Tre sguardi su «Jack Barron e l’eternità»

  Urania riporta in edicola un grande romanzo di Norman Spinrad: per festeggiare trovate in “bottega” stralci di Goffredo Fofi e due quasi recensioni di db e Fabrizio Melodia   

normanspinrad-uno

Jack Barron e il ’68

di Goffredo Fofi

Dei grandi della fantascienza – o venuti dalla fantascienza – Norman Spinrad è quello che ancora attende il riconoscimento della critica e dei lettori che di fantascienza non sanno […] Condivide alcune tensioni che possiamo definire politiche con Kurt Vonnegut – che è più sperimentale e libero di lui – mentre non sembra avere molto in comune con Philip Dick, notturno cantore di drogati deliri, Poe del nostro tempo, o con l’inglese James Ballard, visionario dilatatore di presupposti sociologici o naturali. […] «Jack Barron e l’eternità» è uno straordinario romanzo “generazionale”, è la deformazione e l’ampliamento fantastici di dati di fatto storico-politici o meglio delle fantasie storico-politiche di una generazione che è poi quella del movement e che noi chiamiamo, pensando all’Europa, “del 68”. […] Qui la novità maggiore sta nella mimesi (e nella spregiudicatezza) linguistica: come Dick – ma con altra intensità e profondità, diciamo anzi malattia – fa con il linguaggio dei drogati, Spinrad fa con quello dei suoi coetanei, la gioventù ribelle degli anni Sessanta al cui novero e alle cui esperienze egli è appartenuto direttamente e a cui va iscritto di diritto.

[…] Che cosa faranno i Faust del ’68 di fronte alle lusinghe del capitale? Avranno anch’essi bisogno del sacrificio di Margherita (Sara) per svegliarsi dal loro adeguamento ruffiano? Che cosa hanno fatto, che cosa abbiamo fatto? Spinrad ha una sua risposta ed è questa che bisogna discutere perché questo è il nodo del libro, ed è stata la scommessa (vinta o perduta o così-così) della nostra generazione. […]

Da noi è Benni, ne «La compagnia dei celestini» (il solo libro e il solo autore che, sul piano politico, possono farci pensare in Italia a «Jack Barron» e a Spinrad) ad avere individuato, prima che avvenisse, il legame Televisione-Politica- Denaro […].

Il testo di Fofi – lungo, problematico, ricco di spunti – potete leggerlo per intero qui: Jack Barron Show – Risultati da Google Libri

 

jackbarron-fanucci

 

L’eterna tossicità del potere

di db

«Le piacerebbe essere il presidente degli Stati Uniti?» si sente chiedere Jack Barron, ex ribelle e ora conduttore in tv di un programma popolar-populista.

Norman Spinrad scrive il romanzo «Jack Barron e l’eternità» – il titolo originale era invece «Bug Jack Barron» – a ridosso di quello che siamo abituati a definire “il sessantotto” statunitense … anche se lì era esploso nel 1966. Spinrad prova a immaginare cosa sarebbe successo anni dopo a quella generazione geniale e ribelle: ne azzecca molte ma soprattutto racconta, usando al meglio un grimaldello fantascientifico, come il potere sia tossico in ogni circostanza. Diciamolo, anzi cantiamolo, con le parole di Fabrizio De Andrè: «Certo bisogna farne di strada /
da una ginnastica d’obbedienza / fino ad un gesto molto più umano / che ti dia il senso della violenza / però bisogna farne altrettanta / per diventare così coglioni / da non riuscire più a capire / che non ci sono poteri buoni»
.

Rileggendo questo libro per la terza volta non mi tiro indietro a tesserne le lodi: per le idee di fondo, per la trama, per il protagonista e per quasi tutti gli altri personaggi che ognuno a suo modo – anche la dolce, strana Sara – finiscono per intossicarsi di un potere o dell’altro, perdendo i sogni per strada. In alcuni punti (la fine del capitolo 19 e l’inizio del 20 per dire ma anche molti deliri di Benedict Howards o in certi “trip” di Jack e Sara) la scrittura di Spinrad è fra le più “sperimentali” che mai si siano viste nella fantascienza: si cade, con gioia e un minimo di panico, in un caleidoscopio. Lo vedrete anche dalle citazioni con le quali, qui sotto a mio modo riassumo – al solito non svelerò la trama – alcuni passaggi. Preciso per chi è affetto da pignoleria che io cito dalla traduzione di Gianpiero de Vero (cioè l’edizione Fanucci del 1994, con la prefazione di Goffredo Fofi) e non da quella di Roberta Rambelli, usata da Urania per riproporre adesso il romanzo in edicola [NOTA 1].

«Sono intossicati dal potere. Questo è quello che ti fa il potere, una fottuta scimmia sulla schiena, proprio come per i tossici. Il primo colpo è gratis ma poi, bambini, vi toccherò darvi da fare per procurarne di più, sempre di più e ancora di più per sfamare la scimmia».

Qui incrociamo i pensieri di Sara: «Il potere è il pane per i denti degli uomini – realizzò. Una donna cui interessa il potere, che sente veramente cos’è, finisce sempre per avere una specie di pene. Il potere è qualcosa connesso al pene: le donne vi si aggrappano perché non hanno un cazzo e capiscono il potere solo se lo pensano come se avessero un uccello. Il potere ha persino un senso del tempo tipicamente maschile…».

Ed ecco invece Jack. «Il sogno che reso reale però aveva irrimediabilmente trasformato anche il sognatore. Proprio quello che Sara non capisce […] puoi far diventare vero il tuo sogno ma esponendosi alla realtà nuda e cruda anche il sognatore può cambiare».

«La politica non è altro che spettacolo fatto senza talento» e poi «L’immagine è tutto, perché quando si arriva a ciò che succede in Quel Grande Mondo Là Fuori l’immagine è tutto ciò che quei poveri fottuti vedranno mai».

E non credo che, dopo aver letto questo romanzo, per un po’ vi scorderete dello «smorto cerchio nero»… o – nella traduzione della Rambelli – del «gran cerchio d’ombra».

Secondo me resta un libro imperdibile. I-m-p-e-r-d-i-b-i-l-e.

Difetti? Quanti ne volete. Anzi un paio li accenno: ci sono piccole incongruenze narrative e affiora spesso un fastidioso egocentrismo maschile. Ma tutto si perdona a un libro così geniale sul piano narrativo, politico e della scrittura. I passaggi memorabili sulla tv “di denuncia” come valvola della pentola a pressione o sugli eroi dello spettacolo vissuti come «dentiera di riserva» per le masse. E la visione degli spettatori che «succhiano immagini dalla tetta di vetro» racconta i nostri tempi meglio di 100 analisi sociologiche e filosofiche. La descrizione, ironica e tragica, del razzismo statunitense ha pochi pari nella letteratura (realistica e fantastica) che io conosco. E se fra voi/noi c’è chi ha davvero capito cos’è «la linea dell’odio» si troverà a rabbrividire quando Jack Barron vi porterà nel deja vu. E chissà se Obama ha mai letto «Jack Barron e l’eternità» e 8 anni ha ha ripensato al sogno di quella «torta in faccia» che il protagonista ci consegna poco prima della fine. Ma neanche la più gigantesca e geniale delle beffe sembra convincere molte/i – ogni tanto ci casco io, lo confesso – che «non ci sono poteri buoni»… neppure dentro le torte più ironiche.

Spinrad è sempre grande anche se, a mio avviso, non ha mai volato così alto come in «Jack Barron…». Bene farebbe Urania a riproporre tutti i suoi romanzi (si parla sempre de «Il signore della svastica» ma «Tra due fuochi» non è meno inquietante) e i suoi racconti, molti dei quali inediti da noi [NOTA 2].

[NOTA 1] Ci sono molte differenze fra la mia edizione Fanucci e questa di Urania: per dirne una, nella prima si usa il corsivo per i pensieri, nella seconda no. Ma è lo stile di traduzione che mi pare assai diverso. Alcuni esempi per capirsi. Laddove Gianpiero De Vero scrive «fatto», Rambelli preferisce «drogato». La frase «conta un cazzo» diventa «non ha la minima importanza» nella versione della Rambelli. A me è parsa interessante questa diversa scelta, in un passaggio molto drammatico: «la futilità, l’assoluta egoistica futilità di quel pensiero» per Giampiero de Vero e «il sudiciume, l’assoluto egoistico sudiciume di quel pensiero» per Roberta Rambelli. Io non conosco l’inglese e dunque non posso leggere l’edizione originale. Di certo era un libro difficile da tradurre anche per l’uso dello slang, per i giochi da parole e per il continuo rimando a canzoni, libri, modi di dire delle “sottoculture” politiche dell’epoca che sicuramente coglie – anche senza bisogno di note – chi è meno giovane … come me.

[NOTA 2] Fra i suoi racconti, tradotti in italiano, ce ne sono alcuni memorabili nell’antologia «Il continente perduto» (The Last Hurrah of the Golden Horde, 1970) pubblicata da Fanucci nel 1985.

 jackbarron-urania

 

Spinrad ritorna, Mongai ci lascia
di Fabrizio Melodia
Nuova uscita per «Jack Barron e l’eternità» del grande Norman Spinrad, un romanzo che, all’epoca dei miei studi liceali, mi diede non poco pensiero per essere letto … e ritrovato. Avevo da poco rivisto l’episodio di «Star Trek serie originale» sceneggiato da Spinrad – «La macchina del giudizio universale» – e mi piacque talmente che volli sapere di più sull’autore. Venni a conoscenza che era stato uno dei più cari amici di quel Philip K. Dick, del quale avevo da poco letto, «Il cacciatore di androidi» e «La svastica sul sole» in edizione Nord e Fanucci, con la prefazione proprio di Spinrad.
Era solo un caso o la mano del fato ma alla vecchia libreria Solaris di Venezia – vicino alla chiesa di Santa Fosca, “paradiso” di fantastico e fantascienza, purtroppo oggi al suo posto c’è una rivendita di vestiti e ombrelli – trovai in edizione Fanucci con copertina rossa proprio «Jack Barron e l’eternità» a fianco di un’antologia di racconti dove ebbi modo di leggere uno dei miei preferiti in assoluto, «Non ho bocca e devo urlare» di Harlan Ellison.
Lessi prima i racconti, poi mi dedicai alla lettura di un libro che il simpaticissimo libraio della Solaris – Gian Paolo Cossato, traduttore di tomi di fantascienza insieme a Sandro Sandrelli (loro è la prima traduzione di «Dune» di Frank Herbert per la Editrice Nord) – definì adatto a maggiorenni, non di certo a un sedicenne dedito a studi classici. Ricordo come lo portai avanti e lo conclusi con passione: era pervaso di un umorismo sottile, mi piacque da matti. Finalmente uno scrittore che sapesse fare anche del calibrato humor dentro una storia drammatica.
«Jack Barron e l’eternità» fu pubblicato per la prima volta a puntate, tra il 1967 e il 1968, per i tipi della rivista «New Worlds» e nel 1969 ebbe la sua bella prima edizione in volume. In Italia è stato pubblicato da Fanucci con il titolo «Jack Barron e l’eternità» nella traduzione di Roberta Rambelli e poi nella traduzione di Giampiero de Vero. Un’altra edizione uscì con il titolo «Jack Barron Show» più un’altra con la Mondadori come «Jack Barron e l’eternità» ed è quella che ora ritrovate in edicola, con il 166 di Urania Collezione nella traduzione di Roberta Rambelli; è anche in formato elettronico su Amazon e su IBS.
Il titolo originale «Bug Jack Barron» rimanda a quel «Seccate Jack Barron» – o, se preferite, «Rompete le scatole a Jack Barron» – che è il titolo di un talk show di grande successo che il romanzo immagina sia trasmesso nei primi anni ‘90, dunque in un futuro per Spinrad abbastanza prossimo: Jack Barron ha ascolti record, da 100 milioni di telespettatori. Il format del programma, che farebbe sghignazzare il signor Endemol in persona, è semplice, almeno per i nostri moderni standard: Barron manda in diretta alcune telefonate ricevute dal pubblico, apparentemente senza censura ma con tecniche di montaggio molto sofisticate. Per i suoi attacchi ai potenti, Barron diventa popolarissimo acquistando un crescente peso politico – qualche somiglianza con Beppe Grillo esiste ma Barron resta saldamente in tv mentre Grillo, come si sa, ne è stato di fatto escluso – ed è a questo punto che nel suo mirino entra uno dei maggiori imprenditori del momento, Benedict Howards, proprietario di un’azienda leader nel settore della criogenia e… di una possibile “vita eterna”. Come d’abitudine in questa “bottega” non diremo altro sulla trama.
Già alla sua uscita il romanzo andò incontro a censure durissime, vuoi per la satira abrasiva, vuoi per il linguaggio politicamente “scorrettissimo”. Il battagliero Spinrad esprime con il linguaggio e i contenuti della fantascienza una validissima estrapolazione degli anni ‘60, inclusa la famosa “pancia” della gente, come oggi si usa dire… spesso a sproposito.

Razzismo, corruzione, Mercato sono nel romanzo con un ruolo di primissimo piano, analogo agli ideali del lungo “sessantotto”. Non ci sono veri eroi ma i cattivi sono concreti e suscitano odio. C’è la scomoda vita mescolata ai sogni e agli incubi, alle contraddizioni. Ne consiglio caldamente la lettura.

Proprio mentre riprendevo in mano «Jack Barron…», ho appreso della morte, il 2 novembre, di Massimo Mongai. E a lui vorrei dedicare un prossimo Marte-dì in “bottega”.


 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

5 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *