Tina: romantica e rivoluzionaria

Ovvero una recensione emotivamente coinvolta della mostra «Tina Modotti, la nuova rosa» a Udine fino al 28 febbraio 2016

di Valentina Bazzarin (*)

TinaModotti-DUE

I primi versi dell’epitaffio di Neruda a Tina Modotti sono ben noti (**) e danno origine al riferimento alla «nuova rosa» nel titolo dell’esibizione, ma la scelta che guida il percorso espositivo viene espressa meglio dalla penultima e meno nota quartina scritta dal poeta cileno che recita:

«Un mondo marcia verso il luogo in cui tu andavi, sorella

 

Avanzano ogni giorno i canti della tua bocca

 

nella bocca del popolo glorioso che tu amavi

 

Valoroso era il tuo cuore».

Un paio di settimane fa – in un momento molto particolare della mia vita in cui l’attivismo si stava trasformando in politica e l’iperattività lavorativa giustificava parzialmente la mia disattenzione per gli aspetti più dolorosi della mia vita privata – ho scoperto leggendo «Alias», inserto del quotidiano «il manifesto», che Udine aveva inaugurato una mostra per rendere pubblicamente conto dell’importanza storica di una giovane donna nata lì alla fine dell’800.

Tina Modotti – con la sua vita casualmente avventurosa strettamente intrecciata con la storia di inizio secolo del vecchio e del nuovo continente – purtroppo è un nome conosciuto solo per alcune donne, tendenzialmente attive in politica e con lo sguardo volto a sinistra e a un numero risibile di uomini ai quali però andrebbe ripetuto con insistenza. Personalmente non ho esitato un attimo a trovare un pretesto per essere a Udine e per farlo ho attraversato buona parte del Nord Est con lenti treni inter-regionali che stazione dopo stazione mi hanno permesso di cogliere le leggere differenze nel dialetto e negli accenti che fra Venezia e il Friuli, passando per il trevigiano, si addolciscono inaspettatamente ma progressivamente e piano piano trasformano la lingua italiana. Ma questa è un’altra storia. Tornando a Tina che parlava e scriveva in almeno 3 lingue (italiano, spagnolo, inglese e poi anche, in seguito, il tedesco) sfruttando senza grande intuizione l’incredibile duttilità dei popoli che vivono ai confini e che sono costretti ad abbandonare parte della propria identità per includere e per convivere con gli altri.

A proposito di lingua, mentre viaggiavo ho scoperto questa canzone in friulano (sottotitolata in inglese) che racconta anche attraverso alcune immagini d’archivio la storia di Tina:

E ho scoperto questo video prodotto dalla RAI su Tina Modotti fotografa e rivoluzionaria. 

Il percorso espositivo di «Tina Modotti, la nuova rosa» occupa il piano terra di Casa Cavazzini, il museo d’Arte moderna e contemporanea di Udine. Buona parte dei documenti esposti sono inediti e rappresentano il lavoro di Tina come fotografa impegnata nella narrazione. Sono presenti anche le famose immagini di nudo e i ritratti di Tina realizzati da Edward Weston e le foto di scena della breve carriera della Modotti come attrice.

TinaModotti-unoMa i materiali più interessanti secondo me sono quelli che mettono lo sguardo di questa donna al centro della narrazione e non il suo corpo armonioso, fragile e moderno descritto dallo sguardo di qualcun altro. La documentazione esposta si compone di oggetti, di immagini, di lettere inviate e ricevute da famigliari e amici, delle riviste che hanno valorizzato l’opera della Modotti come artista, come operaia partecipe della costruzione dell’identità di un popolo, quello messicano, che iniziava a riscattarsi dalla sottomissione agli Usa e aveva bisogno di riconoscersi nei simboli, di fissare la sua storia e i suoi protagonisti e di restituire dignità alla vita e agli sguardi delle donne e agli uomini che per tanto tempo erano stati considerati incapaci di reagire alla colonizzazione culturale.

Tina scriveva al compagno e mentore Edward Weston a proposito del suo lavoro e di quanta parte della sua identità fosse legata a esso: «E parlando solo di “me stessa”: non posso – come mi hai proposto una volta – risolvere il problema della vita perdendomi nel problema dell’arte… Cerco sempre di lottare per modellare la vita secondo il mio temperamento e le mie necessità. In altre parole metto troppa arte nella mia vita, troppa energia, e di conseguenza non mi rimane molto da dare all’arte».

Tina Modotti è stata incompresa da buona parte della società ma ha avuto la fortuna di essere sempre sostenuta dalla sua famiglia. Tra i documenti esposti mi ha particolarmente colpita la lettera del fratello che si congratula per la pubblicazione di un suo reportage sul Messico in una importante rivista di fotografia.

Non so se riuscirò mai a coltivare la mia passione per la fotografia sociale tanto da essere definita una «autodidatta geniale» come la Modotti ma scorrendo le sue creazioni mi ritrovo nel suo bisogno di soddisfare attraverso le foto prima di tutto la curiosità. Gianni Berengo Gardin e Uliano Lucas nel 1979 descrivevano così l’opera della fotografa: «Se il lavoro di Weston è legato a una tematica della fotografia dettata dall’ansia della propria inquietudine esistenziale, la Modotti invece matura attraverso la partecipazione ad avvenimenti esterni la propria cultura politica in cultura e azione rivoluzionaria. In lei vive un’anima socialista, che non le permette di fotografare il deserto come fa Weston. I suoi interessi immediati sono la gente, il popolo, eredi di Emiliano Zapata e di Pancho Villa».

TinaModotti-TREAlla fotografia di Tina Modotti il cantautore veronese Massimo Bubola ha dedicato una bellissima ballata in cui colma una lacuna nella documentazione sulla Modotti immaginando una lettera inviata da Weston alla giovane amante. Sono infatti state ritrovate molte lettere della Modotti a Weston, ma nessuna inviata da Weston a lei. 

Alla mostra approfondendo i tanti percorsi romantici e rivoluzionari di una vita straordinaria oltre che di apprezzare la tecnica di questa artista eclettica. Consiglio quindi di viaggiare lentamente verso Udine e a partire dalla graziosa cittadina in stile veneziano lasciarvi rapire e trasportare dalle tante passioni e curiosità che l’esperienza espositiva sono certa vi innescheranno.

(*) Le foto che illustrano questo post sono in creative commons; io le ho riprese da qui https://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Tina_Modotti?uselang=it (db)

(**) «Tina Modotti hermana, no duermes no, no duermes talvez tu corazon oye crecer la rosa de ayer la ultima rosa de ayer la nueva rosa descansa dulcemente hermana. Puro es tu dulce nombre pure es tu fragil vida de abeja sombra fuego nieve silencio espuma de acero linea polen se construyo tu ferrea tu delgada estructura»: questo l’incipit dell’epitaffio di Pablo Neruda

(***) Il fotografo messicano Manuel Álvarez Bravo, grande ammiratore e collega di Tina Modotti, ha individuato nella sua carriera di fotografa in due fasi: quella “romantica” e quella “rivoluzionaria” e ha utilizzato questa lettura nella costruzione della prima retrospettiva dedicata alla Modotti allestita presso il museo di Città del Messico.

 

 

Valentina Bazzarin
Valentina Bazzarin lavora stabilmente come ricercatrice precaria (assegnista) all'Università di Bologna sin dal 2009, anno in cui ha ottenuto il Dottorato in Psicologia Generale e Clinica. Collabora in maniera saltuaria con la Bottega e con il Barbieri, scrivendo e descrivendo quel che vede e pensa durante i suoi numerosi viaggi.

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