«Torino Nouvelle Vague»

Giulia Abbate sul romanzo di Franco Ricciardiello

«Torino Nouvelle Vague» (Todaro editore) è l’ultima fatica di Franco Ricciardiello: uno scrittore che stimo, e un amico, con il quale ho scritto «Manuale di scrittura di fantascienza» (Odoya Editore, 2019).

Oltre alla stima per Franco e alla considerazione per l’editore Todaro, confesso anche un’altra cosa, per amore di trasparenza: consapevole delle affinità tra la scrittura di Franco e la raffinatezza delle proposte di Todaro, sono stata io a proporre in lettura «Torino Nouvelle Vague» a Veronica Todaro. E oggi sono felice di vedere in giro un bel giallo, che merita lettura e considerazione.

Iniziamo dalla sinossi:

Protagonisti di questo giallo un giovane pm e un vecchio regista della Nouvelle Vague, liberamente ispirato a Jean-Luc Godard, sospettato di aver ucciso l’ex moglie dopo la Nuit Blanche, una festa dedicata alla cinematografia francese.

Il palcoscenico è Torino, una Torino ricca di atmosfere, serate di gala al Museo del Cinema, strade avvolte nella nebbia. La vittima è Sophie Alma, musa indiscussa e attrice protagonista di molti film francesi degli anni Sessanta.

L’indagine parte bene, poi si avvita su se stessa, viene ostacolata dalla stampa, ma infine giunge a una soluzione suggerita da una felice intuizione del magistrato, uomo di poche parole e all’apparenza scostante, ma provvisto della capacita di comprendere l’animo umano e le sue debolezze.

Questo romanzo è un omaggio a Jean-Luc Godard, il grande vecchio del cinema postmoderno, facilmente identificabile dietro il personaggio del regista Leclercq. I titoli dei capitoli riprendono i titoli dei film da lui diretti. E le dichiarazioni surreali del protagonista del romanzo sono in linea con i dialoghi dei personaggi creati dal celebre regista francese.

Ho letto il romanzo con aspettative alte, e non sono stata delusa. Al contrario, la mia avversione per il “giallo classico” ha subìto un duro colpo a causa del piacere con il quale ho letto questa storia, ricca di suggestioni e raccontata in un modo che mi pare difficile da trovare in giro.

In un contesto fatto di titoli strillati, copertine insanguinate e promesse di violenze grondanti tra le righe, la storia raccontata da Franco ha il pregio di non avere nulla di tutto questo.

È la storia di una indagine condotta dal PM insieme alla polizia, alla questura e a informatori vari, con una grande verosimiglianza di cosa sono gli uffici di giustizia in Italia e un rispetto delle procedure e delle incombenze che gli inquirenti fronteggiano.
Però non è affatto noiosa, anzi.

Accanto a un senso di familiarità, verso un sistema che alcuni di noi conoscono (se qualcuno se lo stesse chiedendo: non sono mai stata al gabbio – come si dice a Roma – ma ho amici in Polizia e negli studi legali) abbiamo il delizioso divertimento del seguire i personaggi: in particolare Erasmo Mancini, sofisticato nei gusti ma onesto nei modi; la sua spalla, il commissario Mauro Ferrando, è più vicino alla durezza del poliziotto, simpatico nel suo esplicito contrapporsi al PM (corteggiato dai giornali) e alle sue elucubrazioni.

Perché parlo di divertimento? Perché queste due interessanti figure, immerse con diverse strategie di sopravvivenza nel mondo grigio della burocrazia, si confrontano con un mondo opposto: il cinema francese della Nouvelle Vague, con i suoi attori e attrici, con la sua raffinatezza ma anche con pose e atteggiamenti molto costruiti.

Mancini e Ferrando infatti indagano sull’omicidio dell’attrice Sophie Alma. Come indiziato principale il delitto ha un regista, Leclercq, che Ricciardiello ha pensato come sosia di Godard: anche un’ignorante totale della materia come me sa che da simile scelta non possono che derivare dialoghi surreali, scene in cui l’incomprensione si spreca, e un personaggio, al contrario dei due inquirenti, assolutamente sopra le righe.

Questo è solo uno dei punti forti del romanzo. Parallelamente all’indagine, abbiamo la storia di Erasmo Mancini con Marina Cattani, che non pesa sulla trama principale ma ci consente di tirare il fiato dall’indagine (un po’ come per il PM) e di conoscere meglio entrambi i personaggi; anche Marina con acute considerazioni partecipa in un certo modo alle elaborazioni di Erasmo.

Marina è un personaggio che ritroviamo dal romanzo precedente, che ha come protagonista Erasmo Mancini: «Cosa succederà alla ragazza», fuori catalogo – almeno finché Franco non mi starà a sentire: diverse persone dopo «Torino Nouvelle Vague» mi hanno chiesto dove “ritrovare” Mancini. Una nuova indagine è in scrittura, ma nel frattempo esiste questa, che mi piacerebbe rivedere in giro.

(Piccola curiosità: in «Cosa succederà alla ragazza», i capitoli avevano i titoli di canzoni di Lucio Battisti, per un motivo preciso. La scelta citazionista prosegue in «Torino Nouvelle Vague», dove a dare il titolo ai capitoli sono i film di Godard.)

Entrambi i romanzi con Erasmo Mancini a condurre le indagini hanno infatti un pregio enorme, oltre quelli già citati: l’assoluta avversione verso la morbosità. Una attrice ancora bellissima con uno stuolo di amanti, in «Torino Nouvelle Vague»; e soprattutto un caso di rapimento prolungato di ragazzine in «Cosa succederà alla ragazza»… materiale su cui molt* autori e autrici di gialli oggi in voga si butterebbero con le zanne di fuori, pronti a spolparne tutto il turbamento e l’insania possibile da versarci in faccia.

Franco, invece, come i suoi personaggi positivi, si tiene ben lontano da certi voli nell’infimo e resta sull’indagine, senza concedere nulla alla pruderie, consapevole che non serve a nulla. Ed è un’altra ragione per godere appieno di «Torino Nouvelle Vague»: un giallo di indagine, un romanzo avvincente, una storia colta e complessa (ma non cervellotica!) raccontata con stile asciutto e impeccabile e condotta da personaggi che incarnano persone che ci tengono alla loro integrità e a fare bene le cose.
Scusate se è poco!

Giulia

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