia. Nel migliore dei casi, i migranti intercettati dalla polizia vengono deportati nel loro paese di provenienza, da cui tenteranno una volta in più di raggiungere gli Stati uniti, nel peggiore, è la stessa polizia che li vende alle organizzazioni criminali, da cui è praticamente impossibile affrancarsi. Per le donne, come racconta Ilka, la situazione è ancora peggiore. L’autrice racconta più volte, durante il suo viaggio, di aver assistito a violenze sessuali sulle donne, fin dall’inizio del suo viaggio, in Messico. Queste scene, come altre, per anni hanno tormentato Ilka che, nel suo ultimo libro, Transgredidas, ha raccolto racconti di violenze compiute sulle donne, frutto di testimonianze reali di giovani vittime di stupri nel tentativo di attraversare la frontiera, ma anche della tratta di persone a fini sessuali.

Ilka narra le traversie di coloro che lei definisce come desaparecidos del deserto, ma il suo grido di dolore per il dramma dei migranti rappresenta qualcosa in più di una semplice denuncia. Nel corso del viaggio emerge più di una volta il valore della solidarietà, pur in un contesto caratterizzato dall’estrema violenza e dal disprezzo della vita. Ilka Oliva Corado, al contrario, sceglie, con la forza della disperazione, di rimanere attaccata alla vita e lo fa pur sapendo che ogni esitazione può esserle fatale. Ad esempio, insieme ad un altro migrante, decide di accollarsi il peso di una sua coetanea che, fin dall’inizio dell’attraversamento del deserto, è costretta a fare i conti con una caviglia lesionata. L’autrice le offre la sua fascia, fa a turno con l’uomo per sostenerla e caricarsela sulla spalle mentre il coyote, un ragazzino senza scrupoli, propone subito di abbandonarla nel deserto poiché avrebbe rappresentato un peso per il gruppo. Lo stesso concetto di sopravvivere alla frontiera assume molteplici significati. Sono numerose, infatti, le frontiere che deve oltrepassare Ilka. La prima è in Messico, dove arriva in aereo dal Guatemala. Ad attenderla non c’è solo la coyote che dovrà portarla alla sua prima destinazione, quella dell’inizio del viaggio nel deserto, ma due agenti dell’immigrazione che per fortuna si bevono la storiella della nipote che non vedeva da anni la zia. La seconda è il deserto, che Alessandra Riccio nella sua postfazione definisce come “molto più spietato, più crudele, irto delle spine dei suoi cactus, senza ripari né difese, senza approdi”, la terza è rappresentata dal viaggio compiuto dalla cittadina di Douglas all’Illinois, tre giorni di viaggio stesa per terra su un caravan insieme a decine di indocumentados per strade lontane dalle principali vie di comunicazione senza poter né mangiare né bere.

“Uscii dal deserto in rotta con la vita e il processo di riconciliazione con la vita ha richiesto anni, non sono più la stessa che è partita dal Guatemala, non tornerò mai ad esserlo perché la frontiera ruba molto, poco a poco inaridisce l’anima, l’allegria si trasforma in veleno che consuma ogni desiderio di sussistenza”, ha scritto Ilka Oliva Corado, la voce dei migranti senza voce, costretti ad essere invisibili in un paese come gli Stati uniti, che non può comunque fare a meno di loro.

 

Storia di una indocumentada. Attraversamento del deserto di Sonora-Arizona

di Ilka Oliva Corado

Edizioni Arcoiris, 2017

Pagg. 86

€ 10

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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