Tra l’incudine e il martello

Sento spesso parlare dell’enorme debito pubblico che grava sulle nostre spalle, ma ancor più grava sulle nostre opinioni. A causa della sua presenza siamo pesantemente condizionati nella nostre scelte pubbliche. Artatamente condizionati. Dagli specialisti del gioco delle tre carte che siedono in parlamento. Sono infatti i politici a parlarne con continuità, ponendolo a scudo delle loro decisioni: per neutralizzare preventivamente qualsiasi obiezione al loro operato e per distrarre l’attenzione dagli altri gravi problemi da cui siamo afflitti.

Ponendoli all’ombra del debito ottengono una più ampia possibilità di fare, a nostro danno, come meglio credono. Siamo tra l’incudine di una vasta platea di dissimulatori e il martello oggettivo di una situazione economica pur grave e verosimilmente pericolosa.
Ma appunto, chi è il responsabile di tale situazione se non i politici che la sbandierano a ogni piè sospinto? Chi, ai fini del consenso, a partire dagli anni ’80, ha creato tale voragine nei conti pubblici e la ha successivamente alimentata e ingrandita, intascando e facendo intascare?
C’è però anche da chiedersi, per completezza d’informazione e valutazione, come mai gente tanto avvertita, come i politici, ha potuto credere che praticando a cuor leggero le scelte disastrose operate nei decenni, potessero incontrare l’approvazione dei loro elettori. Riuscendoci in effetti. Da decenni infatti i nomi che primeggiano nelle liste elettorali, nonostante mugugni e manifestazione di insofferenza, sono sempre gli stessi. Possiamo allora considerare che essi (i politici) conoscevano i loro polli. Considerare cioè che agli Italiani, i quali avrebbero voluto rappresentanti migliori, ha fatto loro comodo tenersi quelli che avevano. Che lo stesso disamore per la cosa pubblica ha reso solidali gli uni e gli altri, i cialtroni che dovrebbero guidare il paese e i buoni, onesti, laboriosi padri di famiglia che invocano il buon governo e scendono negli angiporti per trovare i buoni governanti. Una medesima etica (prendi i soldi e scappa) ha dunque finito con l’unificare cani e gatti; o meglio quelli che nelle parole, nel “piove governo ladro”, vengono rappresentati come cani e gatti: i rappresentanti di un popolo e il popolo stesso. Da decenni (meglio, da secoli) il popolo litiga con loro, da secoli lascia che facciano. No, di più: offre il consenso, a volte appassionato, ai loro sordidi atti. Con i risultati che possiamo constatare.
Il peggio è che li giudica pure. Come io li giudico in questo momento che scrivo e, con il più grande disprezzo, per altro ampiamente meritato, li metto alla gogna.
Ma io, come popolo e come persona, merito di salire sul pulpito e predicare contro di loro?
Posso nascondermi, se voglio, dietro il fragile schermo della verità: il mio dissenso. E affermare a voce alta, io non c’entro, io non sono così. Ma se sul piano della verità intendo mantenermi, devo ammettere che dietro questo schermo nascondo la mia personale complicità e ipocrisia.
Non intendo abbandonarmi ai mea culpa o cavarmela con una facile e generica ammissione di correità; ma individuare, attraverso ciò che è in me, una delle radici di tutti questi nostri mali. Ché una volta individuata, tagliandola, è possibile far disseccare l’albero della governabilità (non a caso cavallo di battaglia dell’ineffabile Primo Ministro Craxi, cavallo di battaglia ideologico del malgoverno e della reazione: un tutt’uno). A tale fine mi limiterò a citare un solo episodio. Si parlava tra amici degli orrori della guerra e in particolare di quella iniziata contro l’Iraq, particolarmente odiosa per le grossolane, false motivazioni con cui la si era motivata. Sdegnato per l’enorme strage perpetrata e suoi oscuri sviluppi nel futuro, riflettevo in silenzio che si trattava dell’ennesima guerra di rapina nascosta da pii propositi. Tuttavia a un certo punto mi è capitato di chiedermi cosa sarei stato disposto a pagare io perché tutto quel dolore, tutta quella ferocia potesse essere evitata. Fino a quale punto mi sarei potuto spingere? Ho visto allora l’intera mia area geografica, che sulle riserve naturali altrui ha costruito gran parte della propria prosperità, impoverirsi; e ho visto me stesso ridotto, in quanto pensionato e perciò penultimo della scala sociale, a rovistare, come tanti oggi, nei bidoni della spazzatura.
Mi sono visto e ho esitato. Una esitazione significativa che mi ha permesso di vedere, cioè capire.
Capire che, per amore delle comodità e del relativo mio benessere, la mia libertà d’espressione risultava frenata; che vivevo tra l’incudine della mia impotenza e il martello dell’ipocrisia. Che ero io, oppositore strenuo della guerra, la chiave di volta di ogni guerra. Come si dice: la prima volta è colpa tua, la seconda colpa mia (che non ho imparato dalla prima). Ma noi qui siamo alla centesima! Eppure, per viltà, demoralizzazione, stanchezza, età e anche interesse, restiamo inerti, perciò complici, rispetto alle circostanze che contribuiscono a far sì che un paese tanto bello dia al mondo uno spettacolo tanto brutto della sua vita sociale.
Mauro Antonio Miglieruolo
http://miglieruolo.wordpress.com/

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

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