Teseo e il filo di Arianna

di Mauro Antonio Miglieruolo

Il mito racconta di Teseo che abbandona Arianna dopo che questa gli ha fornito il mezzo per uscire dal labirinto del Minotauro. Una meschinità che mal si attaglia alla figura di un eroe; e mal si attaglia alla logica della vicenda. Probabilmente, leggo, qualcosa del racconto originario è andato perduto, da cui incompletezza e incoerenza della narrazione. O forse, più probabilmente, dico io, coloro che ne hanno perpetuato le vicende non sono andati per il sottile, contentandosi di esporre l’aspetto più significativo del mito, che poi è la ragione per cui è stato creato: Teseo, simbolo del processo (senza fine?) della civilizzazione umana; e posto poca attenzione alla evoluzione del personaggio e alla congruenza degli esiti finali. È significativa per altro la mancata correzione delle discrepanze nel corso dei molti secoli che sono seguiti.

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Teseo, a parte la adesione del personaggio con l’uomo o gli uomini o gli avvenimenti che hanno fornito lo spunto per la narrazione, è dato per far emergere alla coscienza dell’umanità (della grecità) la esigenza di effettuare un passo in avanti nel processo di civilizzazione avviato. Teseo è anche la premessa (una delle tante) alla invenzione della letteratura.

Il suo è un viaggio simbolico nella psiche, in un’avventura che non è rivolta a edificare un determinato tipo umano, ma tutti gli uomini. Cioè un messaggio all’Umanità. Esso pone la necessità che venga posta una distanza maggiore tra gli individui e la loro parte istintuale. L’orribile Minotauro (simbolo) occorre sia soppresso, affinché le contraddizioni di una umanità appena uscita dallo “stato di natura”, non distruggano il quanto di civiltà guadagnato.

Compito dell’intera umanità, dunque; all’interno della divisione dei compiti stabilita; e dentro gli obblighi che donne e uomini condividono e ai quali devono ottemperare in quanto se li sono dati.

L’azione di uccidere il Minotauro è affidato all’uomo in quanto, per convenzione ammessa e praticata, l’uomo difende, la donna guida e sostiene. Ma il ruolo di Arianna (prudenza, accortezza, preveggenza), parte integrante del mito, è molto più ampio. Nei propri viaggi l’uomo è sempre in procinto di perdersi. Per ideologia non tiene sufficientemente a bada i propri “istinti”. Egli definisce tali “istinti”, le autoindulgenze che, in quanto genere dominante, si è concesso il lusso di affermare. Nei viaggi per i mondi della psiche, della realtà e dell’oggettività, su e giù per i deserti che occorre attraversare e i pericoli in cui si imbatte – la vita è pericolosa, affermava Guimaraes Rosa – il ritorno a casa (Ulisse) è l’elemento che permette alle storie di essere, di coinvolgere le persone e avere cittadinanza nella loro coscienza. Il ritorno a casa, al focolare, alla donna… ma come partire (e riuscire a tornare) senza una guida, un indirizzo che determini la possibilità del ritorno? La spada di Teseo, la forza, la determinazione, il trascinare sé stesso (ed altri) oltre il limite (o anche solo di restare nel limite delle enormi fatiche quotidiane), presuppone l’esistenza di un filo che gli permetta di orientarsi nel labirinto della vita. L’uomo spacca, ruba, uccide, compie grandi imprese, ma a quel filo è legato, pena la sopravvivenza. Permettetemi allora di chiosare me stesso affermando che l’uomo può essere leader, la donna è sempre dirigente.

Ho detto del ruolo di Teseo nell’invenzione della letteratura. In particolare nell’invenzione di quella tendenza al fantastico, prevalente nei suoi primi passi, la cui pratica nei tempi moderni diventerà letteratura di fantascienza. Accanto a Teseo bisogna poi porre almeno un altro mito, molto più noto e coerente: quello di Ulisse.

Nota: Pongo a tutti una domanda: Ulisse è forte di suo, oppure è forte anche della forza morale presa in prestito da Penelope? la quale, debole donna, tiene a bada per anni una turba di ambiziosi che non hanno nemmeno iniziato a fare i conti con il proprio personale Minotauro… È la sua resistenza che rende possibile il trionfo finale di Odisseo.

Ambedue i miti essendo avventura, sogno, speculazione e senso delle storie (del succedersi di eventi che sintetizzano sovrastano e spiegano la quotidianità, attraverso l’espressione del senso ultimo delle cose). Ambedue avviano una tradizione che continua nei millenni per arrivare all’oggi. A volte rispettando i canoni dell’Accademia, a volte scendendo a livello delle osterie (vedi fantascienza degli anni ’20) differenziandosi esclusivamente per il linguaggio, o non differenziandosi (dall’Accademia) quando è un buon scrittore a trattare l’argomento. L’esempio che più mi piace porgere è il Dante della Commedia, che porta al livello più alto i racconti che sugli inferni circolavano liberamente nel medioevo: prima, ma anche dopo la condensazione del grande poema. Sul piano della fantascienza per chiarire ulteriormente ritengo basterebbe il nome Dick. Non bastando (San Tommaso essendo non unico nella storia) aggiungo quelli di Vonnegut, Orwell, Ballard, Brunner, Lem, Sturgeon (e altri).

Per ottenere il risultato della nascita del letterario – e per inciso: della nascita dello scientifico – occorre che il mito, strumento esclusivo delle origini per mediare il rapporto uomo/natura, si divida; si scinda e diventi scienza e diventi arte. Questa divisione, lo sappiamo, ha avuto luogo; si è affermata ed è durata: ne siamo la prova, ha prodotto tutti noi qui, quei pochi, che allegramente considerano; nonché tutti coloro (i più) che non scrivono e non leggono e non considerano. Una divisione la cui peculiarità è simile a quella dei “separati in casa”. Mito, scienze e arti continuano, nel mentre cercano stabilire una lontananza, a procedere nutrendosi reciprocamente, fino ai tempi moderni, quando la scienza ingaggerà una lotta titanica con la Chiesa per emanciparsi radicalmente (ma non definitivamente) dai residui mitici che la abitano (nella forma dell’ideologia o di quella che alcuni, più colti di me, definiscono “metafisica influente”); mentre le arti, attraverso l’evoluzione delle forme, stabiliscono regole che dovrebbero difenderla dal mito (necessariamente lo includono: lo includono a mezzo degli archetipi che continuano nell’Uomo); ma che in realtà l’avvicinano alle scienze, quali forme di conoscenza del mondo; dalle quali però si allontanano centrate come sono (sempre più) sulla rappresentazione della condizione umana, la cui oggettività risiede nella soggettività di una sfera del razionale che attiene all’intuizione, alla percezione, al sentimento. Tale doppia tendenza è unificata dal cinema. Non solo e non tanto perché usufruisce della tecnologia per farsi, ma in quanto, uguale alla scienza, ritaglia dall’oggettività i dati utili ai propri fini, fini che però mai esplicita. Non è arbitrio allora affermare che le arti parlano a nuora affinché suocera intenda. Mentre la scienza, con sincera ed inevitabile intenzione, parla direttamente sia all’una che all’altra.

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Ma noi qui ci siamo distratti dallo scopo dichiarato. Ci siamo distratti a causa della necessità dell’autore di spiegare e spiegarsi; e per necessità del lettore di essere fornito di strumenti per intendere e volere ben oltre i limiti ufficiali di quel che è ammesso egli sappia.

Perciò torniamo alla tesi con la quale è stata avviata la riflessione: che Teseo è l’inizio (probabilmente un ennesimo inizio, il più chiaro e incontrovertibile) della presa d’atto della necessità d’una rottura (sempre più radicale) con il dominio della parte animalesca di sé stesso; rottura che non può essere effetto di un atto o più atti di volontà, ma occorre diventi una presa d’atto culturale che spinga incessantemente in direzione del dominio dell’uomo sull’animale.

Ecco perché (un secondo perché) azzardo l’ipotesi che Teseo rappresenti l’effettivo inizio della letteratura. La letteratura è rappresentazione, indagine sullo stato profondo delle cose, sulle problematiche umane e sull’uomo. Teseo è tutto questo, nella forma di un mito che inizia a guardarsi per scoprirsi, scoprire in quale mondo vive, quali i pericoli, quali i ritardi, quali le aspirazioni per il futuro. L’uccisione del Minotauro è tutto questo e anche più: è la presa di distanza da un uomo ancora troppo poco convinto dal suo voler essere Umano; inconsapevole del rapporto alienato con il femminile, ma dalla cui alienazione avverte il disagio e che già comincia a sospettare di doverci mettere le mani. È il plateale, quasi retorico, riconoscimento del ruolo delle donne nella emancipazione del genere uomo e nella emancipazione dell’insieme umano-sociale.

Il filo d’Arianna è molto più di un forte espediente narrativo, una sorta di deus ex-machina cosmico per permettere la soluzione di un evento altrimenti impossibile. È la rappresentazione del bisogno sociale, promosso su iniziativa delle donne e non solo delle donne, di sottrarsi al dispotismo del Minotauro, che muove gli uomini e ne è la giustificazione. Il filo di Arianna implica qualcosa in più, qualcosa di non banale, del processo di emancipazione dell’Umanità. È il nodo dei nodi: il rapporto tra maschile e femminile, il rapporto dell’uomo con il mondo e il rapporto con sé stesso. Il racconto dell’uccisione del Minotauro costituisce una specie di proposta di svolta, o meglio la condizione necessaria affinché la svolta abbia luogo.

Seconda nota: Arianna fornisce all’eroe – che parte alla caccia di sé stesso o del mammut o della tigre dai denti di sciabola (smilodonte) – lo strumento che rende possibile il ritorno. Si tratta di un “rifornimento” con il quale il femminile alimenta costantemente il maschile. La donna è la meta e lo scopo (e viceversa). E però con una sostanziale differenza. Che la donna lavora per migliorare l’ambiente umano sociale, lavora per avere compagni migliori (lavora per gli uomini, dunque, mentre lavora per sé stessa); e l’uomo (salvo numerose edificanti eccezioni) lavora per mantenere la donna nella condizione in cui la trova e si trova.

Gli uomini si estrinsecano nel materiale o nell’ideale, inventano, scoprono, compongono: cose mirabili sono state offerte da loro in diecimila anni di evoluzione; ma è il sentire della madre e l’amore della madre (per fortuna presente in piccola parte anche negli uomini) che invita alla ricerca di mete più alte e convincenti. Che fornisce gli operatori artistici il materiale sul quale lavorano. Teseo, in un certo senso, al netto di tante sue contradizioni, non è altro che il prolungamento travestito della sensibilità di Arianna, guida nei processi di liberazione dalle ristrettezze materiali e dal peso di sé stessi, dall’ostacolo del buco nero interiore che finora ci ha impedito di salire per “riveder le stelle”.

L’oppressione attuale del capitale può avere luogo in quanto insiste questo buco nero (violenza, sopraffazione, ferocia, egoismo, sottovalutazione del femminile ecc.); invisibile debolezza culturale concausa del presente stato di universale oppressione.

 

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

Un commento

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    “Lo crederesti, Arianna?” disse Teseo. “Il Minotauro non s’è quasi difeso.”

    Jorge Luis Borges “La casa di Asterione”, da “L’Aleph”, Economica Feltrinelli 2008, trad. Francesco Tentori Montalto

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