Turchia: Gianfranco Castellotti in sciopero della fame

di Gianni Sartori

Da ieri Gianfranco Castellotti – militante comunista di Massa arrestato mentre si trovava a Istanbul per seguire il processo ai musicisti “dissidenti” di Grup Yorum – è in sciopero della fame.

La protesta non è rivolta principalmente contro l’arbitraria sua detenzione. Sembra piuttosto voler ribadire quel “tutti o nessuno” (di brechtiana memoria) che fin dalle origini ha caratterizzato l’identità del movimento operaio.

Quindi – come spiega in un comunicato Anti-Imperialist Front Italia – scopo di questa sua radicale iniziativa è «focalizzare l’attenzione di tutti sulla situazione che stanno vivendo lui e gli altri compagni rivoluzionari arrestati ieri mattina al Centro Culturale Idil».

Sciopero della fame: arma estrema di ribelli e rivoluzionari incatenati che non hanno altra maniera per far giungere all’esterno delle carceri il loro grido di libertà, far conoscere le condizioni – spesso infami e terribili – in cui sono costretti a vivere sotto i colpi della repressione. Dai Repubblicani irlandesi (militanti di IRA e INLA) del 1981 alle centinaia di prigionieri turchi e curdi che tra la fine degli anni novanta e il primo decennio del XXI secolo hanno perso la vita in tale maniera. O hanno subìto danni fisici e psichici irreparabili quando lo Stato è intervenuto con l’alimentazione forzata (una “forma di tortura” anche secondo Amnesty International). Per inciso, stessa sorte toccata a molti militanti dei Grapo nelle prigioni spagnole negli anni ottanta.

Come mi spiegava ancora nel 1985 Domhnall de Brun (militante repubblicano e libertario, insegnante di gaelico, figlio di un volontario nelle Brigate internazionali nel 1936…) lo sciopero della fame era e rimane principalmente una forma di lotta di liberazione. Riporto testuale: «Lo sciopero della fame fino alle estreme conseguenze fa parte della tradizione celtica irlandese. Ma quello condotto con estrema determinazione dai prigionieri degli H Block, più che un esplicito richiamo al diritto tradizionale gaelico e alle leggi druidiche, rappresentava un atto prettamente politico all’interno di un processo collettivo di liberazione».

Una definizione che – penso – valga anche per gli scioperi condotti, per esempio, dai prigionieri politici baschi (poi interrotti soltanto per non subire l’estrema offesa dell’alimentazione forzata, quando gli etarras detenuti erano già mani e piedi legati ai letti di contenzione) in carceri come Salto del Negro nel 1992.

Per tornare agli ultimi mesi e giorni, va ricordato che nelle prigioni turche sono in atto altri scioperi della fame per protestare contro le condizioni in cui versano prigioniere e prigionieri. Da tempo si parla di «aggressioni e torture ormai quotidiane» nelle carceri di Van e Patnos e per protestare contro tali arbitrarie violenze da parte del personale carcerario altri detenuti sono entrati in sciopero della fame.

In particolare, un numero imprecisato di prigionieri politici nel carcere di tipo L a Patnos (provincia di Agiri) e almeno quattro – da circa quindici giorni – in quello di Van (un carcere di tipo F e T).

Uno di loro, Kadir Karabak, ha potuto comunicare telefonicamente con i propri familiari. La goccia che ha fatto traboccare il vaso delle infinite angherie è caduta quando «l’area prevista per l’ora d’aria è stata coperta». Parlando anche a nome degli altri tre, ha poi aggiunto che «continueremo lo sciopero della fame fino a quando la direzione del carcere non darà seguito alle nostre richieste».

Altro recente problema: fra le donne prigioniere si va diffondendo – quasi un’epidemia – una sistematica e generale perdita di capelli. Presumibilmente un segnale di carenze alimentari e di cure mediche inadeguate.

A Patnos le perquisizioni dei familiari in visita ai detenuti sono diventate ossessive (ogni visitatore viene perquisito – pesantemente e indecentemente ovviamente – almeno quattro volte) e sono stati requisiti perfino i biberon. Chi si oppone viene semplicemente allontanato ed escluso dalla visita.

Il già citato comunicato di Anti-Imperialist Front Italia si conclude ricordando che la scelta di Gianfranco contiene implicitamente anche un appello: «A tutti noi che siamo fuori, la decisione presa grida di non mollare, di non smettere mai di lottare, di continuare sul nostro difficile cammino che è il suo e quello di tutti i compagni rivoluzionari che sono con lui. Reclamiamo l’immediata liberazione di Gianfranco e dei compagni arrestati insieme a lui! Reclamiamo l’immediata liberazione di tutti i rivoluzionari prigionieri delle carceri fasciste turche! Libertà per il popolo turco e per tutti i popoli in lotta! Libertà per tutti i prigionieri politici!».

 

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