Trivelliamo le Tremiti e Pantelleria per quattro gocce di petrolio

di Lidia Baratta (*)

Cinque virgola 16 centesimi di euro al metro quadrato. Pari a 1.928 euro all’anno. Le 326 autorizzazioni concesse a fine anno dal ministero dello Sviluppo economico alle trivellazioni per la ricerca del petrolio in terra e in mare – isole Tremiti e Pantelleria compresi – non sono convenienti per le casse pubbliche italiane. Ma non lo saranno nemmeno per il futuro energetico del nostro Paese, dicono gli scienziati. «Per quattro goccioline di petrolio e due bollicine di gas, che potrebbero servire a coprire non più di un anno e mezzo di autonomia energetica, stiamo mettendo a rischio interi territori», spiega Vincenzo Balzani, professore emerito dell’Università di Bologna e coordinatore del gruppo di scienziati “Energia per l’Italia”, che l’anno scorso firmarono un appello contro la strategia energetica nazionale. «Non siamo seduti su un mare di petrolio, come dice qualcuno. Possediamo risorse limitate, concentrate tra il mare Adriatico e la pianura Padana, il cui sfruttamento potrebbe produrre danni molto più ingenti dei benefici che può portare».

Secondo la BP Statistica Review di giugno 2014, le riserve di combustibili fossili sfruttabili in Italia ammontano a 290 Mtep (megatep). Se il consumo di energia annuale è di 159 Mtep, il calcolo è che il petrolio italiano servirà a far camminare le nostre macchine per meno di due anni. Spalmate su un periodo di 20 anni, ammontano a circa il 9% del consumo annuale di energia primaria. «Per questo piccolo gruzzolo facciamo buchi qua e là con il rischio di compromettere luoghi e ambienti, come le Tremiti, che sono fonti di guadagno turistico per il nostro Paese», aggiunge Balzani.

«Non siamo seduti su un mare di petrolio, come dice qualcuno. Possediamo risorse limitate, concentrate tra il mare Adriatico e la pianura Padana, il cui sfruttamento potrebbe produrre danni molto più ingenti dei benefici che può portare»

 

Eppure, il 22 dicembre, in tutta fretta (come ha scritto Repubblica ), la ministra dello Sviluppo economico Federica Guidi ha firmato 90 permessi di ricerca petrolifera per la terraferma, 24 per i fondali marini, più oltre 200 per le coltivazioni di idrocarburi. In lungo e in largo per l’Italia: dalle isole Tremiti, in Puglia, a Isola Capo Rizzuto, in Calabria, da Pantelleria alle coste abruzzesi. Il giorno dopo, il 23 dicembre, come ha denunciato il verde Angelo Bonelli, la Camera ha approvato in via definitiva la legge di stabilità, che contiene il divieto (già chiesto nei sei referendum proposti da dieci regioni) di trivellare entro le 12miglia dalla costa. Giusto in tempo. Per le concessioni date il divieto non è valido.

«Andiamo alle conferenze all’estero facendo grandi discorsi ecologisti, diciamo di voler abbattere le polveri sottili nelle nostre città, poi torniamo in Italia e diamo le autorizzazioni per trivellare», commenta Vincenzo Balzani. «Nella Conferenza di Parigi 189 nazioni hanno discusso di questo problema, il Papa ci ha anche scritto un’enciclica, e noi pensiamo ancora di poter di fare affidamento sui combustibili fossili?». Nella sua road map, l’Europa ha stabilito che entro il 2050 l’85% dell’energia dovrà provenire da energie rinnovabili. «Perché anziché puntare su quello che non abbiamo, il petrolio, non puntiamo invece su quello che abbiamo, cioè il sole? Potremmo essere i capofila in Europa». Anche perché, aggiunge Balzani, «per avere dei ritorni economici da un investimento fatto su un pozzo petrolio servono almeno 20-30 anni. Così ipotechiamo il futuro». E, con il prezzo del barile in picchiata, per «quattro gocce proprio non conviene». La rivista Fortune si è chiesta da poco se dopo la conferenza di Parigi Cop21 l’industria petrolifera potrà ancora sopravvivere. In Italia, sì, a quanto pare.

(*) tratto da il manifesto del 12 gennaio

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