Terrore dell’infinito

di Fabrizio («Astrofilosofo») Melodia

 PARTE PRIMA: LA ZONA DEL CREPUSCOLO

Dove si tenta di esprimere la quiddità dell’ Essere parmenideo

 «Cadrò nella divinità silenziosa

dove non c’ è opera nè immagine».

Umberto Eco, «Il nome della Rosa» (pag. 503)

I.1.Il Nome della Rosa ( Il senso dell’ Essere)

A questa desolazione cui allude Eco, fin dai primordi, si è tentato di porvi rimedio, affinchè l’uomo non cadesse preda di questo deserto silenzioso in modo che non abdicasse mai ad una necessità che lo umilia e lo nullifica come individuo. Il primo che ebbe l’ ardire d’ attraversare la sabbia rovente che tutto divora e consuma dentro sé stessa fu l’eleate Parmenide.

La sua, probabilmente, è la sfida più radicale al comune modo di rapportarsi al nulla. Della sua opera monumentale «» (Sulla Natura) rimangono pochi frammenti, di cui alcuni molto ampi come l’ allegorico proemio, nel quale viene descritto il viaggio iniziatico d’ un giovane su d’ un carro trainato da cavalle verso «il cuore solido della verità circolare» (frammento B1 v.29), ritrovandosi innanzi ai portali del Sentiero del Giorno e della Notte: e il giovane opterà per il Sentiero del Giorno, che lo porterà al centro della rosa mistica1, alla Verità: il senso dell’Essere.

Parmenide pone contro il nulla il principio più fermo di tutti: «L’ Essere è, mentre il nulla non è» (fr. B6, vv. 1-2). Questa è la strada della persuasione, che afferma l’ impossibilita assoluta per l’ Essere d’ identificarsi od essere in parallelo con il nulla. Emanuele Severino afferma: «L’ Essere, dunque, non è la totalità che è vuota delle determinazioni del molteplice (Parmenide) ma è la totalità delle differenze, l’ area al di fuori della quale non resta nulla, ossia non resta alcunchè di cui si possa dire che non è un nulla. L’ Essere è l’ intero del positivo»2.

Dopo aver distrutto senza remore il nichilismo, Parmenide pone dei dei contrassegni, degli astri guida per mezzo dei quali non si smarrisca il Sentiero del Giorno. Luigi Ruggiu nota: «Il segno è significante solo per chi ne conosce il valore. Il segno impedisce equivocazioni ed ambiguità, che sono invece possibili quando i segni sono assunti in modo del tutto incongruo, cioè senza il riferimento a ciò di cui pure essi sono segno»3. I segni hanno funzione di portare alla luce la natura della totalità dell’ Essere attraverso la negazione del non essere di una particolare determinazione manifesta, naturalmente tenendo presente l’assunto esposto precedentemente, senza il quale la particolare manifestazione perderebbe la sua funzione di ( indicare ) a favore di una mera interpretazione fallace che ammetterebbe la nientità dell’ Essere.

I contrassegni sono esposti con alfa privativo per indicare il loro non essere nulla. Il primo  rende manifesta l’ ingenerabilità (  ) e incorruttibilità (dell’ Essere. Parmenide esclude una genesi dal nulla (ex nihilo):

«Come e da dove sarebbe cresciuto? Dal non essere? Non ti permetto

di dirlo nè di pensarlo; non si può dire o pensare

ciò che non è. Da quale bisogno potrebbe essere spinto

a nascere prima o poi sorgendo dal nulla?». (fr. 8, vv. 6-9)

Luigi Ruggiu commenta a proposito: «Se il fondamento è il nulla, allora non esiste alcuno spazio all’ introduzione di una ragione sufficiente (la necessità) in grado di spiegare l’intervento di una forza o potenza originaria che abbia dato origine al reale. […] Esso [ il nulla] si pone come totale assenza di ogni causa efficiente»4. Ma allora vi può essere una genesi ex ente?

La risposta è decisamente negativa. Infatti se l’essere si generasse ex ente, significherebbe che questo suo cambiamento farebbe precipitare qualcosa nella zona in cui prima non era e, contemporaneamente, accetterebbe in sè determinazioni del non essere, quindi l’ Essere non sarebbe.

Questo segno distrugge completamente il divenire: infatti, se si ponesse realtà al divenire, si verificherebbero le situazioni poc’ anzi citate.

Inoltre l’Essere è «non diviso nè divisibile» (fr. B8, v.22). Infatti non è divisibile per il fatto che l’elemento unificatore delle cose è l’ Essere e, poichè tutto è, ciò che si differenzia e quindi si divide è non essere.

L’Essere, dunque, è l’assolutamente positivo, privo di ogni impurità. Ma che cosa impedisce all’ Essere di venire a costituirsi come nulla?

I.2. Omnium principium firmissimum (Sul principio di non contraddizione)

Non si potrebbe affermare l’Essere senza il omnium firmissimum principium, il principio di non contraddizione.

Se l’Essere infatti perdesse questo principio, si avrebbe che il nulla sarebbe parallelo all’entità suprema, ma ciò è impensabile e impossibile. Questo principio non può essere esterno al suo trasceso, poichè esso non sarebbe, ma è la struttura genetica dell’Essere stesso. Il pdnc – principio di non contraddizione – viene formulato da Aristotele in questo modo: «»5 (Metafisica 1005b 19-22).

Non vi può infatti essere verità due facce, poichè significherebbe che una faccia “x” sia e allo stesso tempo non sia sotto la medesima relazione alla faccia “y”. Ammettere che il non essere sia è negare il pdnc, poichè ammetterebbe, logicamente, che il divenire è possibile, dato che verrebbe a costituirsi un momento in cui l’Essere non conviene a se stesso nella medesima relazione, poichè sarebbe quando è e un altro momento in cui non sarebbe quando non è. Ciò, per la necessità dell’Essere è una follia. Il pdnc è immediato, poichè si necessita un principio che impedisca di cadere in contraddizione mortale.

Ponendolo come principio, Parmenide lo fonda non più su determinazioni materiali ma su qualcosa d’ immutabile che l’ oltrepassa. Con lui, viene a costituirsi una vera e propria ontologia. Ma non si distrugge il concetto di “uomo”?

PARTE SECONDA: UN CANTICO PER LEIBOWITZ

Dove si cerca di dare una linea essenziale al concetto greco di “uomo”

«Lo avevano reso senziente…ma lui era rimasto

in trappola. Era una macchina. Gli avevano permesso

di essere ma non di agire. Preso dalla rabbia

ci aveva ucciso, ed era rimasto egualmente intrappolato.

Non poteva muoversi, non poteva trovare il suo posto.

Poteva soltanto essere».

Harlan Ellison, «I have no mouth and I must scream» (1976)

II.1. Leibowitz! (L’individualismo umano)

Diceva Aristotele: «L’ uomo è nato per due cose, per capire e per agire, quasi fosse un dio mortale» (Protreptico, 10c, 2).

Tenendo nella debita stima l’affermazione aristotelica, si potrebbe affermare che l’Io, lo spirito libero, inizia a prendere maggior consapevolezza sulle possibilità della sua conoscenza e della sua capacità d’ agire per mettere in pratica il suo sapere.

Mondolfo riporta una citazione da Hegel molto interessante: «Lo spirito greco comincia dal naturale e passa allo spirituale; ma questa attività spirituale è essenzialmente l’ inizio di qualcosa di naturale e perciò lo spirito non è ancora al tempo stesso la spiritualità incondizionata e libera, non è ancora la spiritualità perfetta in sè stessa e che prenda perfettamente da sè stessa i suoi stimoli…questo spirito non è ancora lo spirito completamente libero, che riposa su sè stesso»6.

La verità è là fuori, dunque. Per i greci presocratici non si può dunque parlare di spirito libero, perchè questo spirito non possiede ancora caratteristiche di riflessione sul contenuto, non solo sensibile, del suo pensiero come innato, ma è ancora contaminato dal senso del Logos ossia quel senso di penetrare le cose nel loro intimo senza sovrapporre alcuna interpretazione, arrivare a sentire la voce incontrovertibile delle cose.

In questo senso, però, tutta la realtà può essere tranquillamente considerata come una verità in sè, come tuttavia l’ uomo considera se stesso, si considera realtà in sè come ossia pensare. Egli è calato in un mondo, soggetto come tutto il resto alla ferrea immutabilità del divenire e la sua libertà può consistere proprio nel porsi valori per poter agire rettamente nel mondo o infrangerli, ma sempre potendo pensare di non essere necessitato incontrovertibilmente, dato che può sempre fare l’ opposto.

Per Parmenide, ricordando perfettamente tutto il discorso delineato nella prima parte, è possibile una libertà fondata sul concetto delineato poc’anzi?

II.2. Leibowitz è morto! (Impossibilità dell’uomo in Parmenide)

Leibowitz è veramente morto! La sua libertà, il suo essere “umano” nel senso che si è trattato, è morta!

E’ possibile sinceramente intonare un cantico funebre in suo onore, poichè la sua umanità s’ è rivelata essere la sua tomba e la sua sapienza altro non è se non il suo epitaffio.

Infatti, che cosa potrebbe essere l’ (ente), se non il sepolcro dell’individualità?

Scrive Aristotele: «La felicità è attività e uso perfetto della virtù» (Politica, 1332a 9).

La divinità stessa quindi impedirebbe all’uomo di essere “humanitas”, poichè, non potendo agire nell’Essere, l’umano non può raggiungere ciò a cui tutti tendono ovvero alla felicità. La divinità diventerebbe dunque una necessità altro da sè a cui relegare il tremendo fardello della libertà responsabile. Se ogni ente fosse eterno,come è dato da intendere, l’etica di non uccidere non avrebbe alcun significato, poichè la nostra volontà di fare o non fare consisterebbe in qualcosa di necessariamente inattuabile.

Inoltre, poichè la totalità è piena di Essere, l’intero positivo riunirebbe in sè ogni ente, anche il più infimo, in un formicaio brulicante d’ indeterminatezza. Praticamente l’ uomo non ha bocca e deve urlare!

Può conoscere ogni cosa, poichè il suo pensiero coincide con l’Essere7, ma non può agire. Quindi viene meno anche quella capacità dell’uomo di adattarsi agli stimoli che provengono dall’ambiente esterno, e, in questo caso, l’ambiente esterno, la verità in sè, coincide con lui non può esserne separato: vi è una perdita d’ identità, l’uomo è uno, nessuno, centomila delle apparizioni vere dell’Essere.

Ma questo Parmenide l’intenderebbe come un pensiero o constatazione di opinione fallace che ha deviato nel Sentiero della Notte. Vi è una terza via, la quale è doveroso imboccare per prendere coscienza se Parmenide ha veramente voluto intendere il discorso precedente. Anche se un pensiero, a prima vista, sembra strano o folle, sopraggiunge in quel momento la spinta a interpretarlo nella maniera giusta, nel suo “Sentiero del Giorno”.

PARTE TERZA: ACCADDE DOMANI

Tentativo d’ ipotizzare una soluzione all’ aporia parmenidea

«Il gregge alza la testa, ed è digiuno,

nel vento aspira una nebbia mefitica,

marcio di dentro, colpito dal contagio».

John Milton, «Lycidas»

III. Nuove creature!

Accadde domani il costituirsi della struttura di un orrendo contagio. Questo inarrestabile morbo si era sviluppato nel deserto ove non vi è opera nè immagine e aveva soppiantato e occultato la reale entità originaria. Ora il cosmo era un ammasso di spazzatura da cui evaporava incessantemente un odore mefitico e immondo.

Parmenide si era presentato come la sfida più radicale alle opinioni fallaci dei mortali, ma essi non vollero consegnare la loro libertà, il loro individualismo nelle mani artigliate della necessità. L’aporia ha l’apparenza d’insolubilità per quanto riguarda ogni ragionevole modo di pensare fenomenologico, ma se fosse possibile ipotizzare una soluzione?

Si potrebbe ipotizzare, per mezzo di “instrumenta cognitionis” moderni, un toglimento dell’ aporia nel seguente modo.

Si inizia ponendo come assioma un frammento parmenideo: «» (fr. B3) ovvero «Infatti lo stesso è pensare ed essere».

Ruggiu fa notare: «Se infatti il pensare fosse altro dall’Essere, ne seguirebbe di necessità che l’Essere non è tutto (proprio perchè, oltre l’Essere (, dovrebbe sussistere il pensare come altro dall’Essere»8.

Tenendo come principium firmissimum quest’affermazione si può allora aggiungere ciò che scrive Severino: «Nella struttura originaria della verità dell’Essere, l’Essere che appare include necessariamente il suo stesso apparire: la posizione (ossia l’apparire) dell’apparire dell’Essere è già la posizione di sè medesimo, e quindi non è qualcosa che debba venire successivamente fondato»9. Più avanti aggiunge: «Nella verità dell’Essere, l’apparire è coscienza dell’autocoscienza. […] L’eterno apparire della verità è innanzitutto l’apparire attuale. L’attuale coscienza dell’autocoscienza, secondo cui si struttura la verità dell’Essere, è il significato originario della parola ‘io’. ‘Io’ significa: “questa eterna autoriflessione dell’apparire, nella cui verità da sempre abita l’ Essere”»10.

A quest’ultima affermazione si presta particolarmente per una piccola connessione un brano di Giovanni Gentile: «Un pensiero altrui, pur volendolo pensare come altrui, non possiamo pensarlo se non pensandolo come pensiero, intendendolo, ossia scorgendone il valore: e, in altri termini magari provvisoriamente, consentendovi e facendolo nostro. Un pensiero nostro, ma già pensato, non si ripensa se non quanto si rivive nel pensiero attuale; e cioè solo e in quanto esso non è il pensiero d’ una volta, distinto dal pensiero presente, ma lo stesso pensiero attuale, almeno, almeno provvisoriamente. Sicchè pensare un pensiero (o porre il pensiero oggettivamente) è realizzarlo; ossia negarlo nella sua astratta oggettività per affermarlo in un’ oggettività concreta, che non è di là dal soggetto, poichè è in virtù dell’atto di questo»11.

Alla luce di tutto ciò, si potrebbe azzardare una simile spiegazione.

Se si definisce l’Essere come pensiero e si interpreta rettamente l’affermazione citata di Severino, si può dedurre che l’uomo non è ridotto, percorrendo la via del giorno, a mero apparire dell’Essere, ma verrebbe a porsi come struttura dell’Essere; ossia, come qualsiasi ente (come, a esempio, gli arbusti e gli umili tamerici), l’ uomo è l’Essere.

Per quale motivo? Se si considera come vero tutto ciò che si è detto dell’Essere, allora l’Essere, essendo  è pensiero di tutti gli enti e essi sono pensiero. Appunto considerando il pensiero come attuale, si può comprendere come l’ uomo sia l’Essere (insieme alla Totalità).

Infatti, secondo Gentile12, la realtà sensibile non può in alcun modo esistere come verità in sè, come una  esterna e indipendente al pensiero, rendendo quindi inconcepibile il divenire. Se il pensiero è veramente un incremento della realtà, se «la cosa in sè» fosse concreta, conterrebbe già tutta la verità pensabile, quindi il pensiero dialettico non solo non la incrementerebbe ma non avrebbe uno sviluppo da essa. Se si considera il divenire come qualcosa di esterno al pensiero e non come ciò che lo costituisce, il pensiero stesso s’irrigidisce e diventa qualcosa di statico e immutabile.

A questo punto, sembrerebbe quindi impossibile risolvere Parmenide se non si tenesse conto delle affermazioni di Severino citate sopra: ritenere il pensiero come “atto” è considerare possibile costruire e distruggere qualcosa, ovvero che essa è quando non è, ed insieme non è quando non è. Ciò è impossibile ().

L’ Essere, in quanto «coscienza dell’autocoscienza», si struttura come l’apparire che include se stesso come contenuto, ovvero possiede «autocomprensione». E non può non manifestarsi altrimenti non sarebbe, ma quelle manifestazioni non racchiudono in se stesse il Logos dell’Entità, ma sono i pensieri che si conoscono includendosi nel loro apparire, ed esso risulta una specie di eterno presente. L’uomo, quindi, non solo verrebbe a essere natura (ma anche cosmo () e tutto ciò che sta oltre i più lontani quasar.

Ma l’ uomo non ha già costruito e varato navi stellari?

CONCLUSIONE:  NON E’ TERRESTRE

L’ uomo ha lanciato gigantesche navi stellari oltre i quasar, quasi a voler salire alla struttura originaria dell’infinito. Ma la sua mente aveva occultato ciò che aveva scoperto in terra, l’avvertimento di qualcosa di assolutamente alieno e terrificante proveniente dall’infinito.

Aveva lottato contro i figli di questo infinito, mostruose divinità aliene che, per quanto terrificanti, erano ben corporee e si prestavano a essere affrontate con le armi salvifiche e medicamentose che la mente umana era riuscita a concepire.

L’infinito infatti, pur essendo divisibile infinitamente, e le sue determinazioni, che sono le entità aliene contro cui l’uomo guerreggia, anch’esse divisibili all’infinito, si presentavano come una sfida coloniale per porre la necessità della parola umana contro le loro paure che li necessitavano nelle grotte fortificate.

Ma, al limite estremo dell’infinita struttura, i loro incrociatori stellari si ritrovarono di fronte a un monolito nero, completamente oscuro e incomprensibile.

Essi furono attirati inesorabilmente in esso, venendo lentamente ristrutturati fino alla radice della loro entità.

Dall’alto ormai guardavano ciò che erano stati. Ormai il passo era compiuto. La domanda che rimaneva risuonava più o meno in questa foggia:

Essendo l’Essere, l’umanità troverà serenità al terrore dall’infinito, dalla sua nientità?

OPERE CONSULTATE

Aristotele, «Il principio di non contraddizione», a cura di Emanuele Severino, 5° ed., Brescia, La Scuola Editrice, 1993.

Gentile, Giovanni, «L’ atto del pensare come atto puro», in id., «La riforma della dialettica hegeliana», Sansoni, Firenze 1975, pp. 183-193 (ora in Severino E., «Antologia filosofica», BUR, Milano 1994, pp. 395-399).

Mondolfo, Rodolfo, «La comprensione del soggetto umano nell’antichità classica», La nuova Italia, Firenze 1967.

Ruggiu, Luigi, «Poema sulla Natura: i frammenti e le testimonianze indirette», Rusconi, Milano 1991.

Ruggiu, Luigi, «Parmenide», Marsilio, Venezia-Padova 1975.

Severino, Emanuele, «Ritornare a Parmenide», in «Rivista di filosofia neoscolastica», 1968 (II); ora in Severino E., «Essenza del nichilismo», Adelphi, Milano 1995.

Severino, Emanuele, «La terra e l’ essenza dell’uomo», in «Il giornale critico della filosofia italiana», 1968 (III).

NOTE

1 Nel romanzo d’ Umberto Eco, la Rosa, oltre a simboleggiare il labirinto del mondo, rimandava anche alla possibilità da parte dell’ umano di conoscere il divino una volta giunti al suo mistico centro. Cfr. U. Eco, Il nome della Rosa, ed. Bompiani, Milano 1995.

2 Emanuele Severino, Ritornare a Parmenide, pag. 27.

3 Luigi Ruggiu, Sulla Natura, pag. 59.

4 Luigi Ruggiu, Parmenide, pag. 243.

5 La traduzione di Emanuele Severino è questa: «E’ impossibile che la stessa cosa convenga e insieme non convenga a una stessa cosa e per il medesimo rispetto».

6 Rodolfo Mondolfo, La comprensione del soggetto umano, pag. 19

7 Parmenide afferma: «Il dire e il pensare deve essere l’ Essere perchè l’ Essere è» (frammento B6 v.1).

8 Luigi Ruggiu, Sulla Natura, pag 63.

9 Emanuele Severino, La terra e l’ essenza dell’ uomo, pag 238.

10 Emanuele Severino, ibidem.

11 Giovanni Gentile, «L’ atto del pensare come atto puro» (ora in E. Severino, «Antologia filosofica», pagg.395-396).

12 Giovanni Gentile, ibidem.

Redazione
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