Tra me e il mondo – Richard Wright

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E all’improvviso una mattina nel bosco mi sono imbattuto

nella cosa,

Mi ci sono imbattuto in una radura erbosa con querce rugose

ed olmi a sentinella.

E sono emersi i particolari anneriti dello scenario, ficcandosi

tra me e il mondo…

C’era il disegno di ossa bianche sonnacchiose dimenticate

su un cuscino di ceneri.

C’erano poi i resti carbonizzati di un arboscello che puntavano

un dito mozzo e accusatorio verso il cielo.

C’erano i rami strappati, le piccole vene di foglie bruciate, e

il rotolo bruciacchiato di corda unta;

Una scarpa vacante, una cravatta vuota, una camicia strappata, un cappello solitario e

un paio di pantaloni macchiati di sangue nero

E sull’erba calpestata bottoni, fiammiferi spenti,

cicche di sigarette e sigari, bucce di noccioline, una

fiaschetta svuotata di gin, e il rossetto di una puttana;

Tracce sparse di catrame, piume e penne svolazzanti nell’aria e

l’odore persistente di benzina.

E nell’aria mattutina il sole versava stupore giallo

nelle orbite svuotate del teschio impietrito…

E mentre me ne stavo lì la mia mente raggelata da una pietà fredda per

quella vita andata.

La terra mi afferrò per i piedi e attorno al mio cuore si innalzarono

le mura ghiacciate della paura –

Il sole si spense nel cielo; il vento notturno borbottava tra l’erba

e scompigliava le foglie tra gli alberi; il bosco si risuonò

del latrato affamato dei mastini; le tenebre

urlavano con voci assetate; e i testimoni si levarono

e presero vita:

Le ossa riarse si mossero, agitandosi si alzarono per fondersi alle

mie ossa.

Le ceneri grigie si trasformarono in carne soda e nera, ed entrarono nella mia

carne.

La fiaschetta del gin passata da bocca in bocca; i sigari le sigarette

si riaccesero, la puttana si imbrattò di rossetto

le labbra,

E migliaia di facce mi turbinarono attorno, insistendo a gran voce che

venisse arsa la mia vita…

E poi mi presero, mi denudarono, schiacciandomi in gola

i denti fino a quando non inghiottii il mio proprio sangue.

La mia voce annegò nel ruggito delle loro voci, e il mio

corpo nero bagnato scivolava e rotolava nelle loro mani

mentre mi legavano all’arboscello.

E la mia pelle si attaccava alla catrame bollente, che mi si staccava di dosso

in mucchietti flosci.

E le piume e le penne bianche si affondarono appuntite

nella mia carne sanguinante e si levarono i gemiti della mia agonia.

Poi una misericordiosa frescura sorprese il mio sangue, il battesimo

della benzina.

E in una vampa rossa balzai verso il cielo mentre il dolore si alzava come

acqua, bollendomi gli arti.

Ansimando, scongiurando mi aggrappai come un bambino mi aggrappai ai roventi

fianchi della morte.

E ora non sono che ossa riarse e la mia faccia un teschio impietrito che fissa

con giallo stupore il sole…

da qui

redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

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