To the Moon
di Susanna Sinigaglia
To the Moon
Julie Anderson, Hsin-Chien Huang
È stata una singolare “gita domenicale” quella da me intrapresa il 6 marzo scorso. Infatti, non lontano da casa sono potuta andare addirittura a spasso sulla luna! In una saletta al piano–1 della Triennale, era allestito lo spazio dove fino al 13 marzo è stato possibile accedere al viaggio in VR [1] che portava su una luna reinterpretata dai due artisti. Vengono date in dotazione due specie di maniglie con pulsanti e un visore; dopo le istruzioni della guida e indossato il visore, inizia il viaggio.
Il visore è un po’ pesante e un senso di vertigine mi prende, la vertigine dell’universo.
Immersi in un cielo scuro ci viene incontro la luna con i suoi crateri, la nostra meta. Una volta “a terra”, ci si trova di fronte al tipico paesaggio che tanta fantascienza ci ha mostrato, ma non solo: è il paesaggio desolato e bianco, poroso, su cui sbarcò il primo uomo che mise piede sulla luna, Neil Armstrong.
Penso ai primi film del cinema muto, per esempio a Le voyage dans la lune di Georges Méliès. Da sempre gli esseri umani sognano di sbarcare sulla luna o su qualche stella che vedono brillare in cielo durante le notti serene soprattutto d’estate. E il cinema ha dato la possibilità di realizzare, almeno in finzione, questo sogno. Ora è la Realtà virtuale a permettercelo, perché quasi nessuno di noi riuscirà a esaudire il desiderio di arrivare sulla luna.
Il viaggio è suddiviso in sezioni: “Constellations”, “DNA Museum”, “Stone Rose”, “Technology Wasteland”, “Snow Mountain”, “Donkey Ride” [2].
Avanziamo. Premendo i pulsanti, possiamo accelerare o rallentare o fermarci e guardarci intorno.
Lassù, altri corpi celesti ruotano intorno a noi mentre all’orizzonte, scorgiamo alte montagne.
A un tratto si ergono dallo sfondo strane figure in filigrana, che non ti aspetteresti di vedere sulla luna: sono sagome di dinosauri e rettili preistorici. Anche se fuori contesto, si addicono tuttavia a quel paesaggio “stralunato”.
Ci si avvia attraverso la pianura e sotto di noi scorgiamo un animale simile a un mulo o a un cavallo da soma: lo si vede solo dalla testa fino a metà schiena, adesso è lui che ci porta alla scoperta del mondo lunare.
Il momento più impressionante arriva quando, di nuovo a bordo del nostro mezzo spaziale, un monte aguzzo col suo doppio speculare – forma che mi ricorda un’astronave – con lunghi solchi innevati si avvicina a gran velocità fino a sembrare che voglia entrare in rotta di collisione col nostro mezzo, salvo deviare all’ultimo minuto.
È l’istante in cui ho dovuto ricordarmi che era solo una simulazione [3].
Poco dopo il viaggio termina e ritorniamo con i piedi per terra, ovvero sul pavimento della saletta che in realtà non avevamo mai lasciato.
[1] Mi è tornato in mente il racconto, in realtà leggenda metropolitana senza riscontri, della reazione che ebbero i primi spettatori del cinema muto vedendo il famoso filmato dei fratelli Lumière sull’arrivo in stazione di una locomotiva che sembrava bucare lo schermo e irrompere in sala.
[2] Costellazioni, Museo del DNA, Rosa di pietra, Landa desolata della tecnologia, Montagna di neve, Cavalcata a dorso d’asino.
[3] Virtual Reality.