Un Dio Dimezzato… parte seconda

Un Dio Dimezzato, un Dio Oltraggiato – Parte Seconda di

Mauro Antonio Miglieruolo

 

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Torniamo ai cambiamenti nei paradigmi scientifici dei quali abbiamo fornito un resoconto, auspico, fedele, seppure sommario. Al perché il succedersi delle varie negazioni non inficia il lavoro scientifico e anzi lo rafforza.

Il perché è presto detto. Se infatti i residui metafisici vengono puramente e semplicemente espulsi dalle scienze e gettati nel dimenticatoio, l’altro contenuto, quello veramente significativo, il nocciolo oggettivante d’ogni teoria, viene mantenuto, e continua ad avere peso nella pratica scientifica e a produrre risultati.

Le rivoluzioni scientifiche abbattono soltanto i pregiudizi, cancellano le illusioni, eliminano dal contesto le credenze erronee; ma conservano i concetti pregressi, dei quali si limitano a stabilire, come appena detto, l’ambito di validità[1]. A tutt’oggi in astronomia valgono le “leggi” della gravitazione universale così come postulate da Newton. Esse non sono false. Possiedono un loro ambito di validità, all’interno del quale, pur con piccole correzioni, sono utilizzabili; in questo ambito risultano inattaccabili.

Vuole significare tutto questo scarsa attendibilità della scienza, come insinuano o sostengono apertamente, a secondo dell’interlocutore o del momento dialettico, alcune persone “di fede” che si autodefiniscono creazionisti? No, vuol dire semplicemente che allargando la sfera di indagine e inserendo nuovi fenomeni nel quanto già preso in esame si ottiene una visione più larga e completa della natura dell’universo, in un processo asintotico che è probabile non abbia mai fine. Vuol dire che i residui metafisici che inquinano le scienze, specialmente agli inizi (e sui quali fanno leva i parassiti della scienza per metterla a profitto dei loro eterogenei fini), devono essere eliminati attraverso un lunghissimo processo di depurazione i cui risultati non sono acquisiti una volta per tutte: attorno alla scienza si svolge una lotta incessante, filosofica anzitutto, attraverso cui, coloro che ne hanno interesse, tentano sia di contrastarne il progresso, sia di appiattirla su quegli interessi sfruttandone parassitariamente i risultati (a costo di comprometterne le acquisizioni). È una lotta, questa, eterna, implacabile, a cui la scienza risponde (e non può che rispondere) in un solo modo: affermando con forza il proprio metodo, la propria oggettività (mai neutrale), la propria pratica; e ancorandosi ai risultati che ottiene, verificabili da chiunque[2].

In questa lotta secolare, ognuno di noi, è ben poca cosa: e tuttavia contribuisce, nel suo piccolo, a dare apporto alla congiuntura teorica che stiamo attraversando. Una congiuntura teorica che ha origine nell’aggressione ideologica della scienza avviata in USA dai creazionisti (i quali possono vantare notevoli successi politici)[3]; e che cerca di ottenere “pari dignità” anche nel resto del mondo[4].

Non mi si fraintenda. I limiti di questo contributo non sono pertinenti alla dimensione dei personaggi che ne sono i protagonisti; o alla modestia degli spazi in cui avviene lo scontro o l’incontro tra noi. Questi limiti sono da porre in relazione con la storia in formazione dei nostri tempi, con la contemporaneità; e con il problema secolare dell’autonomia dello scientifico all’interno di un determinato modo di produzione. La scienza infatti, quantunque non se ne abbia piena consapevolezza, avanza avendo davanti a sé sia gli ostacoli posti dalle specifiche difficoltà insite nella decifrazione del gran mistero della natura, sia quelli posti dai pre-giudizi dei contemporanei e operanti negli stessi scienziati che cercano di far luce nell’oscurità che ci circonda (il primo scienziato da convincere e da rieducare è lo stesso ricercatore che apre all’esplorazione un nuovo spazio teorico, spaesato egli stesso in quel nuovo che costruisce); ma soprattutto gli ostacoli materiali che lo specifico modo di produzione e la congiuntura politica specifica pongono davanti all’intelligenza del ricercatore e persino quella del divulgatore.

A parte un unico aspetto, sul quale mi soffermerò fra poco, mi fermo qui. La materialità delle condizioni esterne alla ricerca scientifica e alla gestione medesima della scienza, un discorso complesso che mi riservo di sviluppare altrove, esula gli scopi immediati di questo scritto: la provvisoria resa dei conti con una minaccia grave rivolta contro la razionalità scientifica; e grave esclusivamente perché sottovalutata[5]. Mi contenterò allora di indicarne qui la presenza; e di citare alcuni dei problemi collaterali, quali i problemi di storia delle scienze e di rapporto società/scienza, sui quali sarebbe necessario attardarsi a riflettere.

Su un punto però ritengo sia necessario spendere altre poche parole: sulla reciproca surdeterminazione che l’irruzione della scienza nel contesto sociale produce.

La scienza cambia il mondo, ma il mondo a sua volta condiziona la scienza. Sia ponendogli nuove domande, sia imponendogli nuove metafisiche. Il fatto è che la scienza, in quanto scienza, non può mantenersi estranea alle miserie e ai trionfi della realtà storico-sociale; di essa è costretta a tenere conto all’andata e al ritorno; quando il clima complessivo la favorisce e quando le è ostile. In ogni momento della storia possono determinarsi condizioni politiche-ideologiche avverse, nel corso delle quali può perdere molto del quanto acquisito. Dovrebbe risultare evidente a tutti, persino banale, ma non lo è. Si finge solo che non sia così; o che “da noi”, in Occidente, le cose funzionino diversamente. Lo scandalo dei Telebani è anche lo scandalo degli ipocriti e, mi perdonino gli innocenti, lo scandalo di chi da scandalo (cioé la nostra intera società, pronta a disconoscere agli altri gli incerti principi che a volte applica a se stessa). Sappiamo bene, o dovremmo saper bene, che anche la più trasparente delle acquisizioni scientifiche può essere messa in discussione da ideologie vincenti fondate sull’esaltazione razionalistica dell’irrazionale (nella Germania di Hitler era negata validità alla teoria della relatività); oppure sul materialismo meccanico (la Russia Sovietica e il caso Lysenko); o, dappertutto, dall’ostinata, pervicace negazione (negazione prima, sottovalutazione poi) dai danni all’ambiente provocati dall’attuale modo di produzione, danni che pure incombono minacciosi sulle possibilità stessa di sopravvivenza della specie. La battaglia, dunque, contro le incessanti campagne di annientamento della razionalità scientifica condotta dai reazionari di ogni genere, battaglia in cui siamo coinvolti nonostante noi, NON è che possa essere vinta attraverso l’azione illuministica delle ragioni della scienza, basandosi sui suoi dimostrata e sul far toccare con mano i copiosi risultati che offre[6]. Questa battaglia, in ultima istanza, dipende dal livello dello scontro tra le classi, dall’iniziativa delle masse sotto il dominio della lotta di classe. Là dove il livello dello scontro è vittoriosamente dominato dal grande capitale – in particolare dall’alleanza tra il sistema militare-industriale e il Capitale orientato allo sfruttamento delle risorse del Terzo Mondo (le materie prime, a partire dal petrolio) – lì è possibile, anzi probabile che sorgano forze (come il Creazionismo) capaci di sfidare apertamente l’ormai imperante ragione scientifica e pretendere di restaurare l’antico oscurantismo religioso nelle nuove forme di una ideologia testamentaria dissimulata tramite un linguaggio simil-scientifico.

È per tale motivo che il contenzioso aperto su Futuro Europa 41 (ripeto: ben poca cosa rispetto ai problemi sollevati), pur essendo importante che vi si arrivi, difficilmente potrà approdare a un qualche accordo. Non si tratta infatti di un confronto, ma della ripresa di una guerra che l’oscurantismo religioso da sempre conduce contro la libertà di pensiero. Di una lotta secolare che ci trascende (che sicuramente mi trascende) essendo la posta in gioco troppo grande, che mai potrà concludersi con un armistizio[7]. Non si tratta infatti di stabilire (qui o altrove) chi la dice meglio o chi ha torto e chi ragione; quel che il creazionismo tenta di compromettere, di là dal destino della stessa scienza, è il futuro dell’uomo, la ricostruzione del passato e la gestione complessiva del presente. È la totalità storico sociale. È quel che deve succedere nelle nostre teste affinché i cuori scelgano, oppure accettino le scelte che altri porta avanti. È se deve continuare la politica (con i pretesti più inconsistenti) di aggressione ai poveri, dentro e fuori l’Occidente. È se deve continuare la civiltà del petrolio o se un’altra deve prenderne il posto. È se sono i vari Bush, Putin, Osama e altri consimili figure (si badi bene: tutti personaggi legati al fondamentalismo, micidiale miscela di nazionalismo, religione, potere, interessi economici) devono continuare a guidarci o se altri uomini, altri modi di pensare, altra politica deve prenderne il posto. Ma soprattutto, per restare nello specifico, la posta in gioco è l’esistenza stessa delle scienze. Costretto a arretrare per secoli dall’incalzare impetuoso dei successi scientifici, l’oscurantismo, che avverte il momento favorevole, gioca oggi la sua ennesima carta: attraverso artifici logici, basandosi sul prestigio del dettato biblico, tenta di sottrarre validità alla teoria dell’evoluzione per, attraverso la sua rovina, compromettere sul piano globale lo spirito scientifico. Togliendo all’edificio concettuale costruito dalla scienza un importante pilastro, sa di compromettere la stabilità dell’intera costruzione. Darwin è solo il primo. Tutto il resto seguirà.

3

Giunti a questo punto credo sia venuto il momento di entrare (o meglio rientrare) nel merito delle questioni poste nell’articolo in esame[8].

Un primo paradosso: il ricorso all’autorità di eminenti scienziati, i cui contributi rimangono avvolti in uno stimolante velo di mistero, per avallare i propri fini di demolizione dell’autorità scientifica. La scienza versus la scienza. Non male come argomento. Servirsi positivamente di ciò in cui non si crede (l’oggettività delle conoscenze scientifiche) per avallare la propria incredulità antiscientifica.

Non posso che rendere omaggio. Nonché richiamare l’insegnamento biblico e la splendida metafora della mela e del serpente. La seduzione della conoscenza per escludere dalla conoscenza![9] Non male, davvero! Questo Signor Lucifero se ne intendeva proprio di esseri umani! Sapeva bene come menarli per il naso! Un buona scuola, dunque[10]; ma dei cui contenuti purtroppo, prigioniero come sono della mia indole, difficilmente mi potrò servire. Essa postula alcuni abilissimi impliciti: che i creazionisti sono da iscriversi d’ufficio tra i sostenitori della scienza, dei quali valorizzano alcuni apporti (alcuni e non altri); che, da iscritti, è ammesso o ammissibile svolgervi una funzione parassitaria, proprio in quanto suoi (fittizi) valorizzatori; che si resta sul piano scientifico anche quando si sostituisce la fede (fede nelle sacre scritture; ma più ancora fede in alcune – di nuovo questa infernale parzialità nelle scelte – delle letture che ne possono essere fatte) alle inferenze, allo spirito critico e alla pratica scientifica.

Diciamolo in un altro modo, un modo schematico, aggiungendo qualcosa della quale ammetto di dovermi sobbarcare dell’onere della dimostrazione:

a) che i creazionisti instaurano con le scienze scopi esclusivi di sfruttamento;

b) che i creazionisti peccano del rapporto antagonista che instaurano con le scienze;

c) che i creazionisti riconoscono la validità della scienza al fine esclusivo di poter far leva dall’interno delle scienze per negare validità a quelle che più pericolosamente inficiano gli insegnamenti che traggono dal loro primitivo modo di leggere le sacre scritture;

d) che i creazionisti pretendono dalla scienza risposte che la scienza non può, non vuole e non gli spetta dare;

e) che i creazionisti, sviluppando presupposti filosofici propri ai scientisti, attribuiscono alla scienza, sulla scia di questi ultimi, uno statuto improprio, estraneo ai suoi fini e ai suoi metodi; del quale si servono, per gli aspetti che a loro fanno comodo, per metterne in discussione i paradigmi.

Naturalmente tutto questo va ben di là del testo “incriminato” (e ben di là dell’unica affermazione fin qui citata); e però ne costituisce il presupposto, la logica e la pratica che ne sostengono il credo e forniscono alle sua affermazioni la gambe per camminare.

Se tutto questo è vero possiamo iniziare a denunciare l’impostura che si nasconde dietro la loro pretesa di contrapporre scienza a scienza, quando oppongono invece ideologia a scienza di comodo (la loro collettiva interpretazione dell’evoluzionismo). L’accusa è esplicita: invece di dare, nel loro piccolo, sostegno alla scienza, un contributo attivo al superamento dei limiti provvisori che essa allarga con ostinazione e perspicacia, utilizzano questi limiti per insinuare dubbi o comminare condanne (da fuori l’aggrediscono; da dentro fungono da quinte colonne). Insomma, con la micidiale attività denunciata al punto C, gli oscurantisti, fallite tutte le altre strade per impedire alla scienza di articolare i suoi discorsi, tentano quest’ultima: quella appunto di spacciare l’antico dogma sulla creazione quale scienza; e in quanto scienza, con pari dignità, godere dello strumento in più (a parte i tanti che hanno a disposizione) dell’insegnamento scolastico. Nelle scuole insomma si dovrebbe insegnare un articolo di fede al posto della scienza oppure, ma non se ne contentano, accanto alla scienza.

Un’operazione questa che lascia letteralmente senza fiato (incredibile la pretesa, inaudito il successo). Un’operazione non commentabile. L’atto specifico, il principale, che muove lo sdegno che spinge innanzi le argomentazioni che state leggendo… Tutto si può perdonare, ma non questo. Non questa straordinaria impostura (torna il termine e tornerà ancora, dato che uno migliore non so trovare). Non la disinvoltura con cui viene portata avanti. Gli uomini di fede si sono resi responsabili di molte nefandezze, ma quest’ultima, dal punto di vista etico e intellettuale, in quanto a disonestà, strumentalità e arroganza è da annoverare tra le peggiori. Mi verrebbe di dichiarare: la peggiore.

Spiace dover pronunciare in faccia a un essere umano che neppure conosco tali dure, amare parole. Voglia credermi Ghezzo che neppure mi sogno di attribuirgli alcuna delle singole aggettivazioni adoperate. Né mi stupirei, conoscendolo, di scoprire in lui particolari doti di probità e amabilità. Né lo considero indegno di rispetto (al contrario) a causa della sua fede. Anzi, proprio perché convinto (o quantomeno speranzoso) della sua onestà intellettuale che mi concedo tanta disinvoltura nel linguaggio (sono certo che comprenderà che esso è frutto solo dell’amore per la verità e la correttezza; e dello sdegno che sorge ogni volta che assisto al loro scempio). E che è faticosamente elaborato proprio per dare a lui (se lo vuole) la possibilità di rendersi conto della responsabilità che si assume sostenendo quel che sostiene[11] senza aver prima preso le distanze sia dai metodi qui denunciati, sia dai blasfemi[12] successi vantabili negli USA e che i suoi sodali tentano di ottenere anche altrove.

Né intendo contestargli il diritto e il compiacimento di dichiararsi creazionista. Me ne guardo bene. Il problema è che per non suscitare lo sdegno altrui, invece che la curiosità[13], occorre che denunci apertamente i metodi che io denuncio, che prenda le distanze dall’impostura che consiste nell’intraprendere la propaganda religiosa (che sostiene quella politica: vedi nei-conservatori americani e in generale la coincidenza tra la destra e certo biblismo) spacciandola (spacciandosi: si spaccia il proprio credo così come si spaccia droga) per scienza… in caso contrario, in caso cioè di silenzio sulle nefandezze dei molti che si richiamano al credo creazionista, egli ne assume la piena responsabilità, che abbia parte attiva, che ne tragga un utile o meno. In questo secondo caso non deve stupirsi se la riprovazione e l’ira delle vittime (ché di vittime si tratta: vittime ideologiche e vittime materiali: vittime negli interessi che ogni battaglia della vita sempre produce) si rovescia anche sul suo capo; se il suo garbato invito alla conciliazione (dopo però aver sparato tutte le sue cartucce) viene rimandato al mittente. Perché a questo punto nessuna conciliazione, nessun dialogo è più possibile. Come non è possibile il dialogo tra chi, sull’autobus, si vede sottratto il portafogli e chi glielo sottrae.

Ed è questo il punto: non il suo credo, la cui piena libertà d’espressione (ripeto) sono pronto a difendere. Il punto è l’uso strumentale, minacciosamente di parte, che se ne fa. Ma se si è di parte (e parte attiva, non solo dialogante) occorre essere pronti a scontare i contraccolpi effetto dell’incontro, che diventa subito scontro, con la parte avversa; essere pronti a entrare nell’arena e subire tutte le offese che nell’arena i contendenti si scambiano per trionfare. Non esiste franchigia alcuna per chi decida di entrarvi, da solo o parte d’uno schieramento; che vesta l’abito talare o quello più sobrio dei predicatori televisivi; che si senta protetto dalla sacralità dell’ufficio o dai meriti della propria funzione; che proceda nella vita agevolato dalle buone maniere o dalle buone intenzioni; una volta sguainata la spada, di spada deve ferire, o perire.

Comprendo per altro, considerato il cattivo esempio che viene da Oltretevere, la segreta persuasione di immunità che guida molti: immunità che toccherebbe al religioso anche quando si avventura sui terreni minati della battaglia sociale e politica. Ma se la delicatezza e, direi, la bellezza, di certe professioni di fede inducono al rispetto (e a volte persino alla soggezione), le sguaiataggini di chi si vuole imporre (leggasi: creazionisti) inducono piuttosto disprezzo e furore; e la dabbenaggine di chi interviene su un terreno non di sua pertinenza, provocano solo fastidio e necessità di ricondurlo alle sue specifiche competenze. Né vale l’obiezione che tutti hanno diritto di parola. Certamente. Ma a seconda dell’ambito in cui la si prende, si è soggetti alle regole, agli usi e costumi di quell’ambito. Non si può rivendicare trattamenti privilegiati perché religiosi e nello stesso tempo prendere partito in politica o su questioni squisitamente politiche: i contraccolpi sono inevitabili.

Se qualcuno allora vuole veramente dare avvio a contese dai toni sommessi occorre che in modo inequivocabile faccia comprendere che non è di quelli (dalla parte di quelli) che di spada feriscono; che pur di veder trionfare le loro idee sono disposti a qualsiasi artificio, qualsiasi “forzatura” (come si vede mi sforzo di moderare i termini: è necessario quando si porge il ramo d’ulivo: quando lo si porge effettivamente, in piena sincerità). Solo a questa condizione un dialogo può risultare proficuo. Altrimenti si tratterà sempre di un dialogo tra sordi, in cui la necessità di farsi intendere costringerà a alzare la voce fino ad arrivare all’urlo.

Sia chiaro che considero tale chiarimento (nonostante sia richiesto) non dovuto. E che non è condizione della possibilità di instaurare un rapporto di umana cordialità, di reciproco aiuto (ove occorresse). Qualsiasi essere umano ha diritto alla comprensione del prossimo suo; a ognuno è dato rivendicare la fratellanza civile che l’associazione a una stessa specie non solo suggerisce: impone. Siamo uomini, trattiamoci da uomini. Il chiarimento di cui si parla non è dato per gli altri, ma dovuto a se stesso; sia per difendere l’immagine di uomo probo che traspare dalle istanze di conciliazione avanzate nell’articolo; sia per arginare l’invasione di fanatismi che, scavalcando il meraviglioso e infame Novecento, appesta i nostri giorni. E così dopo i vari fascismi, lo stalinismo, il colonialismo, la Guerra Fredda, abbiamo lo strapotere di un’unica Superpotenza, la cui avidità di predominio è tale che inventa il nemico da battere: lo crea per poter combattere (non per poterlo combattere, non avendo effettivo interesse, quindi volontà, a debellarlo). Per mostrare a tutti i muscoli, porre il mondo in soggezione e, dato che c’è, controllare le fonti energetiche. Il risultato è il raddoppio del fondamentalismo. Accanto a quello protestante (il più insidioso e pericoloso: perché proliferante nel cuore del “civilissimo” occidente; e perché aspira, e può ottenere, il controllo di un arsenale militare spropositato, più potente dei primi 50 stati campioni nella spesa d’armi messe insieme.) vien fatto sorgere, a suon di scudisciate sull’orgoglio delle masse mediorientali, quello islamico. Non ne avevamo bisogno, ma ce lo teniamo lo stesso, rassegnati a dover guerreggiare su più fronti. In questa guerra, che parte prende il mio fin troppo cortese interlocutore? Non gli chiedo di venire dalla mia, non ho bandiere di partito da agitare. Voglio solo sapere se è, con il suo creazionismo, del popolo dell’incudine sul quale batte il martello della repressione; o del popolo del martello, che non si sazia mai di seminare offese e umiliazioni. Perché nel secondo caso, do un passo indietro e affermo: per instaurare rapporti tra gentiluomini non basta essere gentiluomini; occorre collocarsi in quella specifica dimensione in cui i gentiluomini possono muoversi a loro agio.

Quel chiarimento però non può essere visto in funzione di un rapporto umano; o di una mera contesa intellettuale; esso è condizione di tutt’altro rapporto: condizione dell’incontro tra due differenti realtà intellettuali, due diverse concezioni del mondo. Tra una ideologia religiosa, che si ammette come tale (interessante perché affonda le radici nel lontano passato e si dimostra capace di parlare agli uomini di oggi); e tra chi alla scienza crede e il metodo scientifico sostiene. Un incontro sicuramente fecondo e forse persino necessario. Non necessario all’uno dei due, né necessario per generico spirito di conciliazione: necessario per l’evoluzione di ambedue[14].

Sia la scienza ha bisogno di entrare in contatto con modelli di pensiero che applicano criteri e metodi differenti dai suoi; sia gli uomini di fede bisognano del dinamismo scientifico, dei suoi apparati concettuali fortemente critici, della concretezza dello stare con i piedi ben piantati in terra, per meglio ancorare la loro missione alle necessità e alle richieste del mondo in cui operano. La scienza ne trarrebbe i medesimi stimoli e aperture mentali che le letture fantascientifiche inducono; e la religione un incremento di credibilità del proprio impianto ideologico e della propaganda fide.

Ma senza quel preventivo chiarimento; senza che siano chiari i rapporti (l’essere diversi, l’operare in campi differenti) e le ragioni dell’incontro (la reciproca fecondazione) ogni relazione non può che avvenire sul piano del duello: qualsiasi altra modalità non farebbe altro che disastrosamente dare credito alle usurpazioni dei creazionisti. Avallare la loro pretesa di scientificità; o quantomeno far supporre che tali pretese tanto peregrine poi non sono. Un autogol[15].

Spero che questo chiarimento (non sono d’accordo con chi pretende di trasformare, attraverso un artificio dialettico, il mio personale credo in materia di insegnamento presupposto scientifico) egli lo voglia fare. Tanto più che non gli si chiede abiura alcuna, ma quel che ogni galantuomo dovrebbe ripudiare: il gioco sleale. Si mantenga pure nelle sue bizzarre convinzioni. Chieda, se vuole (e lo vuole, dato che le ha rese pubbliche), di aprire un ampio dibattito su di esse; esiga di essere preso seriamente in considerazione, partendo dall’ipotesi che, chissà, potrebbe avere ragione o più ragioni da spendere. Ma prima manifesti solidarietà alle vittime del creazionismo. Dimostri che almeno lui, in quel calderone di aggressività ideologica che è il creazionismo, non intende operare forzature e anzi depreca i tentativi, riusciti o meno, di sopraffazione delle ragioni, degli interessi e dei diritti altrui. Dia segno, insomma, della doverosa solidarietà nei confronti di chi “deve ingoiare il rospo”.

Egli lo dovrebbe a se stesso questo chiarimento (non è stato lui a appellarsi alla cordialità?). E io devo a lui, in quanto fratello, di rammentargli il suo stesso interesse.

4

Ma, potrebbe obiettare, questo chiarimento non lo posso fornire, in quanto il creazionismo è una scienza; e come tale è giusto sia insegnata quale scienza insieme alle altre.

Non la avanza lui l’obiezione, non essendo qui ora presente; e perciò mi sento in dovere di sollevarla io, nonostante le difficoltà in cui, formulandola, mi pongo. Né io infatti, sulle base delle premesse di cui sopra, potrei accettare questo piano di discussione; né l’interlocutore (diventato ormai ipotetico, riconducibile all’estensore dell’articolo criticato con una certa difficoltà) può prendere le distanze dagli abusi del creazionismo finché non è dimostrato appunto che si tratta di abusi. Finché non si dimostra che il creazionismo NON è una scienza.

Nuovo paradosso. La dimostrazione della scientificità di una dottrina che aspira a essere riconosciuta come teoria, ordinariamente, andrebbe a carico di chi la sostiene, non di chi la nega. E invece mi trovo in condizione di dar prove (controprove) che sarebbe dovere di altri fornire (ulteriore astuzia della fede!). Non c’è problema. Non credo che crollerà il mondo se l’opinione creazionista, una tantum, sia presa in esame nella serietà di quel che pretende di essere. Sperando (speranza vana) che qualcun altro voglia entrare nella mia opinione con il medesimo spirito.

Anzitutto questo: delle due l’una. O è valido il creazionismo oppure è valido il Darwinismo. Tutte e due insieme no, non è possibile. Le teorie non sono complementari, sono opposte, inconciliabili. Gli antievoluzionisti però, strani scienziati, non sembrano preoccuparsene. Loro non hanno alcuna difficoltà a invitare gli scienziati al dialogo da scienziati a scienziati. Una mera accettazione di dialogo a esclusivo loro vantaggio, un riconoscimento di scientificità implicito che a loro servirebbe, più che altro, considerate le finalità strumentali, per ampliare la loro presenza nelle scuole; neppure più per chiederla, per pretenderla! (in verità già lo fanno; ma lo farebbero con rinnovata indiscrezione). Tutto a loro vantaggio, il trionfo…

Noi però che non siamo bambini e sappiamo, senza lamentarci, essere incudine quando occorre, concediamo pure questo vantaggio (limitandoci a far capire che non ci stanno menando per il naso) e questi colpi di martello ai nostri gentilissimi interlocutori (che non vogliono litigare); e andiamo al sodo di quel che veramente conta. E perciò ai creazionisti chiediamo, disperando di ottenere risposta: se l’evoluzionismo, come dite, è una scienza, qual è il suo oggetto? Di cosa si occupa? Quali sono gli spazi in cui opera, i progetti di ricerca, gli esperimenti intrapresi, le indagini sul campo e le scoperte che, a tutt’oggi, ha donato all’uomo?

Sapete bene di cosa parlo, vero? Dell’oggetto scientifico sul quale esercitate le virtù della vostra “scienza”.

La esercitate sulla vita, della quale andate a cercare le vestigia nei reperti fossili, nei fossili viventi (specie ancestrali che hanno superato il vaglio dei milioni di anni) e nei residui del passato che nella stessa struttura degli organismi sono presenti? oppure la esercitate sulle pagine ammuffite di un vecchio libro che abbisogna di ben altro che una professione di fede per restituire a sé senso e ai suoi lettori insegnamenti preziosi?

Ch’io sappia è a quest’ultimo “oggetto” che è rivolta la vostra attenzione, la fonte delle vostre inferenze, il terreno su cui scavate. Ma questo “oggetto” non è altro che un elenco ordinato di parole, parole forse ispirate, certamente utili per avere cognizione dei nostri antenati, ma che può interessare gli studiosi di semantica e semiologia, gli storici o i costruttori di miti religiosi, non certo le scienze della natura. Non interessa certo la paleontologia, alla quale al massimo può fornire spunti di ricerca[16]. Sostenere il contrario significa porsi fuori dalla logica scientifica, dai metodi propri alla scienza: fuori dalla stessa ragione, dal plausibile e ragionevole. Galileo lo ha stabilito una volta per tutte (voi vorreste negarlo per sempre): non l’autorità delle Sacre Scritture o l’autorevole Aristotele sono la fonte principale della conoscenza sul mondo; ma la lettura di quell’altro Libro, l’Universo, il più grande e autorevole perché compilato non per procura di uno scriba umano, ma direttamente dalla mano di Dio. La lettura in questo Libro, a prescindere da ogni altro, è la scienza: l’atto scientifico per eccellenza.

Proseguiamo.

Una domanda cruciale, una delle tante poco fa formulate e che qui sottolineiamo. Quali sono le attività di ricerca intraprese, e i fecondi risultati ottenuti?

Non posso continuare a rispondere a queste domande se voi non lo fate (e non lo fate). Non ne so nulla. Non lo so perché, a quel che mi risulta, queste attività non ci sono. Niente fin’ora i creazionisti hanno dato ai loro contemporanei salvo, appunto, la loro affannata rincorsa negazionista (entreremo presto nei particolari), del far le pulci all’evoluzionismo, il far leva su questo o quel limite, su questo o quel punto irrisolto, per dire non è così, abbiamo ragione noi (begli scienziati! Bei cultori della razionalità scientifica!). Dunque, o parlate voi, o mi tocca tacere. E nello stesso tempo, andando oltre, se ci riesco, affermare: una scienza priva di risultati non è una scienza. È una dottrina con pretese di razionalità; che al massimo può vantare l’efficacia di determinate tecniche, come le vantano la medicina, le scienze sociali ecc. che però sono ideologie teoriche, non scienze. Ma il creazionismo neppure quello: non altro che la ruminazione ininterrotta delle parole con le quali gli antenati hanno espresso nello stesso tempo le loro concezioni sul mondo, le loro speranze, le loro illusioni, descrivendole come potevano insieme alla descrizione di ciò che attorno a loro avveniva.

Difficile allora comprendere perché osiate definire la vostra fede scienza. A meno che, come sospetto, lo facciate per il semplice motivo che non avete proprio idea di quel che sia scienza. Non l’avete non per stupidità, perché al contrario vi considero avversari intelligenti e pericolosi; ma perché, in fondo, ve ne infischiate di sapere cosa sia o non sia scienza. A voi basta affermare di esserlo (nella scienza) e trovare spazi (vere e proprie usurpazioni) in cui diffonderne il contenuto di questo singolare insieme di implausibili credenze che vi piace definire “scienza”.

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[1] Per dirla con Bachelard: qualcosa viene negato per sempre, qualcosa viene sanzionato per sempre.

[2] Riprendendo allora la metafora del linguaggio, diremo che la scienza “inventa” sempre nuove parole finché il suo vocabolario diventa una vera e propria nuova lingua. Il vecchio linguaggio tuttavia non muore. Parte di esso sopravvive dentro il nuovo (che a sua volta diventerà vecchio). Insistendo nella metafora diremo allora che al vecchio tocca un destino analogo a quello del latino, che continua nelle lingue neolatine. Con la differenza che la vecchia scienza vive, nei nuovi tempi, con una sua propria autonomia e vi svolge funzioni specifiche (possiamo andare oltre: il latino continua fedele a se stesso nelle citazioni e in quell’ambito per molti versi straordinario che è la Chiesa di Roma). Ma vive a prezzo della vita del nuovo, contro il quale ferocemente si oppone.

[3] Il creazionismo, tra lo sdegno degli uomini di scienza e lo stupore degli estimatori della cultura Nord Americana, è insegnato come “scienza” in molte scuole.

[4] Perché ottenga pari dignità in quanto ideologia religiosa sono pronto a battermi, contro chiunque voglia negarla, insieme ai fondamentalisti e senza di loro (oppure contro di loro in ogni situazione in cui operassero per abbassare le altre ideologie); perché non l’ottenga in quanto “scienza” mi sto già battendo con questo articolo.

[5] Il successo di questo scritto non confida in un impossibile ridimensionamento della minaccia creazionista, ma, molto più modestamente, nel diffondere consapevolezza sul pericolo che rappresenta. Nonché il sospetto dell’enorme intreccio di interessi che lo sostiene; e dell’importanza del fronte politico, il neoconservatorismo, di cui, quale prima linea ideologica, è parte.

[6] Neppure la più stretta evidenza può far prendere atto a un antievoluzionista di essere dalla parte del torto, perché non si convince nessuno che non sia già pronto, già in sintonia con una certa dimostrazione: dentro una certa logica. Avendo un linguaggio in comune! Purtroppo i creazionisti sono fuori (e tali vogliono restare) dal dimostrabile di qualsiasi logica scientifica.

[7] Quello proposto da Ghezzo infatti, il suo non voglio litigare, per le modalità in cui è espresso, costituisce di per sé un’aggressione ideologica, un antipatico tirare il sasso e nascondere la mano. Esso vorrebbe indirizzare le argomentazioni dell’interlocutore prima ancora che sorga; attutire il colpo prima che sia inferto. Astuzia della fede o ingenuità dell’uomo? Non conosco Ghezzo e perciò nel dubbio sulle sue vere intenzioni gli faccio credito dell’ipotesi più favorevole. Perciò affermo che dicendo quel che dice, dopo gli spropositi enunciati, non si rende conto che la sua non è altro che una misura preventiva per impedire a chicchessia di obiettare.

[8] L’obiettivo, sia chiaro, non è però l’estensore, ma lo schieramento di cui si fa portavoce.

[9] Risultato effettivo, risultato vero, della metafora.

[10] Ah! è proprio vero, nella Bibbia si trova di tutto!

[11] E potrà rendersene conto se, anche per un solo momento, dismetterà i panni di colui che già sa per indossare quelli provvisori, scomodissimi, di colui che tutt’ora cerca.

[12] Utilizzare il sotterfugio, l’inganno, la menzogna per “servire Dio” la dice lunga sulla statura morale, sul loro essere o meno “servi di Dio”, di queste persone.

[13] Si tratta pur sempre di una proposta che, per quanto senile e bizzarra, ha in sé un che di affascinante.

[14] Mi correggo, per non infastidire Ghezzo, o chi per lui: per lo sviluppo di ambedue.

[15] È questo il motivo per cui gli scienziati disertano i convegni in cui gli ideologi religiosi si presentano non come tali, ma quali uomini di scienza.

[16] I punti di vista dei nostri antenati possono dimostrarsi fecondi per le riflessioni sul presente e forse anche per la Storia della Terra. Essi non erano così rozzi, ignoranti, come ce li rappresentiamo. Sono semplicemente antichi; intelligenti, ma limitati dai mezzi e dalle ideologie proprie dei loro tempi. Possono dunque parlarci, indurci a instaurare, tramite la procura di un Libro e di molti altri libri, un dialogo fecondo con loro; non certo ispirare ex-abrupto una scienza o addirittura fondarne una.

Mauro Antonio Miglieruolo

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

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