Ultime parole (famose o fumose?)

Torna «Ci manca(va) un Venerdì» – puntata 154 – di Fabrizio “Astrofilosofo” Melodia

 

«Un uomo illustre dovrebbe far attenzione alle sue ultime parole… scriversele su un pezzo di carta e farle giudicare dai suoi amici. Certo non dovrebbe lasciare una cosa del genere all’ultima ora della sua vita»: così l’arguto Mark Twain, noto per le sue storie fantastiche e di avventura sui battelli del Missisippi (ma fu anche un attivista contro lo schiavismo e il nascente imperialismo Usa).

Le ultime parole in punto di morte sono importanti, la parola fine all’ultimo capitolo del romanzo, la scena finale di un film epico, il colpo di coda del tempo come il celebre dipinto “The Bathos” del pittore inglese Hogarth, lapidario come un aforisma e iconico come un guizzo comico. 

Karl Marx ebbe modo di dire che «le ultime parole vanno bene per gli sciocchi che non hanno detto abbastanza in vita». Arguto anche lui: cosa c’è bisogno di aggiungere quando hai speso bene la tua vita?

Eppure la drammaticità che porta alla morte è percepita spesso come la dissoluzione finale quando si raggiunge il climax, come ci insegna il filosofo greco Aristotele nel primo – e per ora unico – libro della “Poetica”, dove pone l’accento, oltre che sulla struttura in tre atti in crescita, sulla necessità di uno scioglimento per la piacevole catarsi purificatrice nel pubblico. Un ghignante Umberto Eco – nel “Secondo diario minimo” – ammonisce: «Ma con tutte queste tragedie all’aperto, il pubblico non si prenderà una bella catarsi?». 

Cercando di rispondere all’annosa questione, climax e scioglimento seguono ben precise tempistiche e sapienti dosaggi, per dare all’essere umano quella necessità di senso che la mente logica richiede e cerca nell’apparente assurdità della morte, in quello scacco della ragione contro il quale sembra – per molti – esserci solo spazio per le rassicurazioni religiose. 

Il filosofo Ludwig Wittgenstein chiosò in punto di morte: «dite a tutti che ho avuto una vita meravigliosa». Niente male per un uomo che ha rivoluzionato il senso stesso del filosofare, mutando il concetto e il significato stesso del fare metafisica, invitando le persone a cercare loro stesse i limiti del linguaggio, anche se alla fine la scala usata per salire in cima risulta sbagliata. Ha avuto una vita meravigliosa anche se ad alcuni potrebbe sembrare il contrario, ma in fin dei conti, chi sono (chi siamo?) gli altri (noi?) per giudicare? 

«Svignarsela, bisogna svignarsela»: frase all’apparenza priva di senso pronunciata da Lev Tolstoj, affetto da una febbre altissima e perduto in una stazione innevata, come in uno dei suoi amati romanzi. Era fuggito di casa dopo l’ennesima litigata con la moglie, la quale aveva cercato di fargli redigere un nuovo testamento a favore suo. La polmonite lo ha ucciso ma non ha impedito alla figlia, corsa al suo capezzale, di dettare l’ultima nota del suo “Diario” e di sentire le ultime parole del padre, prima di spirare.

Significative – e in stile con il personaggio – le ultime parole di Oscar Wilde: «O se ne va questa carta da parati o me ne vado io». Eccheccavolo, dopo aver scontato il carcere per il “reato” di omosessualità, almeno poter morire in una stanza decente.

Ci possono essere congedi poetici degni del miglior melodramma? Parrebbe di sì, alla luce di questi versi: «O caro amico, ci vedremo ancora, | ché sempre nel mio cuore tu rimani. | Ormai di separarsi è giunta l’ora, | ma promette un incontro per domani. | O caro amico addio, senza parole, | senza versare lacrime o sorridere. | Morire non è nuovo sotto il sole, | ma più nuovo non è nemmeno vivere» scrisse Sergej Aleksandrovič Esenin. Correva il 28 dicembre 1925 e questi versi sono considerati il suo ultimo componimento poetico (Congedo) nonché le ultime parole. Si sussurra che siano stati scritti da Esenin con il suo stesso sangue. Quella notte (fra il 27 e il 28 dicembre) il poeta si impiccò nella sua camera d’albergo a Leningrado.

«L’Italia è fatta, tutto è a posto» disse Camillo Benso, conte di Cavour; o almeno lo afferma l’amico Michelangelo Castelli dicendo che Luigi Carlo Farini l’aveva inteso al capezzale. Magari no. Perchè Vittorio Emanuele Taparelli d’Azeglio – in un articolo del 20 febbraio 1890 pubblicato sulla Gazzetta Piemontese – riporta la testimonianza della marchesa Giuseppina Benso di Cavour Alfieri di Sostegno, sua cugina e nipote di Cavour, secondo la quale lo statista in punto di morte avrebbe pronunciato solamente frasi incoerenti. A chi credere? E a chi importa? Sta di fatto, dopo 150 anni circa, che sembra ben poco a posto l’Italia rispetto a come la pensava e caldeggiava Cavour.

Possono esserci ultime parole garbate come quelle di Maria Antonietta d’Asburgo (che pure da regina di Francia aveva affamato e impoverito un popolo intero) la quale, avendo pestato il piede al boia, pare abbia detto: «Pardon, monsieur. Non l’ho fatto apposta».

Altre donne invece hanno avuto modo di chiosare, con lingua veritiera e tagliente, le storture sociali. Basti pensare a Olympe de Gouges, femminista ante litteram nella rivoluzione francese, ghigliottinata poiché chiedeva pari diritti per le donne, a partire dal voto universale. Mentre veniva trasportava ebbe modo di dire: «Le donne avranno pur diritto di salire alla tribuna, se hanno quello di salire al patibolo».

In conclusione, ecco Honorè de Balzac: «Otto giorni di febbre! Avrei avuto il tempo di scrivere ancora un libro» … come se non bastasse la gran mole che ci lascia. A fargli eco, il papà della fantascienza moderna Isaac Asimov: «Se il mio medico mi dicesse che mi rimangono solo sei minuti da vivere, non ci rimuginerei sopra. Batterei a macchina un po’ più veloce».

NELL’IMMAGINE: una nota stampa satirica di William Hogarth intitolata “Finis, on the Bathos“; omaggio alla fine del mondo con le ultime parole sul carteggio in mano alla creatura. 

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

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