Turchia: la guerra di Erdogan contro il dissenso

articoli di Radio Onda d’urto e Antonella NapoliErgastoli, destituzioni di sindaci, manganelli contro femministe e minatori (*)

Salgono a 337 le condanne all’ergastolo emesse il 26 novembre da un tribunale di Ankara al termine di uno dei principali maxi-processi per il fallito colpo di stato del 15 luglio 2016 in Turchia, relativo alle azioni organizzate nella base aerea di Akinci, Tra i condannati ci sono decine di ex alti ufficiali e piloti di jet delle forze armate. Altri 60 imputati sono stati condannati a pene minori e 75 assolti.

Sempre oggi ennesima operazione repressiva contro le forze di sinistra in generale e curde in particolare. Arrestato il vice sindaco del municipio di Sisli, i giornalisti Davut Uçar e Kesire Önel e 16 altre persone di diversi partiti politici e ong. A comunicarlo il Ministero degli Interni, che poi ha aggiunto: nelle ultime 2 elezioni sono già 151 gli amministratori, quasi tutti curdi dell’HDP, rimossi. 73 di questi, in totale, sono stati condannati a…sette secoli di carcere. Dentro le carceri, invece, nuovo sciopero della fame, lanciato dai prigionieri PKK, per chiedere la liberazione di Abdullah Ocalan.

La Turchia di fatto vive quindi in uno stato di polizia, che non riguarda solo l’aspetto politico, ma anche i diritti sindacali e di agibilità democratica. Gli ultimi esempio nelle ultime ore, con i manganelli contro le donne in piazza, da Ankara a Batman, per la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne (253 quelle uccise, quest’anno, in Turchia) e la trentina di minatori arrestati nell’ennesimo tentativo di organizzare una marcia verso la capitale Ankara per denunciare le disumane condizioni di vita e di lavoro.

L’intervista a Murat Cinar, giornalista turco da anni in Italia e nostro collaboratore. Ascolta o scarica

da Radio Onda d’Urto

Nuova ondata di arresti di attivisti e avvocati accusati di terrorismo

di Antonella Napoli (**)

Ancora una volta, Erdogan usa la legislazione antiterrorismo per sbarazzarsi di qualunque voce di dissenso.

Non lasciamo passare sotto silenzio l’ennesima violazione dei diritti umani da parte del regime turco!

Una nuova ondata di arresti sì è abbattuta su attivisti politici, difensori dei diritti umani e avvocati in Turchia.
Nelle ultime ore sono stati eseguiti centinaia di ordini di cattura nella città a maggioranza curda di Diyarbakir, nel Sud-Est della Turchia. Sono già finite in carcere 72 persine, tra cui 24 esponenti della classe forense.
L’Ordine degli avvocati di Parigi, a cui si sono associati molti legali italiani, ha esortato il governo turco a porre fine alle persecuzioni nei confronti dei loro colleghi che svolgono un ruolo fondamentale nella protezione dei diritti umani e delle libertà alla base di uno stato di diritto.
I sospettati già in custodia cautelare sono accusati di essere affiliati alla organizzazione terroristica curda Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan), di fare proselitismo attraverso il ‘Congresso per la Società Democratica’e di promuovere attività a scopo terroristico.
L’operazione di oggi delle autorità giudiziarie turche è l’ennesima azione repressiva nei confronti della minoranza curda che vive nel Paese.
L’ultimo atto di una vera e propria guerra del governo di Ankara iniziata nel 1984 contro il Pkk, un conflitto che ha fatto circa 50 mila vittime.
Se è comprensibile che chi utilizza la lotta armata e commette atti violenti possa essere considerato un terrorista, non è accettabile che chiunque provi a difendere il proprio popolo pacificamente venga trattato alla stessa stregua di estremisti sanguinari.
Le continue violazioni dei diritti contro i curdi, come nei confronti di cittadini turchi che non condividono le azioni del governo e del presidente Recep Tayyip Erdogan, si abbattono non solo su oppositori o giornalisti critici ma anche esponenti della società civile.
Repressioni che hanno chiarito senza ombra di dubbio che lo stato di diritto in Turchia è definitivamente morto.
Da anni Amnesty International denuncia questa deriva autoritaria che si è ulteriormente inasprita dopo il fallito golpe del luglio 2016.
Negli anni non solo sono stati arrestati, torturati, uccisi esponenti del Pkk ma anche tanti difensori dei diritti, tra qui tutto il board di Amnesty Turchia, e avvocati. Personalità di spicco come Tahir Elçi, ucciso il 28 novembre 2015 al termine di una conferenza stampa a Diyarbakır.
Per il suo assassinio sono a processo tre agenti di polizia e un sospetto militante del Partito dei lavoratori del Kurdistan.
Tahir Elçi era il presidente dell’associazione degli avvocati della sua città, assisteva decine di vittime di violazioni dei diritti umani e chiedeva la fine della violenza e rispetto e dignità  per la popolazione curda.
Nelle settimane precedenti il suo assassinio, Elçi era stato al centro di una campagna denigratoria e aveva ricevuto minacce di morte.
Le autorità turche, anziché attivare misure di protezione, avevano aperto un procedimento contro di lui con accuse del tutto inventate.
Le intimidazioni erano iniziate dopo la sua partecipazione a un programma televisivo nel quale aveva dichiarato che il Partito dei lavoratori del Kurdistan non dovesse essere considerato un gruppo terroristico ma un movimento politico armato che godeva del sostegno popolare.
Pochi minuti prima che venisse ucciso aveva affermato che a Diyarbakır nessuno voleva armi né scontri, né operazioni di polizia. La conferenza stampa nel corso della quale aveva pronunciato queste parole era stata indetta proprio per chiedere la fine della violenza, dopo che il minareto della città a maggioranza curda era stato danneggiato nei disordini tra forze di sicurezza turche e militanti del Pkk.
Secondo la ricostruzione degli eventi, gli agenti di polizia spararono contro due sospetti militanti del Pkk in fuga centrando Tahir Elçi, che si trovava ai piedi del monumento.
La scena del crimine non venne transennata e le indagini sull’uccisione di Elçi vennero avviate solo quattro mesi dopo.
Ricordando le parole di Türkan Elçi, la vedova, di Tahir, a pochi giorni dall’anniversario del suo omicidio anche Articolo 21 e le organizzazioni che sostengono la campagna del Turkey Advocacy Group, sottolineano in una nota che “il giorno in cui un avvocato impegnato nella lotta contro la guerra e la violenza è stato ucciso di fronte a tutti si è aperta una profonda ferita, che tuttora rimane tale, nella società turca”.
Tutti noi, come Türkan, sebbene con un ritardo di cinque anni, speriamo ancora nella giustizia.
Fino alla fine continueremo a chiedere “verità e giustizia” per Tahir Elçi.

(**) da articolo21

 

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