Thanatos

di Maria G. Di Rienzo

«Invece di usare una benda, i soldati serbi coprirono gli occhi di Enisa con i loro calzini. L’odore la fece vomitare, così la picchiarono affinché imparasse che i calzini serbi non puzzano». Sette “eroi della nazione” la batterono e la stuprarono per giorni e giorni. Dapprima Enisa tentò di resistere, così le fecero capire come stavano le cose rompendole i denti e la mascella con i calci dei fucili. Ogni volta in cui perdeva conoscenza le «facevano un bagno», cioè l’immergevano in acqua gelida. Terrorizzata dall’idea che sarebbe diventata pazza, di colpo pensò alla follia come a una via d’uscita. Cominciò a cantare canzoni serbe a voce sempre più alta e a ballare con gli uomini che avevano presumibilmente massacrato suo marito. I soldati erano confusi: la minacciavano, le tenevano un coltello contro la gola, ma lei non faceva che cantare le sue canzoni ancora più forte. Credendo che fosse completamente impazzita i soldati le prestarono meno attenzione ed Enisa riuscì a fuggire, nascondendosi in un sacco di patate. Quando la giornalista Seada Vranic parlò con Enisa alcuni mesi più tardi, nel luglio 1992, la donna che stava di fronte a lei aveva i capelli grigi, il viso contorto e camminava ingobbita: ma mancava solo un mese al suo ventottesimo compleanno. Seada raccolse e documentò oltre 300 testimonianze delle vittime degli stupri di guerra in Bosnia-Erzegovina riportandone 12, assieme a un’analisi sull’impatto sociologico e psicologico dell’accaduto, nel suo libro «Pred zidom sutnje» (l’edizione inglese si chiama «Breaking the Wall of Silence»). La portata delle esperienze che le donne le raccontavano era così devastante che Seada raggiunse l’orlo del collasso fisico e psicologico: «E’ stato difficile restare sana di mente».

Oggi la giornalista, nata a Travnik da genitori bosniaci nel 1949, vive con la propria famiglia a Ginevra. Seada Vranic fu una delle prime a riconoscere e attestare il fatto che lo stupro era usato come strategia di guerra nel conflitto serbo-bosniaco. Ancora oggi, sebbene siano passati dieci anni, quando parla della questione Seada deve lottare con se stessa per mantenere la calma.

«All’inizio non riuscivo ad accettare l’idea che lo stupro potesse essere una strategia per la guerra espansionistica. Pensavo: uno stupro non può essere commesso per ordine di qualcun altro, non è che si possa ordinare a un’altra persona di avere un’erezione. Una strategia implica subordinazione, sottomissione a un superiore. Ma dopo quattro mesi il mosaico mi divenne chiaro: località completamente differenti mostravano lo stesso svolgimento degli eventi, avevo testimonianze di vittime di stupro da ognuno di questi luoghi. Mano a mano che registravo le loro storie, la mia visione sulla natura dei crimini che avevano subìto cambiava. Capii che lo stupro non era semplicemente “sesso violento”: è un’aggressione agita tramite mezzi sessuali. E’ più vicino a Thanatos che a Eros. Capii che anch’io avevo idee errate sulla “natura violenta del maschio”, a causa del fatto che comunque vivo in un mondo in cui i maschi dominano. Persino gente seria se ne esce a volte con “Non ha potuto trattenersi, così l’ha stuprata”. Ti dicono che sarebbe istinto. Ma io ho potuto constatare come tutto veniva invece dalla testa, dalla volontà».

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