Thailandia, ragazzini, i media e noi gonzi

di Bortocal e db (grazie per la collaborazione involontaria al grande Billy Wilder e al piccolo Paolo Mieli)

12 ragazzini salvati in Thailandia nelle grotte delle avventure di Tom Sawyer.

di Bortocal (*)

pronti tutti a commuoversi? (e poi dicono che gli italiani sono diventati razzisti!).

come è bello parlare di salvezza.

quanti ragazzini moriranno nello Yemen oggi sotto le bombe dei sauditi fabbricate anche in Italia?

quanti ne moriranno di fame oggi nel mondo?

. . .

8.000 bambini oggi 4 luglio, a contare soltanto quelli con meno di 5 anni, si spegneranno senza bisogno di grotte, ma per semplice mancanza di cibo.

3 milioni in un anno.

quanto agli adulti, qualcuno dirà che è meglio che muoiano lì, piuttosto che venire ad annegarsi nel Mediterraneo.

. . .

vorrei potere scrivere i nomi di quegli ottomila ottomila ottomila…

uno per uno, se si sapessero e se contasse qualcosa saperlo.

datemi dieci secondi per scrivere ogni singolo nome e ne scriverò 12 al minuto, 720 all’ora.

mi serviranno più di 10 ore per scrivere tutti i loro nomi destinati alla spazzatura della storia.

. . .

e mi resteranno altre 14 ore per mangiare, dormire, commuovermi per i 12 ragazzini thailandesi salvati nelle grotte e dimenticarmi poi subito di loro e anche di chi non ha la loro stessa fortuna di finire in pasto ai giornali.

Chi tifa, chi gioca, chi imbroglia

di db

Ha ragione Bortocal qui sopra. Completamente ragione. Eppure il desiderio che questi ragazzini si salvino (non sarà facile, mi pare di capire leggendo e ascoltando in radio le assai contraddittorie notizie) in sé non è ambiguo. Se facciamo il tifo perchè la vita vinca, è un sentimento nobile. Ambigua – o peggio – è la macchina della informazione/disinformazione che ci parla di loro e non degli altri. Come sempre notizie sparate e notizie sparite (**).

Nel nostro immaginario collettivo ci sono tanti – ma vaghi – ricordi di persone chiuse sottoterra e lì salvate o morte (***). Vi fu in Italia una lunga diretta televisiva per la tragedia di Alfredo Rampi – vedi qui: Incidente di Vermicino – Wikipedia – ma se là sotto invece restano intrappolati tanti minatori – scavare per la ricchezza di pochi …. là sopra – beh è “normale”; l’eccezione è che qualche volta si salvino (vedi Incidente nella miniera di San José – Wikipedia).

Per chi è appassionato di cinema – e magari in cerca di una riflessione se non di una “morale” – è imprescindibile il film di Billy Wilder nel 1951 che nell’originale si chiamò «The Big Carnival» e in italiano con il titolo scemissimo «L’asso nella manica». Al centro il binomio fra cattiva informazione e “le viscere” della terra che imprigionano umani. Fu – non per caso? – l’ultimo film drammatico (dopo girò soprattutto farse feroci) del grande Wilder.

Una scheda è qui L’asso nella manica – Wikipedia ma riassumo grezzamente per proseguire il discorso che più mi interessa. Kirk Douglas (nel film è Charlie Tatum: toh un cognome che fa rima con Barnum, il famoso circo) è un giornalista famoso e cinico che, per rogne varie, si ritrova in un quotidiano di provincia. Qui sogna il riscatto, anzi la vendetta. Ed ecco che un giorno Leo Minosa, un pover’uomo qualunque, rimane bloccato in una grotta. Douglas-Tatum organizza attorno a lui una mostruosa macchina giornalistica. Diventa amico (parlandogli attraverso un buco nelle rocce) dello sventurato lì sotto e per inciso amante della moglie, la quale sembra interessata più ai soldi che si possono fare con quella vicenda che a salvare il marito, Intorno alla galleria dove Leo Mimosa aspetta i soccorsi arrivano giornalisti da mezza America e una folla crescente con bancarelle ovunque: il “grande Carnevale” appunto, il circo Tatum. Con crescente cinismo Douglas-Tatum riesce a dirigere le operazioni ma non c’è un “lieto fine”.

Douglas-Tatum è una memorabile carogna. Wilder riesce a mostrare il cinismo del circo mediatico e, in parte, precorre i tempi. Il film non piacque al pubblico… istigato (che combinazione) dai giornalisti. Troppo cinico? Di sicuro lucidissimo nell’accusare l’informazione delle “tre S” (sesso, sangue, soldi) o se preferite delle “quattro S” (le 3 di prima più la “santità”). Ma forse lo spettatore medio non gradì di essere messo sotto accusa come un voyeur, o peggio un avvoltoio che svolazza intorno alla tragedia di un povero cristo mangiando pop corn e portando i figli sulle giostre.

Accadrà qualcosa del genere per i ragazzini thailandesi? Spero di no, temo di sì. In ogni caso “il grande Carnevale” è sempre più nelle redazioni e dunque nelle nostre vite.

PS: fatico a comprare ogni giorno “Il fatto quotidiano” e “il manifesto” ma – pur arrabbiandomi spesso – trovo talvolta qualcosa di interessante o importante e persino giornalismo d’inchiesta, controcorrente. Quando invece al bar sfoglio le tre testate («Corriere della sera», «Repubblica», «La stampa» del GPU – Giornalone Perbene Unico – mi prende lo sconforto a-s-s-o-l-u-t-o. Un paio di giorni fa sul «Corsera» nella pagina delle lettere era pubblicata CON GRANDE EVIDENZA la lettera di un Savoia (!) sui meriti africani del Duca degli Abruzzi (!!) e poche pagine dopo in una paginata di PMO – Paolo Mieli Ovunque – si spiegava che finalmente nuove ricerche svelano come quello Spartaco lì mica voleva liberare gli schiavi ma era interessato a farsi i cazzi suoi. Il grande Carnevale permanente.

(*) ripreso da Cor-pus (https://bortocal.wordpress.com)/che si presenta così: «perché vivere la vita se basta sognarla? – QUESTO BLOG PUO` NUOCERE GRAVEMENTE ALLA SALUTE DEI FANATICI DI QUALUNQUE TIPO. SE RITIENI DI POTER ESSERE OFFESO DALLA CRITICA APERTA AD OGNI TIPO DI POTERE, DI RELIGIONE O DI IDEOLOGIA DOGMATICA ASTIENITI DAL LEGGERLO, ma rispetta la liberta` di chi invece non ne ha paura, lasciando che se lo legga in pace, e se hai un Dio, vai sereno con lui, fratello».

(**) «sparite-sparate» era il titolo di una rubrica che anni fa tenevo, con gran fatica e altrettanto piacere, sul mensile milanese «Come solidarietà» – mannaggia, non esce più – e riprendevo in “bottega”.

(***) sul fascino e l’orrore del lavorare (o vivere e/o essere imprigionati) sottoterra cfr il mio piccolo dossier I mostri del sottosuolo che – non a caso – finiva così: «Là sotto topi, talpe, metrò, fogne… Fors’anche diavoli, passioni, popoli imprigionati. Certamente minatori. Dimenticati. Sino a che non si accende la telecamera. Qualche salvato. E tanti altri sepolti».

 

danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

3 commenti

  • Andrea Ettore Bernagozzi

    Notizia appena arrivata. Un soccorritore è morto mentre portava scorte al gruppo imprigionato nella caverna:

    “Thailand Cave Updates: Rescue Diver Dies During Supply Run”
    https://www.nytimes.com/2018/07/04/world/asia/thailand-cave-rescue-updates.html

  • Fabio Troncarelli

    Sono completamente d’accordo su ogni virgola di questo articolo. Bravo Dani!

  • Chelidonio Giorgio

    Il solito giornalismo “a doppio binario”, e quando serve la “sindrome di Vermicino” si usa e si abusa a piene mani. Per la cronaca: eremitando in questi giorni in montagna, dove si ricevono solo canali Mediaset e complici culturali assimilati (e anche RADIO RAI 3 è inascolatibile) posso testimoniare (causa i 2 o 3 temporali giornalieri) l’abuso della suddetta sindrome, intervallata da camionate di pubblicità e di soap opera di infima qualità, orientate a plasmare l’identità profonda degli italioti teledipendenti.

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