Storie di sport ribelle

Recensione al libro di Pasquale Coccia (Manifestolibri, 2016)

di David Lifodi

Storie di sport ribelle raccoglie gli articoli scritti da Pasquale Coccia tra il 2013 e il 2015 per Alias, il settimanale che esce il sabato con il quotidiano il manifesto, e il suo principale pregio è quello di distinguersi per una narrazione altra delle discipline sportive e dei suoi protagonisti. Partendo dalla riflessione che la sinistra ha colpevolmente tralasciato lo sport, a partire dall’inizio dello scorso secolo, in quanto pratica “borghese”, Coccia racconta le gesta di tanti sportivi che hanno contribuito alla storia sociale dell’Italia, dai calciatori e dai ciclisti che scelsero di andare a combattere con i partigiani agli atleti protagonisti di tante battaglie politiche e di emancipazione attraverso lo sport.

Probabilmente, se la sinistra avesse investito più energie nello sport, oggi le curve degli stadi, solo per fare un esempio, non sarebbero divenute laboratori e palestre dell’estrema destra. Scrive Coccia nella sua presentazione: “Le organizzazioni politiche della sinistra tradizionale, il Pci e il Psi, non hanno mai provveduto a dar vita ad un archivio storico dei principali avvenimenti sportivi accaduti nel Novecento che le hanno viste attivamente coinvolte, si sono limitate ad identificare lo sport con il fascismo, un’ombra lunga estesa agli anni successivi alla Liberazione, mentre la sinistra extraparlamentare, a parte qualche sprazzo, si è tenuta distante e indifferente”. Per fortuna, ai giorni nostri, la situazione è cambiata, grazie alla percezione dello sport come funzione di aggregazione sociale che si è diffusa nei centri sociali e nei movimenti di base. È così che, negli ultimi anni, sono cresciute sempre di più esperienze come i mondiali di calcio antirazzisti, tornei di calcio e rugby all’insegna dell’antifascismo (vedi quello che si è svolto a Milano per ricordare Davide “Dax” Cesare, ucciso dai fascisti il 16 marzo 2003) o la palestra popolare del quartiere romano del Tufello intitolata a Valerio Verbano, anch’esso assassinato dai neofascisti il 22 febbraio 1980. Pasquale Coccia racconta le tante realtà sportive nate dal basso, ben lontane dai riflettori e dallo sport professionistico, dove però il valore più importante è quello dell’integrazione. E allora si scopre che lo sport può essere determinante nel favorire l’inclusione sociale, nonostante i bastoni tra le ruote imposti dalle istituzioni sportive ufficiali. Ad esempio, molte sono le squadre di migranti sorte in tutte le discipline sportive, ma, per essere considerati dagli organismi sportivi federali, che fanno riferimento al Coni, c’è bisogno della cittadinanza italiana e, di conseguenza, le tante squadre di cricket composte da immigrati e sorte sul nostro territorio non possono partecipare a competizioni nazionali, ma solo disputare incontri tra loro, nonostante il supporto organizzativo dell’Uisp, che dell’inclusione sociale attraverso lo sport ha fatto il cardine della politica dello sport per tutti. Gli stessi Liberi Nantes di Roma, squadra di calcio composta da profughi e richiedenti asilo arrivata seconda nel campionato di Terza categoria, è stata considerata dalla Figc come fuori classifica, e quindi a  zero punti, perché costituita da calciatori privi della cittadinanza italiana. Eppure, dalla Stella Rossa Rugby di Milano agli Spartaco Rugby Roma, fino ai Rugby Notav e all’Ardita San Paolo (solo per citare alcune delle squadre più conosciute), c’è una realtà sportiva che esiste e resiste alle discriminazioni. Del resto, ricorda Coccia, uno dei principi fondamentali della Carta Olimpica recita così: “Ogni forma di discriminazione  nei confronti di un paese o di una persona per motivi di razza, religione, politica o sesso, o altro è incompatibile con l’appartenenza al movimento olimpico”. Da noi invece le battute razziste, sessiste e omofobe si sprecano, da Carlo Tavecchio (presidente Figc) a Felice Belloli (presidente Lega nazionale Dilettanti), nel silenzio totale dei presidenti delle federazioni sportive e del presidente del Coni Giovanni Malagò. Coccia segnala anche le iniziative del network Sport alla Rovescia che, nel 2012, promosse la campagna “Gioco anch’io” per consentire ai giovani extracomunitari di giocare a calcio nei tornei promossi dalle polisportive dei centri sociali.

L’attuale attivismo dello sport promosso dalle tante realtà autorganizzate del nostro paese si deve comunque al coraggio di quegli atleti che, nel secolo scorso, spesso a rischio della propria vita, si batterono affinché tramite lo sport potessero essere tutelati i diritti di tutti. Sono lontani i tempi in cui lo sport era definito come “cosa assolutamente inutile e disastrosa alla vita politica” e “rovinatore di organismi”: così i giovani socialisti si espressero nel convegno di Firenze del 1910. Coccia racconta la storia dei ciclisti rossi, che si mobilitarono in occasione di scioperi e manifestazioni negli anni immediatamente precedenti al biennio rosso: “Gli pneumatici delle biciclette si chiamavano Carlo Marx, il telaio Avanti e la maglietta, secondo quanto prevedeva lo statuto, doveva essere rigorosamente rossa”. In precedenza, nel 1898, il generale Bava Beccaris aveva vietato le biciclette, i tricicli e i tandems, utilizzati per far arrivare cibo e avvisi agli operai in rivolta durante le quattro giornate di Milano. Tante anche le storie di sportivi finiti dai campi da gioco a quelli di sterminio, ad esempio i calciatori Vittorio Staccione e Carlo Castellani o il pugile di Trastevere Lazzaro Anticoli, assassinato alle Fosse Ardeatine, ma viene dato spazio anche a quei volenterosi esponenti della sinistra extraparlamentare che tentarono di dar vita alla rivista sportiva significativamente intitolata Piazza delle Tre Culture e, molto prima, durante il biennio rosso, al settimanale Sport e proletariato, per non parlare di quando il Guerin Sportivo fu occupato da dei redattori che lo trasformarono in un numero pieno di ironia.

In definitiva, Storie di sport ribelle si caratterizza per una piacevole lettura e perché narra tante storie di “sport sommerso”, non finalizzate necessariamente all’agonismo, ma volte a considerare le discipline sportive come strumento di inclusione sociale e difesa dei diritti. Pubblicazioni del genere, e anche uno spazio sui principali quotidiani sportivi su queste tematiche, andrebbero decisamente incoraggiati.

 

Storie di sport ribelle

Di Pasquale Coccia

Manifestolibri, 2016

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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