Ubik non nuoce se usato correttamente

di Danilo Ruocco (*)

Ubik di Philip K. Dick è un romanzo denso, in cui compare tutto l’Universo dell’Autore, fatto di telepati, precog e inerziali; ma, anche, di incapacità – da parte dei protagonisti – di stabilire cosa sia reale e cosa no; cosa vivo e cosa morto.

Il racconto del percorso svolto dai protagonisti (e in particolare da Joe Chip) per tentare di individuare chi li abbia fatti regredire dal 1992 al 1939 è anche – e, forse, soprattutto – una feroce critica al sistema capitalistico statunitense, tutto basato sul Dio denaro e sulla capacità di acquisto dei consumatori.

E, allora, ecco che chi può permetterselo, riesce anche a rimandare il momento del trapasso, facendosi ricoverare in un moratorium in cui si viene tenuti artificialmente in semivita, ossia in una condizione cerebrale prossima alla morte, ma, anche, alla vita onirica.

Invece, coloro che non hanno abbastanza denaro, devono combattere una lotta estenuante non solo per procurarsi i più comuni beni di consumo, ma anche contro gli oggetti che popolano le loro case (dalle porte al televisore) che, venali in modo ossessivo, chiedono continuamente denaro per svolgere le funzioni per le quali sono stati costruiti.

Un mondo – il consumistico e venale 1992 (dickiano) – non meno orrido del razzista e belligerante 1939 in cui – come detto – i protagonisti regrediscono loro malgrado e in cui vengono progressivamente uccisi da una forza tanto misteriosa, quanto sadica.

L’unica cosa che pare poter contrastare tale potere è Ubik, una sostanza tanto potente e miracolosa, quanto multiforme, che sembra essere sempre esistita (tanto che la si commercializza in ogni epoca attraversata dai protagonisti) e che non nuoce se usata seguendo le istruzioni.

Un’avvertenza che sa di sberleffo, se riferita a ciò che, potenzialmente, dovrebbe salvare la vita!

(*) ripreso da www.amleto.info; va segnalata l’ennesima riedizione di «Ubik» fra gli Oscar Cult Mondadori

 

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