Sull’autobus

di Maria G. Di Rienzo

Ho cercato di legarmi le mani ma… scusatemi, è più forte di me. Chiamatelo un “raptus”, se vi sembra meglio. Non volevo scrivere dell’argomento di cui sto per scrivere. Dopotutto – pensavo –  l’ho già fatto l’anno scorso (vedasi il post “Diecimila”). E in dodici mesi da allora, ho letto nella lista dei termini usati nei motori di ricerca per arrivare al mio sito cose da far tremare i polsi e indurre al rigetto dei pasti, tutte collegate a un odio feroce verso le donne.

La frase che ho visto ieri, rivelatrice di un intelletto sublime, non appare nemmeno clamorosa, al confronto: «Le donne giapponesi ci stanno ai toccamenti sul bus?».

Ecco qua. Detesto ripetermi, però lo dico anche a lei, gentile cybernavigante che si pone la suddetta questione: un motore di ricerca non risponde alla domande, evidenza nei testi le parole che lei ha digitato. Quindi, google o virgilio non possono replicare: «Sì, certo, è la loro cultura. Anzi, una che ho palpeggiato ieri mi ha anche ringraziato sottovoce» oppure «Dipende. Se è di Okinawa potrebbe starci gratis, ma se è di Tokyo poi chiederà soldi».

Il motore di ricerca troverà le parole “donne”, “giapponesi”, “toccamenti” e “bus” e la farà finire, come di fatto è accaduto, sul sito di una femminista che vorrebbe tanto essere l’autista di quell’autobus dove lei molesta le donne per cacciarla giù, alla prima fermata, in modo pacifico e nonviolento. E offrire la propria testimonianza alle donne molestate se desiderano denunciarla.

Visto che ciò è improbabile – ma nessuno mi impedisce di sognare – spero che la prossima giapponese su cui lei allungherà le mani sia una cintura nera di karate o una maestra di aikido e la scaraventi fuori dal mezzo senza la mia assistenza. Potrebbe bastarmi anche che sull’autobus sia presente il fratello della suddetta, lottatore di sumo, e che costui si limiti a sedersi sul suo petto per impedirle altri gesti inconsulti.

Fra parentesi: non ci piace. Che noi si sia italiane, giapponesi, islandesi o marocchine o qualsiasi altra nazionalità le venga in mente. Lo tenga presente. Non ci piace. Spesso non reagiamo subito, o non reagiamo affatto, grazie alla valanga di spazzatura “culturale” che obnubila la sua mente, signor palpeggiatore, quanto terrorizza le nostre. Non vogliamo essere ridicolizzate dal suo «E’ pazza? Sono i movimenti dell’autobus, io mica l’ho toccata di proposito! Ma vada a farsi curare»; non vogliamo che l’aggressione abbia un’escalation, e cioè temiamo che alle nostre rimostranze lei userà le sue mani in modo diversamente brutale per picchiarci o ferirci; siamo paralizzate dal senso di colpa per il fatto che siamo donne e ci chiediamo cosa abbiamo fatto per indurla a molestarci, se la gonna è troppo corta o se il taglio di capelli è troppo appariscente. Allora ci spostiamo, disgustate, umiliate, in silenzio, sperando ancora di aver inteso male, sperando che lei non ci seguirà, sperando che sia l’ultima volta.

Questo è ciò che le sue mani inducono nelle sconosciute che lei tocca sugli autobus. Non si illuda di accendere desideri o di scatenare fantasie. “Schifo” è quel proviamo: una sintesi un po’ triviale, ma spero di averle reso l’idea.

Redazione
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