Turchia: 3 articoli raccontano le violazioni dei…

. diritti umani, i femminicidi e la musica contro la guerra del curdo Ashti Abdo.

Documenti e articoli di Congresso nazionale del Kurdistan, Mariarosa Porcelli, Kenan Behzat Sharpe. Con un appuntamento il 26 maggio ad Alessandria. A  seguire 6 link.

Il genocidio curdo da parte dello Stato turco e la sua politica di occupazione in Kurdistan non conoscono confini

 

Violazione del diritto internazionale e della dignità umana

Lo Stato turco continua ad attaccare il popolo curdo con armi chimiche, ignorando così i valori umani e il diritto internazionale. Nonostante i numerosi rapporti e appelli urgenti, le istituzioni competenti (ONU, OPCW e UE) non hanno ancora iniziato a indagare sulla questione. Finora non è giunta nella regione una sola delegazione investigativa. Il fatto che queste istituzioni non adempiano ai loro doveri significa che violano le loro stesse regole e incoraggiano lo Stato turco a usare ancora più armi chimiche. Nella nuova operazione di occupazione iniziata dall’esercito turco il 14 aprile 2022, le armi vietate sono state usate decine di volte contro gli insediamenti civili e i guerriglieri curdi. Gli Stati europei, che hanno scatenato l’inferno nelle loro proteste contro l’occupazione dell’Ucraina, incoraggiano Erdoğan chiudendo gli occhi sui massacri e sull’uso di armi proibite non appena le vittime sono curdi e il Kurdistan.

 

La nuova alleanza per la politica del genocidio curdo dello Stato turco

Per R.T. Erdoğan, l’anno 2023 segna il centenario del Trattato di Losanna. In seguito a questo accordo, il Kurdistan è stato diviso in quattro parti e la politica di negazione e distruzione dei curdi è stata ufficialmente accettata. Il governo dell’AKP-MHP, che persegue una politica razzista ed espansionistica basata su una sintesi turco-islamica, mira a completare il genocidio curdo nell’anno del centenario del Trattato di Losanna e della fondazione della Turchia. Questa alleanza, basata sul nazionalismo religioso-razzista, è diventata il governo più terribile e pericoloso per la regione, il mondo e l’intera umanità, aggravata dalla sua collaborazione con l’ISIS.

 

Un’opportunità per l’esercito turco sotto la copertura della guerra tra Russia e Ucraina

Sfruttando la sua posizione geostrategica e l’atteggiamento di sostegno di Stati Uniti e Russia, Erdogan ha rapidamente iniziato un nuovo attacco al Kurdistan meridionale il 14 aprile 2022 con l’aiuto di collaboratori locali. Tuttavia, è noto che Erdoğan non è affatto un sostenitore della pace e cerca solo di manipolare il mondo per presentarsi come ragionevole. Eppure, gli Stati occidentali, che hanno ripetutamente condannato l’occupazione russa, distolgono lo sguardo dall’evidenza dell’occupazione e degli attacchi genocidi della Turchia.

 

Confessione sull’uso di armi nucleari da parte dell’esercito turco

Un ex generale dell’esercito turco, che ha recentemente partecipato a un programma televisivo, ha dichiarato che l’esercito turco ha usato “armi nucleari tattiche” contro i curdi. Il generale turco Erdoğan Karakuş, che ha partecipato a un dibattito sul canale televisivo “CNN-Türk”, ha affermato che queste armi sono in possesso delle forze armate e che vengono utilizzate dalle unità di artiglieria turche. Karakuş ha inoltre affermato che il tasso di distruzione di queste armi nucleari tattiche viene controllato dall’esercito, ammettendo che il Giappone è stato attaccato con una bomba atomica da 20 tonnellate, mentre l’esercito turco sta usando armi nucleari tattiche da 0,5 tonnellate o più.

 

Cosa è necessario per la pace e la giustizia:

 

●       Invitiamo l’opinione pubblica internazionale a lavorare attivamente per porre fine all’occupazione portata avanti dallo Stato turco.

●       Ricordiamo ancora una volta all’OPCW (Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche) e alle Nazioni Unite i loro doveri e li invitiamo ad agire con urgenza per avviare un’indagine sull’uso di armi vietate da parte delle forze turche.

●       Chiediamo a tutti coloro che seguono criticamente l’occupazione dell’Ucraina di alzare la voce contro l’occupazione del Kurdistan.

●       Lo Stato turco deve essere ritenuto responsabile dalle istituzioni internazionali per i suoi crimini di guerra e contro l’umanità.

●       Tutti gli aiuti politici, militari ed economici allo Stato turco devono essere sospesi.

 

Congresso nazionale del Kurdistan (KNK)

12 maggio 2022

ripreso da UIKI

Locandina del film «Bergen» (da Wikipedia)

Femminicidi in Turchia: un film onora Bergen, la “donna del dolore”

Mentre in Turchia il governo prende di mira le organizzazioni che cercano di prevenire il femminicidio, un film campione d’incassi su Bergen – cantante uccisa negli anni ’80 – sta costringendo il paese a confrontarsi con le violazioni passate e presenti dei diritti delle donne

di Kenan Behzat Sharpe (*)

Il film «Bergen» è uscito in Turchia il 4 marzo. Racconta la vita della cantante Bergen, interpretata magistralmente dall’attrice Farah Zeynep Abdullah. Il film mostra la trasformazione della cantante da promettente violoncellista a “donna del dolore” della Turchia, come recita il suo soprannome. Sebbene Bergen abbia avuto un’illustre carriera, registrando tre album e oltre 120 canzoni, la sua vita fu brutalmente interrotta ad un mese dal suo trentesimo compleanno.

All’inizio di aprile, quasi cinque milioni di spettatori avevano già visto «Bergen» nei cinema. L’otto marzo, Giornata internazionale della donna, è uscito un album tributo con cover delle canzoni più amate di Bergen. Tutti i proventi di questo album vengono donati alla We Will Stop Femicide Platform, un’organizzazione che cerca di tracciare e prevenire la violenza contro le donne.

Bergen è diventata un simbolo della violenza contro le donne in Turchia, ma il film mette in luce la sua vita tanto quanto la sua morte. Nata Belgin Sarılmışer nel 1958 nella città mediterranea di Mersin, Bergen si formò come musicista classica al Conservatorio statale di Ankara. Negli anni ’70 lasciò gli studi per iniziare a suonare jazz e musica popolare turca nelle discoteche. Nel 1981, lasciò la capitale della Turchia per un lavoro di otto mesi in un locale ad Adana. A quel tempo, questa città nel sud della Turchia era famosa per il genere musicale malinconico e di ispirazione mediorientale, popolare tra le classi lavoratrici, noto come Arabesk.

Ad Adana Bergen trovò la fama per la sua voce potente e commovente, ma incontrò anche un uomo che l’avrebbe abusata, sabotata nella sua carriera, sfigurata e alla fine uccisa.
Il 14 agosto 1989, dopo un concerto, Bergen fu colpita a morte sei volte dal suo ex marito. L’uomo l’aveva precedentemente picchiata e persino accecata. Nel 1982 aveva mandato un sicario a gettarle acido nitrico in faccia. Dopo la guarigione, la benda sull’occhio e i capelli biondi sciolti a coprire la metà destra sfigurata del viso divennero un simbolo inquietante di quella violenza patriarcale che le avrebbe tolto la vita.

Sebbene le canzoni di Bergen siano sempre famose in Turchia, la cantante è conosciuta tanto per le sue sofferenze quanto per i suoi successi. Questo film biografico, diretto da Mehmet Binay e Caner Alper su sceneggiatura della scrittrice femminista Sema Kaygusuz e della giornalista Yıldız Bayazıt, dà lo stesso peso a entrambe le parti, rifuggendo dal romanticizzare la violenza. L’assassinio di Bergen non è presentato come un crimine d’amore o di passione, ma come un atto freddamente calcolato.

Una delle tante decisioni sottilmente politiche del film è stata quella di omettere il nome dell’assassino di Bergen. Anche nei titoli di coda, lo spazio accanto al nome dell’attore Erdal Beşikçioğlu è lasciato vuoto. L’attenzione si concentra sulla storia di Bergen, mentre l’assassino non è presentato come un personaggio con cui identificarsi, ma semplicemente un esempio della più ampia questione sociale della violenza e dell’impunità maschile.

Il nome dell’assassino viene in realtà mostrato, solo una volta. Alla fine del film, una schermata racconta che fuggì in Germania nel 1989 per poi essere catturato e riportato in Turchia. Inizialmente fu condannato a 15 anni, ma i tribunali turchi ridussero la sentenza a tre per «buona condotta». Alla fine, uccidere Bergen gli costò solo sette mesi in prigione. «Il nome dell’autore è HALİS SERBEST» recitano i titoli di coda.

Il femminicidio è un problema urgente in Turchia oggi come lo era negli anni ’80. Solo nel marzo 2022, sono 25 le donne uccise da uomini e altre 19 sono morte in circostanze sospette. Eppure i colpevoli, sempre se vengono processati, ricevono spesso una riduzione della pena per aver espresso rimorso e persino per aver indossato giacca e cravatta durante il processo: un fenomeno che in Turchia alcuni chiamano “riduzione della cravatta” .

Se conosciamo il numero esatto di donne uccise mensilmente e annualmente in Turchia è grazie ai dati raccolti e condivisi dalla piattaforma We Will Stop Femicide. Tuttavia, mentre la Turchia discute ancora una volta sulla violenza contro le donne grazie alla consapevolezza suscitata dal film, il 13 aprile l’ufficio del Pubblico ministero di Istanbul ha intentato una causa per chiudere la piattaforma We Will Stop Femicide per «azioni contro la legge e la moralità». In una dichiarazione rilasciata sul sito web, gli organizzatori scrivono: «Mentre noi chiamiamo le autorità politiche, i pubblici ministeri e i tribunali a svolgere il loro lavoro e aiutare le donne, questi scelgono invece di prendere di mira chi cerca di risolvere questo problema con azioni legali vuote».

La storia di Bergen mostra che l’indulgenza del governo turco nei confronti degli autori di femminicidio non è una novità. Bergen è morta da 33 anni, ma il suo assassino è libero da quasi 32, a parte una breve detenzione per l’abuso sessuale di quattro bambini nel 2018. I media mainstream in Turchia continuano a invitarlo nei talk show per interviste in cui nega di provare rammarico per l’omicidio di Bergen.

Poiché Serbest continua a esercitare influenza in Turchia, le riprese e la produzione di «Bergen» sono state completate in estrema segretezza poiché i produttori del film hanno ricevuto minacce di morte. I pericoli sono continuati anche dopo la realizzazione del film. Mentre Serbest intenta cause per diffamazione contro gli autori del film, attori e produttori vivono sotto protezione e la polizia antisommossa è stata schierata al gala di presentazione del film a Istanbul per prevenire incidenti.

Nel distretto Kozan di Adana, dove vive oggi Serbest, il sindaco ha vietato la proiezione del film citando scene di violenza inadeguate per i bambini. Una dichiarazione di condanna della decisione del sindaco, firmata da diversi sindacati e associazioni cinematografiche turche, afferma che questa decisione è stata influenzata «dalla pressione dell’uomo che ha ucciso Bergen» continuando: «Metti a tacere gli assassini, dai voce alle donne!».

Quando Kemal Kılıçdaroğlu, presidente del CHP, principale partito di opposizione turco, ha visto il film in una proiezione speciale del 17 marzo, ha affermato: «Chiunque rifiuti la violenza contro le donne deve guardare questo film. …Ci mostra quanto sia preziosa la Convenzione di Istanbul» riferendosi alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, firmato a Istanbul nel 2011.

Il primo luglio 2021, tuttavia, il presidente Recep Tayyip Erdoğan ha firmato un decreto presidenziale che ritirava la Turchia dalla convenzione , descrivendo quest’ultima come un attacco alla «unità della famiglia».

Mentre i difensori dei diritti delle donne in Turchia continuano a cercare di ribaltare l’abbandono della Convenzione di Istanbul e di proteggere organizzazioni della società civile come la piattaforma We Will Stop Femicide, «Bergen» ha colpito il pubblico. Il film ci ricorda che, sfortunatamente, le difficoltà che le donne trovano nel cercare protezione e giustizia da parte della legge in Turchia non sono nulla di nuovo.

(*) ripreso da Osservatorio Balcani e Caucaso

 

 Abdo, la musica curda che si impara dal barbiere e racconta le guerre

Il musicista curdo Ashti Abdo con “Beja” ha condannato tutte le guerre, anche quella in Ucraina. E ora prepara il secondo album con il trio Abdo Buda Marconi.

di Mariarosa Porcelli (**)

Quando è arrivato in Italia dal Kurdistan siriano, 16 anni fa, è rimasto subito incastrato negli ingranaggi della catena di montaggio di una fabbrica del lodigiano. Ci è voluto qualche anno prima che Ashti Abdo riuscisse a dedicarsi totalmente alla musica, accompagnato dal suo amato tembûr, uno strumento diffuso nell’area mediorientale e che «in Kurdistan si impara dal barbiere». Ora Abdo lo suona in giro per l’Europa, diffondendo le melodie delle terre dell’Est insieme al trio Abdo Buda Marconi, con cui sta realizzando il secondo album. E intanto studia da mediatore culturale perché, dice, le storie delle persone arricchiscono la sua vita.

La strada da Aleppo a Lodi di Ashti Abdo

Nato ad Aleppo, in Siria, e cresciuto ad Afrin, nel Kurdistan siriano, Ashti Abdo aveva 23 anni al suo ingresso in Italia. «Dal giorno dopo il mio arrivo, ho lavorato in una fabbrica in cui si confezionavano le riviste della Mondadori, vicino Lodi. È stato massacrante, i primi giorni lavoravo 18 ore. Avevo raggiunto mio padre che era arrivato in Italia circa cinque anni prima e faceva lo stesso lavoro». Abdo entra a gamba tesa nella questione curda raccontandoci che, come il padre, è andato via dal proprio Paese per problemi familiari ma anche per il mancato riconoscimento dell’etnia curda. Ha lavorato in quella fabbrica di Lodi per tre anni, poi non ce l’ha fatta più e ha deciso di mollare.

Si parte da tanti Paesi del mondo pensando che in Italia sarà diverso, sarà meglio. Ma scappi da una realtà di conflitto e ne trovi una di ingiustizia

I primi sei mesi in Italia li ha passati a piangere come un bambino, confessa a NRW. A 54 anni suo padre è andato in cassa integrazione e visto che non riusciva a trovare un altro lavoro ha lasciato l’Italia. Ora si trova in Danimarca, insieme alla sorella di Ashti, scappata dalla guerra in Siria nel 2011.

In Kurdistan la musica si impara dal barbiere

Quando era in Siria, Abdo ha sentito costantemente il peso delle ostilità contro il popolo curdo. Ma la musica ha reso la vita più sopportabile, nonostante il padre l’avesse scoraggiato a fare l’artista. «Da piccolo ho sempre strimpellato ma più che altro cantavo, andando dietro a mio fratello maggiore che era un vero musicista. Invece mio padre voleva farci studiare. Lui, che era scultore, guardava l’arte come qualcosa da evitare perché sapeva che non ci avrebbe dato da mangiare». Come suo fratello, Ashti Abdo ha imparato a suonare il tembûr, lo strumento che in Kurdistan si impara dal barbiere.

Funziona come in Calabria, dove tutti i barbieri hanno un mandolino appeso al muro. Mio fratello ha iniziato così, suonando in giro per negozi mentre ci si tagliava i capelli

Il tembûr è una specie di liuto, simile al bouzouki greco con il manico più lungo. «Si dice sia turco» ci tiene a precisare Ashti Abdo, «ma come altri strumenti che poi si sono sparsi per il Medio Oriente, le sue radici sono curde». Qualche anno dopo, però, la volontà della famiglia ha preso il sopravvento e il fratello di Abdo è finito in Armenia a studiare. «È stato in quel momento che ho iniziato a suonare seriamente, quando non ho più potuto appoggiarmi a lui».

QUI IL VIDEO: https://youtu.be/uCRqIEJ2PgE

Dalla fabbrica ai concerti di Ashti Abdo nei teatri

La scelta di ribellarsi al sistema corrotto del lavoro in fabbrica ha causato parecchi problemi ad Ashti Abdo, ma per fortuna gli ha anche fatto incontrare persone che si sono schierate dalla sua parte e l’hanno aiutato. «La mia insegnante di italiano al corso organizzato dal Comune mi ha trovato il contatto per un concerto in un teatro. La cosa era vista male in fabbrica perché rubava tempo al lavoro, secondo loro». Da quei primi ingaggi le occasioni sonno arrivate una dietro l’altra, e nel 2012 Abdo ha iniziato a collaborare con i Domo Emigrantes, un progetto di musica popolare del sud Italia e del Mediterraneo. «È stato un bellissimo scambio durato fino al 2018, durante il quale ho scoperto nuove sonorità e strumenti come lo scacciapensieri».

Nel 2014, poi, è arrivata anche la Piccola banda rebelde, una carovana di dieci elementi con cui si è divertito a riscoprire la musica di Fabrizio De André. E ora Ashti Abdo si divide tra la carriera da solista e il progetto con Buda e Marconi, iniziato nel 2016, e arrivato in fase di lavorazione del secondo album di brani originali, dopo Karsilama del 2019. La loro musica è un viaggio attraverso le sonorità dei Paesi dell’est, dai Balcani al Caucaso. «Di base siamo tre strumenti a corda. In più, io suono anche le percussioni e il duduk, un bellissimo strumento armeno a fiato simile all’oboe» ci spiega citando la colonna sonora del film Il gladiatore, suonata dal compositore armeno J̌ivan Gasparyan.

La musica serve a sensibilizzare

Non possiamo non parlare della guerra in Ucraina, a questo punto punto, una situazione che lo tocca profondamente, dice il musicista curdo con fermezza.

Ovviamente io sono contro la guerra ma mi chiedo: un bambino di qualsiasi nazionalità che si trova bloccato al confine russo o lituano da mesi, cosa penserà dei bambini ucraini che sono già stati accolti in Italia?

È solo uno spunto di riflessione, precisa Abdo, «perché bisogna sempre fermarsi e ragionare, senza fare le vittime a priori».

Parlando del valore della musica, Ashti Abdo non ha dubbi sulle sue capacità di connettere le persone e consapevolizzare l’opinione pubblica. «Mi capita di partecipare a serate di raccolta fondi o eventi di sensibilizzazione per tematiche delicate. Ho scritto un brano sulla guerra in Siria ma è un pezzo che in realtà parla di tutte le guerre. Si chiama Beja, che vuol dire “racconta”, in questo caso racconta la guerra attraverso la musica. E visto che io non sono molto bravo con le parole, mi esprimo meglio con le note, è il modo in cui riesco a trasmettere la bellezza e la fatica della mia vita».

(**) ripreso da www.nuoveradici.world

«AWAZEN KURDI»

Musiche e melodie kurde proposte da ASHTI ABDO, cantante kurdo siriano, polistrumentista e compositore.

GIOVEDI’ 26 maggio dalle 17.30 presso la sala della Casa di Quartiere in Alessandria (via Verona 116)

Non solo musica, ma anche cultura di un popolo da sempre negato; infatti, Abdo suonerà, canterà e illustrerà i vari strumenti musicali di cui si serve, alcuni autoprodotti.

Presenta Fulvia Maldini, che leggerà poesie del popolo kurdo.

E per finire, un ricco buffet di dolci e assaggi della tradizione kurda, ma non solo.

L’entrata è a offerta minima.

Organizza l’«Associazione Verso il Kurdistan» con Casa di Quartiere e con CSVA

ALCUNI LINK

I molti volti di Erdogan: mediatore in Ucraina, macellaio in Kurdistan, ora amico d’Israele e Arabia Saudita | di VALERIO NICOLOSI
Recep Tayyip Erdogan, “il dittatore del quale abbiamo bisogno” – per usare le parole di Mario Draghi – sta giocando un ruolo importante in politica estera, spaziando dalla guerra in corso tra Russia e Ucraina alla Libia, passando per l’Azerbaijan e per finire lungo i suoi confini Sud, in Siria e Iraq contro i suoi nemici storici: i curdi del PKK.

Nuovo attacco agli Ezidi di Şengal. Arrestati due giornalisti

I militari iracheni hanno circondato le postazioni delle forze di autodifesa Ezide in diversi villaggi del distretto e ha chiuso tutte le vie di comunicazione. il 20 aprile la giornalista tedesca Marlene Förster e il collega sloveno Matej Kavčič sono stati arrestati con l’accusa di “sostegno al terrorismo”

Il confederalismo democratico attaccato su tutti i fronti, dal nord-Iraq alla Siria del nord-est

Nel silenzio della quasi totalità dei media, dallo scorso 14 aprile la Turchia di Erdogan  ha dato il via a una nuova offensiva contro le esperienze di autonomia democratica in nord-Iraq e nella Siria del nord-est.

La Turchia continua con l’uso di armi chimiche nel sud del Kurdistan

Le HPG (Forze di difesa del popolo, braccio armato del PKK) denunciano l’utilizzo di sostanze chimiche nelle aree del Nord dell’Iraq (Sud Kurdistan) da parte dell’esercito e l’aviazione turca

2 notizie riprese dall’agenzia «Anbamed» del 5 maggio

Turchia

La stampa turca svela i piani per l’occupazione di una striscia di confine irachena, come avvenuto in Siria. Gli esperti di Ankara sostengono che ci sia una base giuridica in un accordo del 1926 tra i colonialisti britannici, la monarchia irachena e il governo di Ankara. Sarebbe il riconoscimento di un’occupazione di fatto già esistente. Le truppe dell’esercito turco hanno basi militari in territorio del Kurdistan, compiono incursioni aeree e di truppe di terra, senza neanche avvisare il governo di Baghdad. Il tutto nel nome della foglia di fico della lotta contro il PKK. Le mire territoriali di Erdogan preoccupano gli ambienti politici iracheni che in realtà non sono in grado di opporre ad esse resistenza, né diplomatica, né militare. Le azioni di Ankara hanno l’approvazione di Washington.  

Yazidi

L’esercito iracheno ha comunicato di aver concluso le sue operazioni a Sinjar, cacciando tutti gli elementi armati delle forze di autodifesa. “Non c’è più nessun fenomeno armato nella zona al di fuori del nostro controllo”, scrivono i militari di Baghdad. Non vedono però le basi turche a poche decine di km. La popolazione di molti villaggi yazidi è fuggita cercando riparo nella vicina regione del Kurdistan autonomo. La deputata yazida nel Parlamento di Baghdad, Vian Dakhil, ha chiesto all’esercito di mettere fine alle operazioni militari contro la popolazione, di assistere gli oltre 4000 rifugiati e garantire al più presto il loro ritorno ai luoghi di origine.

 

Redazione
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