Strike – 17

Padroncini, cinesi, licenziamenti: Gian Marco Martignoni racconta una storia… di ogni giorno (*)

 

Per chi svolge quotidianamente l’attività sindacale è normale, a partire dalla grande crisi sviluppatasi nel biennio 2007/2008, affrontare lo stillicidio di licenziamenti in particolare riguardanti i lavoratori e le lavoratrici che operano nei settori ove non vige la legge 300 del 1970 (Statuto dei Lavoratori) bensì la legge 108 del 1990 (che prevede solo il risarcimento da 2,5 mensilità fino a un massimo di 6 mensilità sulla base dell’anzianità nel caso di licenziamento ingiustificato).

Anche affrontando i licenziamenti c’è sempre una prima volta: qualche settimana fa si è presentato nella nostra sede di Saronno un lavoratore cinese, accompagnato dalla figlia, con tutta probabilità minorenne, che faceva però da interprete, il quale chiedeva di essere tutelato, giacché il titolare lo aveva allontanato dal lavoro, mettendogli in mano una lettera di consensuale risoluzione del rapporto di lavoro.

Un classico, da quando con la legge 108 il lavoratore o la lavoratrice non può più essere allontanato senza una lettera che ne intimi il licenziamento per iscritto.

Dopo aver ricostruito con l’aiuto della figlia che il padre da ben tredici anni lavorava in una gelateria dell’hinterland milanese, e che fortunatamente non aveva firmato una lettera dai contenuti più che subdoli, ho chiamato il titolare per capire quali fossero state le ragioni dell’allontanamento dal luogo di lavoro e se il giorno dopo si sarebbe potuto recare nella gelateria per riprendere l’attività lavorativa.

Stante che le motivazioni del suo allontanamento mi sono apparse da subito risibili – poiché secondo il padroncino il lavoratore cinese avrebbe litigato fisicamente con gli altri suoi colleghi e quindi la sua presenza non sarebbe stata più gradita – ho immediatamente comunicato che il giorno dopo avrebbe ricevuto una raccomandata con la comunicazione della messa a disposizione del lavoratore, a meno di un licenziamento per iscritto, che poi sarebbe stato impugnato secondo i termini previsti dalla legge 108.

Successivamente con una certa fatica ho cercato di spiegare al lavoratore e alla figlia che quando si lacerano i rapporti in un’azienda sotto i 15 dipendenti non vi è alcuna possibilità di riprendervi l’attività, pertanto che avrebbe dovuto approfittare degli 8 mesi di disoccupazione per trovarsi un’altra collocazione, con tutte le difficoltà determinate dall’aggravarsi della crisi anche nel settore dei servizi, per via del pauroso calo dei consumi.

A quel punto, visibilmente contrariato, il lavoratore si è aperto come un libro, raccontandomi che di fatto la gelateria opera con due persone non in regola, ovvero un pensionato e la ragazza del titolare.

Tutto ciò a riprova di quanto il sommerso sia diffuso in ogni piega del mercato del lavoro.

Infine, raccomandandomi con loro di seguire meticolosamente le mie istruzioni, ho fatto sapere che il giorno dopo come Cgil avremmo inviato l’ennesima denuncia per lavoro nero agli enti ispettivi (in questo caso della provincia di Milano).

Dopo qualche minuto dalla loro fuoriuscita dalla sede – inaspettata ma pare sia una una consuetudine delle comunità straniere – mi è arrivata una telefonata di una legale della comunità cinese che mi ringraziava per aver seguito scrupolosamente il suo connazionale.

(*) La miscellanea di oggi – cioè 24 post intorno a scioperi, fatica, diritti e alla lunga storia delle lotte per un mondo migliore nel quale lavorare non significhi rischiare la pelle o essere sfruttate/i – è curata dalla piccola redazione di questo blog. Qui e nelle piazze lo ripetiamo: «l’unico generale che ci piace si chiama sciopero».

 

Redazione
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