Strage di Ayotzinapa: il Messico non dimentica

di David Lifodi

Difficilmente il Messico dimenticherà il 26 settembre 2014, il giorno della mattanza dei normalistas di Ayotzinapa. Lo Stato ci sta provando ogni giorno a far cadere l’oblio sulla strage che è costata la vita ai 43 studenti della Escuela Normal Rural Raúl Isidro Burgos, ma per fortuna, ai depistaggi di Los Pinos e del potere, la società civile risponde costruendo memoria.

E allora, in questo contesto, ben vengano due libri interessanti sulla notte di Iguala, scritti dall’avvocato Sergio González Rodríguez e da Paúla Monaco, figlia di una coppia desaparecida nell’Argentina della dittatura militare. Nel suo Los 43 de Iguala, México: verdad y reto de los estudiantes desaparecidos, González Rodríguez parte da una tesi già sviluppata in Campo de Guerra, pubblicato nel 2014 e in cui sostiene che dall’entrata in vigore dell’Accordo per la Sicurezza e la prosperità dell’America del Nord (Aspan) tra Messico, Stati Uniti e Canada, almeno 25mila militari Usa sono dislocati in 50 basi del paese per scopi e funzioni propri esclusivamente degli interessi a stelle e strisce. Secondo la tesi di González Rodríguez, confermata da fonti messicane, in alcuni documenti dell’intelligence Usa figurerebbe la partecipazione di agenti statunitensi nei fatti di Iguala. La Escuela Isidro Burgos sarebbe stata infiltrata dall’intelligence Usa, tanto che i militari statunitensi parlano di un loro soldato deceduto tra i 43 studenti desaparecidos. Del resto, è evidente come non sia possibile circoscrivere la strage dei normalistas ad un episodio di semplice criminalità comune: dai narcos al traffico della droga, passando per le grandi transnazionali del petrolio e dell’estrazione mineraria e giungendo al ruolo border line dell’esercito e della polizia messicana, non è difficile immaginare come agenti Usa siano riusciti ad infiltrarsi così facilmente in Messico e, in particolare, nel Guerrero, uno degli stati del paese dove maggiori sono le disuguaglianze sociali. E invece il potere, nel tentativo di imporre la verità ufficiale, quella che sostiene la tortura, l’uccisione e il fuoco appiccato ai corpi degli studenti nella discarica di Cocula, ha promosso un docudrama allo scopo di ribadire che l’accaduto è responsabilità solo ed esclusivamente del crimine organizzato. La propaganda cerca di rimpiazzare la verità, quella  dello Stato che rifugge dal condurre un’analisi approfondita dei fatti di Iguala. A questo proposito, per ricordare un po’ di storia del Messico ad un paese giovane che, secondo González Rodríguez, non necessariamente è a conoscenza del levantamiento zapatista del 1994 e, ancor meno, di Lucio Cabañas, Genaro Vázquez o delle operazioni di contrainsurgencia promosse dallo Stato messicano negli anni Settanta e Ottanta contro le guerriglie, l’autore ha inserito nel suo libro delle mappe del Guerrero con le zone di influenza dei narcos e dei movimenti armati. Nonostante tutto, però, il paese ha una sua coscienza sociale e la storia della notte di Iguala è scritta sui muri di molte città, dove si accusa lo Stato e si reclamano verità e giustizia per i desaparecidos.

Paúla Monaco, nel suo Ayotzinapa, horas eternas, cerca di ricostruire cosa ne sia stato dei 43 studenti scomparsi. Figlia di Luis Monaco ed Ester Felipe, argentini sequestrati l’11 gennaio 1978, quando la scrittrice aveva appena 25 giorni, Paúla Monaco adesso fa parte di Hijos, l’organizzazione dei giovani strappati ai loro genitori appena nati per essere consegnati, spesso, alle famiglie vicine al regime di Videla. Partendo da queste premesse, al pari degli Hijos che, per vendicarsi dei repressori dei loro genitori, organizzano gli escraches, allo scopo di far sapere chi sono i torturatori che nelle città e nei quartieri argentini hanno provato a rifarsi una vita all’insegna dell’anonimato, Paúla presenta un ritratto de los 43. Non ci sono interviste ai funzionari di Stato e, chiarisce l’autrice, il suo libro è apertamente militante, si identifica nei familiari dei desaparecidos che ogni giorno sono costretti a combattere con l’assenza quotidiana dei giovani normalistas e, infine, evidenzia come da questi fatti così drammatici spesso nascano dei nuovi lottatori sociali. Ad esempio, i genitori dei desaparecidos di Iguala non solo hanno girato per il Messico, l’America Latina e l’Europa per raccontare la strage di Ayotzinapa, ma contestualmente hanno cominciato a  denunciare ciò che accade in Messico ogni giorno, dove uno stato senza alcuna etica o morale, ha abdicato ai cartelli della droga e alle multinazionali facendo affari con loro invece che occuparsi di tutelare i cittadini. Purtroppo Paúla sa bene cosa significhi dover ingoiare le bugie del potere, come avveniva nell’Argentina di Videla, eppure non riesce a sopportare che da Los Pinos siano riusciti a gettare una cortina fumogena su Ayotzinapa. Da quel 26 settembre 2014 è già trascorso molto tempo, ma di incriminare i veri responsabili non se ne parla.

Conclude Paúla Monaco: “El texto es un ladrillito en la construcción de la memoria, que es la base de una sociedad más justa”, un mattoncino che serve per costruire una società più giusta e fare in modo che la memoria non sia cancellata.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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