THE MISSING BOYS: NEW WAVE FROM SARDINIA
di Ignazio Sanna
Nella storia del rock (termine onnicomprensivo e ormai caratterizzato da un certo margine di ambiguità) esiste una cesura temporale, simile a quella tra avanti Cristo e dopo Cristo. Quel momento, storicizzato nel biennio 1976-1977, ha come momento simbolico l’uscita di God Save the Queen dei Sex Pistols (https://www.youtube.com/watch?v=yqrAPOZxgzU): un autentico shock sonoro per l’epoca. I cosiddetti dinosauri del rock vengono (temporaneamente) spazzati via in nome del do it yourself: non c’è più bisogno di avere alle spalle strutture professionali, e men che meno di essere provetti musicisti. Nel Regno Unito come negli USA ragazzi e ragazze imbracciano una chitarra e salgono sul palco, non c’è più differenza tra pubblico e musicisti. La musica non più come business, dunque, ma come fatto profondamente democratico. Ma c’è un ma. Come in gran parte delle vicende umane, anche qui c’è chi romanticamente ci crede davvero e chi invece opera nel più assoluto cinismo. Da questo punto di vista la vicenda dei Sex Pistols pare essere quanto meno bifronte. Infatti, per esempio, nel video citato poco sopra compare Sid Vicious, l’icona-martire del punk, movimento che per sua natura sarebbe del tutto anti-star system, al posto del bassista originale Glen Matlock, non ritenuto abbastanza iconico dal loro manager, il geniale (e gran furbacchione) Malcom McLaren, compagno della stilista Vivienne Westwood, che del punk inventò l’immagine. E poi venne la Great Rock’n’Roll Swindle (1980), film diretto da Julien Temple, esplicativo fin dal titolo. E poi venne Sid and Nancy (1986), film diretto da Alex Cox, sulla tragica epopea di Sid Vicious e Nancy Spungen (da sbellicarsi dalle risate la versione italiana, con i punks anglofoni doppiati in romanesco!). E infine vennero Offspring e Green Day, tra gli altri, a trasformare (ovvero snaturare) il punk rock in genere pop, per quanto robusto. Come dire, da potente ibrido di Sturm und Drang e Situazionismo a banale mainstream (si pensi al deprimente connubio tra Virgin Radio e TGCom24).
Tutto questo per contestualizzare ciò di cui si parla in The Missing Boys (https://vimeo.com/850270780), il docufilm di Davide Catinari, che si riferisce alle musiche nate in Sardegna da quel seme, in particolare dopo la fase punk, quella che fu definita new wave. L’autore, già cantante e leader delle band cagliaritane Crepesuzette (https://www.youtube.com/watch?v=fdXjJnj8dF4) prima e Dorian Gray (https://www.youtube.com/watch?v=HIcxriTzf2M) in seguito, laureato in Scienze Politiche, oggi si occupa prevalentemente di organizzazione di eventi musicali e letterari.
Verso la fine degli anni Settanta a Cagliari esisteva Radio Alter, un’emittente legata alla controcultura dell’epoca, frequentata per lo più da ‘capelloni’. Come racconta uno degli intervistati, un bel giorno costoro si trovarono di fronte alcuni ragazzini sui sedici-diciassette anni, con i capelli tagliati a zero, che proponevano di trasmettere la loro ‘musica di protesta’. Anche questo episodio rimanda a quella cesura, anche a livello locale, tra un prima ‘antico’, il mondo degli eskimo e del cantautorato politicizzato, e un dopo ‘moderno’, quello del punk rock e della new wave che ne derivò. The Missing Boys racconta soprattutto il decennio 1979-1989, da un capo all’altro dell’isola.
La prima formazione che incarna perfettamente negli intenti e anche negli esiti, nonostante la povertà di mezzi, lo spirito di quella che fu definita ‘new wave’ (ovvero la ricostruzione della musica come forma d’arte, dopo la distruzione del ‘no future’) è quella dei Demodè, fondata a Cagliari nel ’79, i cui membri avevano un’età compresa tra i 17 e i 18 anni. Come scrive Claudio Loi a proposito della colonna sonora del film (produzione di Simone Fringuelli, masterizzazione curata da Oderso Rubini, per Goodfellas/Spittle Records), il loro Make Up “vive di sussulti ritmici di stampo no-wave, post-tribalismo che ancora oggi farebbe furore e non sembra vero che quel brano sia stato composto e registrato nel lontano 1980” (https://www.sascena.it/the-missing-boys-soundtrack/). Condivido in pieno. Nella pellicola sentiamo la testimonianza del bassista, Pino Dolciotti.
Tra gli altri gruppi cagliaritani vorrei citare in particolare i Rosa delle Ceneri di Roberto Belli e gli Agorà di Corrado Altieri. I primi producevano una musica tendenzialmente oscura, imparentata con Bauhaus e Joy Division. Conclusa quell’esperienza Belli si è dedicato successivamente a sperimentazioni elettroniche con i Machina Amniotica (qui insieme ai Krisma: https://www.youtube.com/watch?v=JlYMgVud0Yk) e alla scrittura poetica (ricordo una sua collaborazione live con Jack Hirschmann, diversi anni fa). Gli Agorà erano più dandy, se mi si passa il termine, almeno nel mio ricordo, forse per gli scambi culturali tra Altieri e Federico Fiumani dei Diaframma. Successivamente anche Corrado Altieri ha prodotto musica elettronica, versante industrial, con TH26, Uncodified (https://www.youtube.com/watch?v=wziVEoOphNc), Candor Chasma (con Simon Balestrazzi). Prestigiosa la collaborazione con lo stesso Balestrazzi e Gianluca Becuzzi per “In Memoriam J.G. Ballard” (https://www.ondarock.it/recensioni/2012_altieribalestrazzibecuzzi_inmemoriamjgballard.htm).
Allontanandoci da Cagliari troviamo i Femme Publique (Serramanna) di Franco Carboni e i Vapore 36 (Lanusei) di Franco Frau e Francesco Manca (https://www.youtube.com/watch?v=6PRgOQEVynw), dalle sonorità prossime a quelle dei Microdisney di Sean O’Hagan. Infine, spero che gli amici del nord Sardegna possano perdonare la mia scarsa conoscenza delle loro vicende, ma posso almeno ricordare i nomi dei gruppi citati nel film: Weltanschauung, Anonimia, Autosuggestion, Quartz e Maniumane.”
Nella cornice narrativa che fa da sfondo al documentario il ruolo del Missing Boy è interpretato dall’attore Salvatore Ferrara. Ancor prima dell’uscita nelle sale il mediometraggio (55’) di Davide Catinari ha partecipato a diversi festival cinematografici (https://www.cinemaitaliano.info/film/34087/festival/the-missing-boys.html), vincendo anche due premi, al New York Independent Cinema Awards e al Cannes Independent Shorts. Tra i principali pregi della pellicola c’è l’aver evitato l’atmosfera un po’ stantia di certo reducismo nostalgico. Al contrario, la sua ottima riuscita si deve anche alla sua capacità di condividere quella stessa freschezza che caratterizza ancora oggi molta della musica che viene raccontata nel film. Per chi, come me, ha vissuto quell’epoca da testimone vedere questo film è come viaggiare nel tempo, rivivendo quello stato d’animo tipico della gioventù, in cui il futuro appare come un radioso avvenire, presago di successi e soddisfazioni. E poi ci si risveglia nel 2024…
Mi ritrovo molto in quello che hai scritto, non mi rimane che guardare il docufilm, grazie!
Grazie Roby, batterista ‘fuori moda’ 😀