Treni

«Ci manca(va) un Venerdì» – numero 94 – in quel vagone a 10 posti dove l’astrofilosofo Fabrizio Melodia controlla i passeggeri: Hans Christian Andersen è di lato a Oriana Fallaci e a Bonhoeffer, Laotze vicino al finestrino e Rodari sul seggiolino con di fronte il quintetto Guccini, Rubbia, “Guglielmone”, Erri De Luca e Woody Allen.

 

«Se sei salito a bordo del treno sbagliato, non ti serve a molto correre lungo il corridoio nella direzione opposta» osservò con arguzia il filosofo Dietrich Bonhoeffer.

In effetti il treno è efficace metafora della vita come ricorda Francesco Guccini: «i tempi in cui si cominciava la guerra santa dei pezzenti / sembrava il treno anch’esso un mito di progresso / lanciato sopra i continenti./ E la locomotiva sembrava fosse un mostro strano / che l’uomo dominava con il pensiero e con la mano:/ ruggendo si lasciava indietro distanze che sembravano infinite, / sembrava avesse dentro un potere tremendo, / la stessa forza della dinamite».

Treni come mostri “moderni” e i lavoratori chiamati – cioè sfruttati – a costruire un progresso dal quale erano esclusi.

Oggi va peggio: l’Alta Velocità è anche Altissima Voracità. E poi correre perchè e per chi? Il fisico Carlo Rubbia, che di potenza e megatoni se ne intende, lo ha sottolineato: «Il progresso. Siamo su un treno che va a trecento chilometri all’ora, non sappiamo dove ci sta portando e, soprattutto, ci siamo accorti che non c’è il macchinista».

Bonhoeffer aveva ragione nella sua profonda ironia: inutile tentare di nasconderci nelle tane o nell’ultimo vagone. E poi alla fine dei binari che c’è?

Anche Woody Allen la sa lunga: «C’è sempre una luce in fondo al tunnel. Speriamo che non sia un treno».

Eppure la perfezione tecnica incanta molti: «O, quale impresa grandiosa dello spirito è questa scoperta! Ci si sente potenti come i maghi dell’antichità! Attacchiamo il cavallo magico alla carrozza e lo spazio scompare! Voliamo come le nuvole in tempesta, come gli uccelli migratori in viaggio. Il nostro cavallo selvaggio sbuffa e ansima, dalle su froge esce un fumo nerastro. Non avrebbe potuto Mefistofele volare più velocemente insieme con Faust sul suo mantello!» si entusiasmò il favolista Hans Christian Andersen nel 1840.

L’imperatore Guglielmo I di Germania/Prussia non era dell’avviso: «Nessuno pagherebbe denaro sonante per andare da Berlino a Potsdam in un’ora quando può arrivarci gratis in un giorno in sella al cavallo». In effetti pure io, che faccio vita da pendolare, preferirei arrivare al lavoro a cavallo… della mia bici, come per un periodo feci, abitando a circa 3 chilometri dal luogo dove “travagliavo”.

Da quando sono pendolare ferroviario ho scoperto notevoli vantaggi, non ultimo quello del passo unito all’essere trasportato; intendo che quando pedalo . Cfr in “bottega” 7 giorni fa – sono assorto nelle mie riflessioni, mentre quando sono sul treno ho il vantaggio di poter leggere, scrivere, guardare il mondo da un finestrino mentre i luoghi fisici sembrano mescolarsi ai luoghi dell’anima.

Quando sono rinchiuso in quel vagone d’acciaio, assaporo la possibilità di essere costretto a fermarmi, un sano “perdere tempo” che mi permette di leggere quanto voglio. A questo innegabile piacere, si aggiunge poter fare conoscenze: abitudine che purtroppo sembra persa sempre di più, come quella di poter riempire i taccuini, ascoltando lo sferragliare delle ruote.

E’ una pratica filosofica del viaggio che non piacque a Oriana Fallaci: «È bello fuggire se ti sembra giusto e lo vuoi: mentre chiudi la porta alle spalle ti senti più vivo, la strada è sempre prateria sconfinata e il treno, è una lunga promessa. Ma quando il treno si muove, il vagone diventa una gabbia senz’aria, il domani un tunnel che ti condurrà chissà dove».

Non si può negare che spesso prendere un treno sia fuggire da tutto, andare in altri mondi per riprenderti spazi di cammino, dove i tempi s’allargano e niente degli umani affanni sembra toccarti. Ti ritrovi a scorrazzare per strade diverse con un occhio a Lao Tze: «Anche un viaggio di mille miglia inizia con un passo».

Un passo fuori dai binari è un tassello del tempo perduto ma l’orologio della vita scandisce ogni attimo: inutile rifugiarsi negli ultimi vagoni.

Erri De Luca sentenzia: «I viaggi sono quelli per mare con le navi, non coi treni. L’orizzonte dev’essere vuoto e deve staccare il cielo dall’acqua. Ci dev’essere niente intorno e sopra deve pesare l’immenso, allora è viaggio».

Concludo senza chiudere, con l’uomo in stazione descritto dal bravo Gianni Rodari: «Non trova lavoro, non ha tetto, / di sera torna in sala d’aspetto: / e aspetta, aspetta, ma sono guai, / il suo treno non parte mai. / Se un fischio echeggia di prima mattina,/ lui sogna d’essere all’officina. / Controllore non lo svegliare: / un poco ancora lascialo sognare».

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

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