Strike – 8

Domenico Stimolo: in occasione dello sciopero generale… scavo nella memoria (*)

Lettori e lettrici, amici e amiche, compagne/i. Mi permetto quest’ultimo termine, non più aduso ai “modernisti” rampanti e vocianti, ma ancora frequente in altre compagini nella forma ufficiale, specie negli eventi sindacali promossi da piccole (le strutture di base) e grandi organizzazioni (Cgil) aggreganti parti rilevanti del mondo del lavoro italiano. Chi ha direttamente ereditato – dai suoi albori cioè dalla fine dell’Ottocento – la lunga, travagliata e sanguinosa storia del movimento operaio italiano. Un appellativo in disuso nella deviante quotidianità che ci sovrasta. Eppure “compagno” è “colui che mangia il pane con un altro”. Il massimo, in materialità e moralità, che può capitare nello scorrere della vita. Oggi, il logo della “comunanza” è rappresentato dalla pubblicità che, infaticabile e untuosa a tutte l’ore, propaganda la comunanza d’uso, di un “vile” prodotto commerciale. Non più, nella reciproca solidarietà, della spartizione degli affanni, delle lotte… e dei pani.

In occasione di questo importante e storico (date le rotture in essere) sciopero generale io scavo nella memoria. Più che gli eventi voglio ricordare gli artefici, gli umani. I lavoratori e le lavoratrici.

Quelli che, con la loro dedizione al senso civico e istituzionale, ai valori democratici fondanti strappati a duro prezzo con la lotta al nazi-fascismo e ai loro diretti magri interessi, ancora resistono per impedire il definitivo smantellamento della legislazione sul lavoro e dello stato sociale, cioè le conquiste di lotte sindacali pluridecennali. Con la loro presenza, pur con grandi patemi e sacrifici, nelle file della partecipazione hanno costituito il nerbo principale della nostra storia collettiva. Quella vera, di fratellanza. Impastata nei dolori, con l’obiettivo di difendere l’“acquisito” e i fondamentali beni comuni che costituiscono il nerbo della quotidianità, sottoposti ancora a un violento attacco. Cercando di andare avanti. Specie nei momenti in cui si vuole distruggere, con i licenziamenti, l’esistenza propria, della famiglia, di figlie e figli.

Come oggi fanno lavoratrici, lavoratori, precari – ormai perversamente distinti da cento e più modalità – giovani, disoccupati e pensionati, nella giornata di sciopero generale. Veri “eroi”, civili e democratici, in questa nostra contorta e squilibrata società. Lottano per sopravvivere con dignità, pur nella sofferenza, senza mai alzare le braccia in segno di resa.

In una lunga e girovaga trentennale esperienza sindacale… ho conosciuto lavoratori e sindacalisti di base (operai/impiegati, prestatasi volontariamente e faticosamente alla salvaguardia del bene comune) e non. L’attività sindacale, per i più che si cimentano dal “basso”, è fondamentale palestra di vita, di socialità e di vera e propria pratica di intellettualità con capacità di approfondimento e incisivo ragionamento su questioni complesse; seppur sprovvisti dei “titoli” che … privilegiano le forme e non la sostanza.

Nei luoghi di lavoro si misura la dignità. Si sviluppa la socialità, il senso forte dello stare insieme, la solidarietà e l’antirazzismo, in parecchi casi emerge l’abnegazione. Il senso dell’unità che fa la forza, contro l’arroganza e la prepotenza di chi dispone del bastone di comando.

Nello scrivere queste righe tanti ricordi si accavallano. Belli e brutti. Tanti i volti e le umanità connesse. Nella necessaria brevità, nella grande pluralità partecipativa che rappresenta il vero motore degli eventi, ricordo, alcuni visi.

Domenico, un operaio dell’area romana. Schietto, onesto e fiero. Un vero rappresentante nel suo diretto mondo del lavoro. Infaticabile nell’organizzare le lotte e nel tessere rapporti. Un buono, diventato leone quando il posto di lavoro fu torvamente minacciato. Si “dovevano” smantellare le partecipazioni statali, quelle che hanno costituito il nerbo della ricostruzione industriale in Italia (post-guerra) per fare posto alla “buona novella” delle liberalizzazioni a go-go. L’orecchio della principale sinistra era ormai diventato sordo. In quei virulenti frangenti con tutte le sue energie e con grande caparbietà lui si batté in prima fila, gestendo, fra l’altro, alcune iniziative, per cercare di portare all’attenzione pubblica (anche in momenti televisivi) il dramma occupazionale che si stava consumando.

Non c’è più, da dodici anni. Ancora giovane, improvvisamente si piegò, da mattina da sera. Con la memoria mi soffermo spesso su di lui, con grande affetto.

Giovanni, un energico passionale operaio emiliano. “Figlio” diretto della storica cultura politica della sua area territoriale. Un grande, nei rapporti umani e di lotta. Poi, con la rovina del “mito”, cadde, spogliandosi degli orpelli, ma si riprese presto, forte come prima. La realtà quotidiana conta sempre più delle sovrastrutture. Vennero meno i distintivi portati sul petto, non la genuina lingua e la voglia di contrastare le ingiustizie e le prevaricazioni. Un compagno, generoso e pugnace. Sempre, per diversi decenni, in prima fila.

Filippo, un verace operaio catanese nei lunghi anni della fulgida ribellione in difesa dell’occupazione, con il naturale istinto a combattere le prevaricazioni. Un delegato sindacale di lungo corso che fiutava l’imbroglio e suscitava il consenso degli operai. Un capopopolo. In talune circostanze il padrone, pur “navigato” e in acque offuscate, non comprende che l’ardimento furbo e il valore vero possano allignare nei sottoposti. Lui e altri di buona lena tennero sottoscacco il “re” e i tanti giullari della lunga corte. Si voleva smantellare la grande e ben nota fabbrica. Il pane è sempre pane. Quando manca, con il comune supporto dell’organizzazione sindacale, si diventa arditi. Le azioni furono tante. Rimase impressa l’ascesa al campanile centrale, e il “soggiorno” in loco per lungo tempo, per lunghe notti e dì. Una lunghissima corda saliva e scendeva per portare i viveri.

Turi veniva quotidianamente dall’entroterra, da circa 100 chilometri di distanza. Un luogo dove si parla con una tonalità strana (frutto delle eredità degli antichi invasori)… per questo, molte volte veniva preso in giro. Puntuale, a bordo della sua robusta macchina francese, arrivava prima delle 7.30 (disse negli anni seguenti che con quell’auto aveva superato il milione di chilometri) per la partenza, con il mezzo aziendale, verso i luoghi di lavoro, distanti anche per altri, oltre 100 chilometri. Faceva il delegato sindacale già dai primordi, prima che finissero gli anni sessanta. Poi, con l’avvento dello Statuto dei Lavoratori, le strutture interne dei lavoratori si chiamarono Rsa cioè Rappresentanti sindacali aziendali (la Rsu… unitaria venne negli anni successivi). Una persona mite, ma forte nella dialettica e nel ragionamento. Un vero amico, nei rapporti personali e nelle battaglie sindacali. Per vari decenni fu uno dei punti di riferimento anche nella struttura sindacale nazionale aziendale. Un grande faticatore sul lavoro (duro, si piantavano pali per le comunicazioni) e nella premura dell’attività sindacale.

Salvatore – il primo di due con questo nome – della provincia catanese, parlava poco. Però nei suoi interventi sindacali c’era sempre efficacia e pacatezza. La sua attività di lavoro, rigorosamente sempre all’aperto… con tutte le conseguenze del caso, si svolgeva sulle medie-lunghe distanze. Un’attività molto faticosa, lontano per settimane o mesi dalla famiglia. In diversi si imbarcavano nelle autovetture per il rito dei “1200 Km” nelle 40 ore, in andata e ritorno, quelli delle due notti in viaggio. Nei rapporti umani e sindacali, per la sua tenacia e probità, rispettato da tutti. Nemico naturale delle angherie, mai si nascondeva nei sotterfugi. Non subiva passivamente. Credeva fermamente nella necessità vitale del ruolo sindacale. Un uomo vero. Si mise a rischio per un articolo 28 (attività antisindacale dello Statuto dei Lavoratori) dal quale non si tirò affatto indietro.

* * *

Nel corso di tanti anni, già dai tempi della Flm (Federazione unitaria metalmeccanici) nelle occasioni di scioperi rilevanti – rinnovi contrattuali nazionali, vertenze aziendali e quant’altro di importante c’è nel corredo sindacale) – la presenza di dissuasione iniziava presto (mi riferisco al mio storico luogo di lavoro). In tutte le stagioni, anche due ore prima dell’inizio del normale orario di lavoro. Al buio, al freddo o sotto la pioggia nelle fasi invernali. Verso le cinque e mezza. Si “addobbava” il grande cancello scorrevole con lo striscione sindacale e grandi cartelli vari e via via si aspettava che si infoltissero le schiere. Al sito (da dove partivano le squadre giornaliere o settimanali – tutti uomini – che si sparpagliavano nel territorio) facevano riferimento alcune centinaia di lavoratori. Era di fatto diventato un rito, di buon auspicio per la giornata. Un momento di appuntamento generale. Anche ilare in certe circostanze, pur turbate dalle questioni che caratterizzavano la “battaglia”. Coscienti che lo sciopero, specie delle otto ore (come questo del 12 dicembre) ha un costo economico pesante per lavoratori e lavoratrici: un vero e proprio sacrificio. Altro che “villeggiatura” come in tante occasioni gridato ad alta voce da taumaturgici variegati leader politici dalla vita facile.

In questi eventi si incontravano tutti. Molti non si vedevano da tempo. Un’occasione, speciale, di partecipazione, di socialità genuina. Di lunga assemblea all’aperto. Con il megafono sempre in opera. Alle discussioni di confronto sulle motivazioni della vertenza, nei tanti raggruppamenti che diventavano sempre più folti occupandone la larga area esterna, si intrecciavano gli scambi, le notizie, le domande, anche sullo stato personale. Cresceva forte l’amicizia collettiva. Un pathos, di forte comunanza, irripetibile in altre circostanze caratterizzava gli assembramenti. Negli scioperi dell’intera giornata lo stazionamento durava a lungo.

Quando iniziò la fase di ristrutturazione con i variegati e minacciati licenziamenti, gli sguardi restavano depressi e le parole si fecero dure. Per lo più si era monoreddito. Il lavoro, oltre che dare dignità civile, necessita fondamentalmente per mantenere la famiglia. Lo stesso avveniva nelle diverse occasioni di licenziamenti individuali verificatisi. Non si aspettava solamente la “Giustizia”, sull’avanzato articolo 18 (quello ora subdolamente abolito per i nuovi assunti dagli “allegroni” di turno). Le mobilitazioni scattavano subito compatte, riempendo anche le aule del tribunale nelle udienze.

Questi lavoratori avevano sempre il cuore grande. In parecchie circostanze – licenziamenti, infortuni mortali sul lavoro, eventi gravi – scattava, tramite la rappresentanza sindacale, la più attiva solidarietà, raccogliendo considerevoli fondi economici di sostegno.

* * *

Angelo, infaticabile sindacalista di base per tanti anni. Poi, dopo il licenziamento, entrato nella struttura. Lavorava in un grosso sito metalmeccanico. Una di quelle tante grandi aziende dell’area industriale che vedevano migliaia di occupati. Poi con le “modernità”, gli ambiti produttivi dell’area si sono fortemente rimpiccioliti, facendo crescere in maniera dirompente la disoccupazione. Anche la fabbrica di Angelo fu colpita dallo “smontaggio”. Scattò immediata la resistenza operaia e l’occupazione, durata per lungo tempo. La lotta diventò subito un simbolo. La sera gruppi di operai venivano in pellegrinaggio per dare sostegno. Molti compagni dei tanti Consigli di fabbrica dell’area industriale si attivarono costantemente. A Natale venne anche il vescovo… per portare conforto. E Angelo, sempre presente, notte e giorno, con mente lucida fu sempre infaticabile organizzatore e principale punto di riferimento.

Salvatore – il secondo – lavorava in una grande azienda a nord della città. Persona pacata, gran faticatore e buon rappresentante sindacale. Più che all’impulso lasciava spazio al ragionamento. Quando scattarono i licenziamenti, tanti – diverse centinaia –, venne fuori tutta la grinta. I momenti furono molto travagliati. I lavoratori “presero” il sito, occupandolo per lungo tempo. Quando sgorga la rabbia operaia non è per niente facile mantenere il controllo. La perdita del posto di lavoro fa andare fuor di testa. In diversi, che ciarlano al sicuro, dovrebbero provarlo direttamente per sentire sulla propria pelle l’effetto che fa. Ci fu anche un lungo strascico giudiziario, per “occupazione di sede stradale”. Salvatore, amico e compagno di tutti – cosa non facile in tali accadimenti – restò sempre in testa all’onda.

E qui mi fermo, per non abusare troppo della memoria.   

(*) La miscellanea di oggi – cioè 24 post intorno a scioperi, fatica, diritti e alla lunga storia delle lotte per un mondo migliore nel quale lavorare non significhi rischiare la pelle o essere sfruttate/i – è curata dalla piccola redazione di questo blog. Qui e nelle piazze lo ripetiamo: «l’unico generale che ci piace si chiama sciopero».

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