Un Dio Dimezzato, un Dio Oltraggiato

di Mauro Antonio Miglieruolo

Avviso ai naviganti: rileggendo il testo di Ghezzo, oggetto del presente lavoro critico, che verrà pubblicato in tre “puntate” (11-17 e 25 maggio) mi sono maggiormente reso conto dell’incompletezza della risposta fornita. Ben più numerosi motivi di doglianza avrebbero dovuto e potuto essere elevati. Tuttavia, per non mettere a dura prova la resistenza dei lettori, è solo su alcuni punti essenziali che ho deciso di concentrarmi. Spero che altri con pazienza meno breve della mia voglia affrontarne la lettura per porli in evidenza. Mi limito qui a sottolineare, potrebbe essercene bisogno, che non sono tanto le semplificazioni in cui è caduto Ghezzo a suscitare il mio sdegno e mobilitare il mio interesse; né le insufficienze tecnico-scientifiche, che probabilmente sono ampie quanto le mie; o la tendenziosità di certi passi; quanto attrarre l’attenzione generale sia sulle insidie che prepara per noi la perdurante spinta oscurantista, ben lontana dall’essersi esaurita; sia sulla imperante tendenza a utilizzare il prestigio che si è conquistato la scienza al servizio di fini che con la scienza nulla hanno a che fare.

Colgo l’occasione per segnalare un buon libro, edito dalla Elara Libri (http://www.elaralibri.it/cat/Ale-1.htm), intitolato “Dei Padri Fondatori”, Biblioteca di Alessandria n. 2 – Bologna 2009, con il quale Ghezzo ha inteso offrire un panorama, per altro soddisfacente, dei precursori la Fantascienza. Un buon testo interessante per tutti, non solo per gli addetti ai lavori.

Per chi voglia ulteriormente informarsi sulle caratteristiche di Ghezzo potrà conoscerlo come scrittore leggendo il romanzo “La Pietra di Uriel”, pubblicato dalle Edizioni della Vigna

(http://www.edizionidellavigna.it/collane/FER/004/FER004.htm

nella collana Fermenti n. 4 – Arese (MI) 2009.

Riproduco integralmente qui sotto la parte dell’articolo di Ghezzo (n. 41 di Nova SF*) oggetto del contendere, affinché ognuno possa valutare la fondatezza della disapprovazione con cui ho ritenuto doverla commentare.

Mauro Antonio Miglieruolo

Un discorso più articolato devo impostare in risposta a Fabio Calabrese, che su Futuro Europa n. 38 mi accusa, in sostanza, di aderire a un creazionismo ormai superato e a-scientifico.

Premetto, onde evitare malintesi, che apprezzo moltissimo i testi di Calabrese, sia narrativi che saggistici. Li trovo godibili e scorrevoli, soddisfacenti quindi la primissima qualità richiesta a chi scrive. Probabilmente le mie premesse culturali e l’orizzonte verso cui voglio parare sono diver­si dai suoi, ma ciò non mi impedisce di apprezzare la profondità e l’onestà dei suoi interventi, che stimolano sempre una riflessione, una rielaborazione. Ciò che segue sia inteso, quindi, co­me una chiacchierata serena, un contraltare privo di acrimonia; tutto mi anima meno uno spiri­to di crociata in difesa di qualsivoglia idea. Le arrabbiature e le lotte del quotidiano bastano e a­vanzano; stiamo su queste pagine per divertirci e arricchirci interiormente.

Allora: materiali in difesa del creazionismo, o meglio: contro le certezze degli evoluzionisti. Beninteso, le seguenti osservazioni non scaturiscono dalla mia mente, essa davvero ascientifica, ma dagli studi di fior di scienziati di ogni paese, docenti universitari, direttori di comitati di studi ad alto livello e quant’altro.

Cominciamo dagli aspetti biologico-genetici e paleontologici di cui lo stesso Calabrese disqui­sisce.

Per quanto riguarda la documentazione fossile, essa appare sostanzialmente assente per il pe­riodo precambriano. I presunti ritrovamenti sono i cosiddetti “scherzi di natura”, cioè strutture i­norganiche e concrezioni erroneamente scambiate per resti organici, oppure reperti non chia­ramente collocabili nel precambriano. Solo con il Cambiano abbiamo una complessa e improv­visa fioritura della fauna marina metazoica.

I cosiddetti “anelli mancanti” continuano a mancare. Il famoso Archaeopterix, per esempio, è un uccello con tutti i crismi, in quanto dotato di penne. Le caratteristiche additate come proprie dei rettili, come i denti o le ossa non pneumatizzate, sono proprie anche di altri uccelli, e non di tutti i rettili. Per esempio la rondine e il canarino hanno ossa non pneumatizzate, ed esistono ret­tili senza denti, come i cheloni. Del resto le ipotetiche forme intermedie tra le classi appaiono come creature ridicole, grottesche, che non sarebbero certo sopravvissute nella spietata lotta per la vita delle ere preistoriche. La loro non specializzazione le avrebbe rese inadatte a qualunque attitudine; non sarebbero state capaci né di volare, né di correre, né di nuotare; e i predatori cir­costanti non avrebbero certo aspettato le centinaia di migliaia di anni richiesti dall’evoluzione.

A proposito dell’uomo e della sua presunta derivazione dalle scimmie, il genere umano appare co­me un taxon immutato, nella sostanza, fin dall’inizio dell’era quaternaria. Australopitechi, pite­cantropi, sinantropi eccetera sono tutte varianti dei Primati superiori, animati da quella scintilla che conduce alle conquiste dell’umanità. Non dimentichiamo, al riguardo, la lezione di un certo Arthur Clarke, “mediocre” scienziato e scrittore, nella parte iniziale di 2001 Odissea nello spa­zio. L’intelligenza degli ominidi non è un lento disappannamento del cerebro, ma qualcosa che viene da fuori, un dono extraterrestre simboleggiato dal monolito nero.

L’affinità istologica e biochimica degli esseri viventi, citata da Calabrese pro domo sua, è in realtà un argomento che si ribalta contro gli evoluzionisti. La complessità cellulare di un micro­bo non è inferiore a quella degli uomini; e alcuni rospi e pesci hanno nei loro nuclei 50 volte più DNA degli uomini. Non c’è stata, perciò, alcuna evoluzione biochimica, anzi, forme più recenti nel mondo anche vegetale appaiono come degradate e più facilmente deperibili.

Per quanto riguarda le strutture non funzionali, la spiegazione evoluzionista dice che si tratta di resti di strutture un tempo funzionali. Ma forse c’è un’altra chiave di lettura. Che funzione ha il colore dei fiori o delle farfalle, o la molteplicità di forme geometriche dei cristalli di neve? Certo nessuna, neanche nel passato più remoto. Sono soltanto alcuni tra i vertici della bellezza del mondo (non oso dire del creato…), totalmente inutili, totalmente gratuiti e come tali offerti alla nostra vista.

Tornando poi all’inizio, cioè alla questione delle origini della vita, gli evoluzionisti formulano l’ipotesi di un “brodo prebiotico”, dal quale, nel corso di un processo lentissimo, si sarebbero formate le prime molecole complesse, gli amminoacidi e le proteine. Un esito del genere è stato ottenuto in laboratorio; peccato che il Caso, demiurgo invocato delle prime forme vitali, non disponesse di laboratori; quelle stesse forze che avessero eventualmente “costruito”, nel volgere di milioni di anni, una catena di amminoacidi, l’avrebbero inevitabilmente distrutta nei milioni di anni seguenti.

Aggiungo un’altra ideuzza, emersa dal CERN di Ginevra, e basata su prove che io non sono in grado neanche di riassumere, ma che riguardano la luce stellare e l’energia captata dai radio-telescopi. Sembra ormai dimostrato che l’universo sia apparso, quale noi lo conosciamo, nel momento x, posto all’incirca quindici miliardi di anni fa. Un secondo prima di tale momento non esisteva nulla, nessuna massa informe poi evolutasi o articolatasi attraverso il big bang. E chiaro che un’idea del genere non va certo nella direzione dei seguaci di Darwin.

Anzi, dei cattivi lettori di Darwin, lo ribadisco, perché Darwin, dopo la pubblicazione dell’Origine delle specie, ebbe svariati ripensamenti, sui quali scese subito un silenzio di tomba. Egli scrisse, per esempio, di “aver attribuito troppo all’azione della selezione naturale e della sopravvivenza del più adatto”, e riconobbe che quella era “una delle più grandi sviste trovate nel suo lavoro.” Anche l’ideologia di Darwin venne fatta passare in cavalleria, e se ne capisce la ragione leggendo un altro suo passo: “Tra qualche tempo a venire, non molto lontano se misurato nei secoli, è quasi certo che le razze umane più civili stermineranno e si sostituiranno in tutto il mondo a quelle selvagge.”

Il fatto è che, come afferma il prof. G. Sermonti, “di troppi miti e ideologie Darwin è stato figlio o padre perché lo si possa accantonare: l’economicismo, il dominio sulla natura, l’ottimismo progressista, la morte di Dio.”

Quest’ultimo concetto conduce il mio discorso all’idea che conclude l’intervento di Calabrese, cioè la necessità di una separazione fra scienza e fede. Qui sono sostanzialmente d’accordo. Né lo scienziato né l’uomo di chiesa deve presumere di possedere la chiave di lettura dell’intera realtà, perché c’è sempre qualcosa che sfugge, e che si situa sull’altro versante, oppure, più semplicemente, al di là della comprensione umana.

Ma se c’è un’idea sostenuta da molti e autorevoli uomini di scienza che ben si accorda con la presenza di un Ente supremo, un Dio, o comunque vogliamo chiamarlo, che provvede ai viventi secondo un piano che va ben oltre le nostre piccole esistenze nel mondo atomico; ebbene, questa idea mi affascina e mi dà una speranza che certo non mi viene offerta dal pensiero di un Caso cieco e sordo ai bisogni spirituali dell’uomo e a un minimo senso di giustizia cosmico.

Davide Ghezzo

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Un Dio Dimezzato, un Dio Oltraggiato – Parte Prima

1

Ho finalmente sotto gli occhi l’articolo di Ghezzo (Futuro Europa n. 41) contenente la frase, citata da Calabrese, sulla presunta vocazione ateista della scienza; citazione che ha provocato il mio intervento sul successivo n 44. Il contenuto dell’articolo (non il tono, formalmente cortese) mi ha allarmato e, letteralmente, costretto a riprendere in mano la penna e replicare in modo più articolato alle “argomentazioni” di Ghezzo a sostegno del creazionismo. L’implacabile offensiva ideologica condotta dal “nuovo che avanza”, nuovo che riassume in sé ogni forma di vecchiume e marciume reazionario (e del cui fronte l’integralismo religioso è una delle componenti più aggressive), offensiva fin’ora troppo flebilmente contrastata, esige una pronta replica per opporsi al proposito manifesto dell’estrema destra politica dissimulata da destra religiosa, di diventare senso comune e indiscutibile pensiero unico; detto più chiaramente, pensiero ultraideologico abilitato a pontificare su ogni altra forma di ideologia (a fini di delegittimazione); e, nel caso dei creazionisti, ideologia che addirittura, con l’uso di acrobazie verbali, pretende di farsi passare per scienza e di assoggettare alla sua propria logica e propri fini la medesima razionalità scientifica.

Inizio sottolineando la tesi ingiustificata con cui Ghezzo introduce le sue argomentazioni. A pag. 132, subito dopo aver chiarito che la sua è “una chiacchierata serena”, apre massicciamente le ostilità affermando l’esistenza di “studi di fior di scienziati di ogni paese” che metterebbero in forse le “certezze degli evoluzionisti”; studi che si guarda bene dal citare, poiché temo, sarebbe costretto a ammettere che si tratta di studi di oscuri ideologi creazionisti, conosciuti dai creazionisti stessi; a meno che con questo non intenda fare riferimento alle continue messe a punto che, nella sua diuturna attività di esplorazione della natura, lo sviluppo di ogni scienza comporta; messe a punto (queste sì operate da scienziati di chiara fama) che fin’ora hanno però confermato le tesi fondamentali dell’evoluzionismo, anche se ne hanno corretto le iniziali formulazioni e approfondito il senso.

Operazione, questa della messa a punto, naturale per la scienza, legittima per gli scienziati.

A differenza del fissismo creazionista, le scienze non hanno dogmi da opporre e da difendere; hanno al contrario, quale propria vocazione il mutamento, l’ambizione di rinnovare in continuazione gli strumenti con i quali interrogare l’oggettività, con i quali incalzarla per ottenere risposte ai problemi della sopravvivenza e dell’allargamento dell’esistenza, che la realtà in continuazione produce. Perché non il solo Darwinismo è evoluzionista; ma in un senso suo proprio lo è anche l’impianto logico della scienza (di tutte le scienze), la cui natura esige di considerare (e lavorare al fine che questa considerazione si realizzi) del tutto provvisori i risultati acquisiti attraverso le sue infaticabili indagini. Non dunque la messa in discussione, il sollevare dubbi, il ripensare al già acquisito rappresentano per essa delle sconfitte o delle diminuzioni, ma anzi la manifestazione delle sue migliori qualità, la garanzia per ognuno di non essere trascinato oltre il plausibile e il ragionevole, di ottenere dati certi sui quali basarsi (insieme a altre esperienze) per orientare le proprie concezioni del mondo. Non l’opinione o il credo del singolo scienziato o della collettività scientifica, dunque; ma il confronto continuo con la Creazione, il faticoso tentativo di farla parlare, di darle voce, o quantomeno di tradurre le sue parole nel balbettio della lingua umana; confronto del quale è garanzia la Storia della Scienza medesima (più che l’opinione di questo o quello), oggetto essa stessa del metodo e della ricerca scientifica.

La scienza, certo, può scontare letture dogmatiche[1] del progetto scientifico (gli esempi sono innumerevoli: la responsabilità non della scienza, ma di coloro i quali di quei progetti si fanno portatori, tradendo lo spirito scientifico); può soffrire dei residui metafisici ereditati dal passato; può sentirsi troppo stretta nei limiti delle conoscenze acquisite (lo spazio buio delle non conoscenze appare, ed è, molto più grande di quello illuminato); ma è appunto questa percezione del tanto ancora da fare, delle rivoluzioni intellettuali da compiere per adeguarsi concettualmente alle sfide che la complessità della natura pone, la sua forza e il suo vanto. La scienza muta, cambia, ha continue crisi di crescita, continue febbri attraverso le quali si rafforza, diventa sempre più feconda, sempre più vicina a comprendere la logica insita nella Natura, dentro la quale si nascondono, credeva Galileo, i segreti che Dio ha inteso svelare agli uomini. Da cui la lettura del mondo come lettura della parola divina, lettura di primo grado in quanto nel gran libro della natura Dio ha scritto di proprio pugno il suo messaggio; al contrario di quando avviene con la lettura dei sacri testi, lettura di secondo grado, nei quali si può certo trovare la parola di Dio, ma filtrata dall’umano, dalla maggiore o minore capacità di comprensione dell’amanuense, dopo che essa ha già subito l’opera di inevitabile deformazione che ogni traduzione comporta (la lingua di Dio non è lo stesso che la lingua degli Uomini). La prima è definitiva, essendo il mondo trasparente alla curiosità umana, rappresentabile dalla scienza così com’è (realismo ingenuo di Galileo), mentre la seconda si modica con il modificarsi della capacità di comprensione della realtà. Come in effetti Galileo la modifica, modificando il senso del dettato Biblico, e fondando quindi una epistemologia a hoc, adatta alla necessità di rivendicare, contro la Chiesa, la sua propria libertà di ricercatore.

Il novecento ha fatto piazza pulita di questa primitiva visione della scienza, che ha conosciuto il trionfo nell’età del positivismo e ha oggi i suoi tardi epigoni nei creazionisti (in certi aspetti delle critiche che rivolgono alla scienza). Noi oggi sappiamo che quel che la scienza conosce non è l’oggetto-mondo, ma lo specifico oggetto (oggetto scientifico) costruito appositamente per conoscerlo (possiamo affermare che anche questa è una conoscenza di secondo grado?). Dunque sappiamo del mondo attraverso le domande che poniamo al mondo, per estrarre dal mondo ciò che è utile alla soddisfazione dei nostri bisogni materiali e immateriali. Lo sappiamo attraverso la lavorazione infinita dei concetti che l’esame dell’oggetto scientifico ci ha permesso di trarre; mettendo in atto una strategia di avvicinamento all’oggetto reale che, pur nei continui rimaneggiamenti e manovre di approssimazione, però non lo raggiungerà mai. La curva asintotica delle conoscenze è un processo senza fine, della quale il dato più singolare è la sua adesione alla realtà, pur essendo sempre mobile e provvisoria.

Considerazione questa che deve provocare le vertigini ai fondamentalisti, strani animali ideologici, i quali reputano di poter condurre il processo di avvicinamento alla scienza partendo dall’antiscienza (l’ideologia) e mantenendosi in essa (i sacri testi, le sacre opinioni). La vertigine e anche il rifiuto. Nonostante l’indiscutibile intelligenza, non sono in grado di comprendere, la vera natura dell’oggetto con il quale vorrebbero coprire il loro credo (da oggetto che è la fanno strumento). Si oppone a tale concezione la volontà del rifiuto; e la difficoltà che incontra ogni essere umano, che incontra lo stesso scienziato quando, messo di fronte a ciò che è nuovo per lui, non riesce a guardare quel nuovo se non dopo un faticoso, temporalmente più o meno lungo, ricollocarsi su un terreno di problematiche tali che gli permettono di intrecciare un dialogo con ciò che il processo scientifico pone[2]. O con le contraddizioni interne della scienza che costituiscono l’ostacolo principale all’ulteriore sviluppo della scienza (la metafisica influente dalla quale è condizionata e che le impedisce di ammettere e elaborare il nuovo paradigma suggerito dai fatti nuovi e concetti nuovi sopravvenuti). Vagando sperduti nei labirinti delle acrobazie intellettuali di ciò che è dato non per la mente, ma per il cuore, avendo attraversato i deserti delle verità assolute, è impossibile ragionare nei termini in cui ragionano le scienze (il vero che diventa sempre più vero: un vero, limitato dalle limitazioni umane, diverso dalla Verità a cui fanno appello); ed esigono per tanto, senza alcun rispetto per i tempi della scoperta scientifica, verità immediate, affermazioni perentorie indiscutibili e immodificabili[3].

Singolari anche per la loro pretesa di fare scienza nel mentre ne attaccano i fondamenti. Mentre ne demoliscono l’edificio concettuale tramite i loro a priori metafisici. A volte con attacchi frontali, a volte con insinuanti affermazioni di apprezzamento e contiguità. Altre ancora lanciando anatemi oppure con un soave canto di sirena. Scavando tuttavia nelle frasi con cui manifestano accordo, non si trova che una implacabile volontà di negazione e distruzione; e sempre lo spaccio di una quasi-scienza che non è altro che riproposizione di concetti scientifici sui quali sono state impresse le torsioni (alias distorsioni) opportune ad avallare le loro prese di posizione (ne esamineremo più d’una)[4]. Nelle soffocanti spire delle piovra del fondamentalismo, ancorché ci si ritrovi perché attirati dalle buone maniere, la scienza non può che trovare la morte.

Arrivati a questo punto e per meglio chiarire quanto sopra occorre spendere qualche frase sul concetto di crisi scientifica e approfondimento scientifico. E prima ancora di chiarire il che cosa è della fondazione di una nuova scienza o della rottura epistemologica operata all’interno di una scienza.

Anzitutto questo: una crisi può portare a una radicale trasformazione dell’area in cui la crisi si verifica (un paradigma nuovo), ma anche a un semplice rimaneggiamento. Esempi del primo caso: il succedersi delle scoperte e delle fondazioni di nuove scienze (delle quali è parte il Darwinismo) che nel giro di tre secoli mette in crisi il meccanicismo imperante nelle scienze da Newton in poi[5]. La crisi viene provvisoriamente risolta dalla formulazione di un nuovo paradigma scientifico: la relatività, teoria che conosce un rapido trionfo e che però, già dopo pochi anni, vede sorgere nuove scoperte che, succedendosi le une alle altre, ne delimitano l’ambito di ammissibilità; e in prospettiva forse mettono in dubbio l’impianto (meccanica quantistica). Tra le irregolarità (secondo caso, il possibile rimaneggiamento) in grado di mettere in crisi le certezze degli scienziati la più sconcertante di tutte, recentissima, è quella relativa alle anomalie gravitazionali messe in luce dai Pioneer che hanno oltrepassato l’orbita di Plutone: si è accertato che alcune stelle procedono con velocità diversa da quella calcolata sulla base delle attuali teorie. Analoghe anomalie sono state riscontrate anche nel moto di stelle situate, mi sembra, oltre la metà dal loro centro galattico. Se queste osservazioni venissero confermate emergerebbe la necessità di rivedere alcuni aspetti delle attuali concezioni sul rapporto materia-curvatura dello spazio che si rifletterebbero sulle grandi sintesi attualmente in vigore.

Bisogna considerare infine che non è la volontà del ricercatore, nemmeno quella del ricercatore di genio, a guidare e portare a compimento il processo della scoperta scientifica. L’uomo non può ciò che vuole, ma ciò che una determinata congiuntura scientifica impone che egli voglia; e che, alla lunga è inevitabile finisca con il volere[6]. Egli è l’agente di un processo che lo trascende, cioè della dinamica interna alle scoperte pregresse che, insieme alla mentalità e il senso comune di un determinato presente, all’eventuale presenza o meno degli strumenti intellettuali e delle tecniche adatte a elaborarla e comprovarla, all’ammissibilità sociale e la disponibilità di risorse, la cui entità è vincolata all’ammissibilità sociale, condiziona le direzioni di marcia da intraprendere. La congiuntura determina inoltre se una innovazione sia in anticipo o meno sui tempi. Nel quale ultimo caso è ignorata.

Con l’affermazione della Teoria dei Quanti si costituisce un pluralismo teorico che se è in grado di modificare radicalmente lo sguardo sul mondo degli scienziati, e non è ancora penetrato nel senso comune delle masse, pone diverse incertezze e differenti domande sullo stato delle scienze. I tre paradigmi intestati a Newton, Einstein e Dirac&Co, appaiono tutti e tre validi, tutti e tre fecondi nel loro ambito specifico di appartenenza (grosso modo: Newton per il mondo che conosciamo; Dirac&Co nell’infinitamente piccolo; Einstein nell’infinitamente grande). Si pone allora, stante la diversità di postulati d’ognuno, di arrivare a una sintesi, o quantomeno all’affermazione (dopo opportune rettifiche) di una sulle altre. Einstein ha iniziato questa gigantesca opera di unificazione che dovrebbe portarci alla visione ultima e unitaria dell’oggettività, la gravitazione quantistica, ma che, nonostante la fascinosa teoria delle stringhe elaborata negli ultimi decenni del Novecento, sembra sia ancora in gran parte da realizzare. Tuttavia il problema è posto, e perciò è posta la necessità di un ulteriore passo in avanti delle scienze, che le scienze non possono ignorare. Non si tratta qui, è bene ulteriormente precisarlo, di negare necessariamente validità a una o all’altra teoria, ma probabilmente di allargare l’orizzonte per cogliere i particolari nuovi che permetteranno di meglio definire la mappa del territorio che si sta esplorando[7].

Lo stato delle scienze oggi, è determinato sia dalla necessità di arrivare a questa sintesi (che ancora ignoriamo se sia realizzabile e non un mero sogno degli scienziati), sia, alternativa praticata più che considerata, di introdurre nuovi rimaneggiamenti interni a ognuna[8]. Lo stesso vale per l’evoluzionismo Darwiniano, il cui domani, prima che il domani stesso si realizzi, nessun mente umana è in grado di anticipare.

Ah! l’ammettete! sembra già di sentir trionfare l’integralismo. L’ammettete che la vostra tanto decantata scienza vacilla. Che esistono incertezze persino sul futuro, oltre che sul presente del darwinismo. Ebbene sì, consolatevi, l’ammettiamo; viviamo l’incertezza che nasce dalla consapevolezza dei limiti obiettivi nelle nostre conoscenze[9]; ma le viviamo non nel senso che piacerebbe a voi attribuirci (e che anzi, facendoci torto, ci attribuite); ma in un senso tutto nostro dentro il quale, non per accettarlo, ma per esaminarlo per quel che è, vi rifiutate di entrare. Presumo allora di dovervi far entrare io: se non con la forza delle argomentazioni, certamente con quella dell’indignazione; una indignazione adeguata allo scandalo che viene dato; la stessa indignazione che sorge in me ogni volta che mi capita di imbattermi nella disonestà, nell’arbitrio, nel raggiro, nella volontà di sopraffazione, nell’impostura (ricorrerò altre volte, per necessità, a quest’ultimo termine; e ne spiegherò chiaramente le ragioni)[10].

I nostri dubbi: sono gli stessi di qualsiasi artista che lavora attorno alla sua opera, consapevole del valore di quel che sta ideando, eppure frustrato in quanto quell’idea non trova corrispondenza integrale nell’ideato: nelle pieghe dell’opera molti significati, molta bellezza attende di essere portata alla luce. Sono i dubbi di chi lavora con onestà, ammettendo di fronte a se stesso i propri limiti e tuttavia consapevole di star praticando l’unica possibilità data all’uomo di conoscere l’ambiente che lo circonda, di entrare in relazione con esso e tramite questa relazione acquisire elementi di conoscenza su se stesso: non dubbi dunque sull’eccellenza dei risultati, ma la certezza dei limiti umani nella interminabile affannata ricerca di dare un senso al suo essere, a partire dal senso del Mondo (il che presuppone conoscenza vera, oggettiva del mondo). Siamo stati costruiti in questo modo (da Dio, dal Caso, dalla Natura[11], da un Demiurgo buono o cattivo o folle) e da esso non possiamo prescindere. A esso occorre adeguarsi (e rassegnarsi). La conoscenza assoluta non ci è accessibile (io personalmente neppure l’auspico). Non è data a noi, ma solo a quel che è sopra di noi. Pretendere di averla, esigere da altri che l’abbia non costituisce soltanto una prepotenza e un’offesa al destinatario; ma un implicito insulto alla divinità in cui si dichiara di credere, una sua diminuzione. L’Assoluto è già Dio, anzi è l’altro nome con cui evocarlo. E soltanto a Lui (o al Lui del concetto a cui ci si richiama) è data la certezza di una conoscenza fissa e immutabile, sempre uguale a se stessa, in quanto definitiva, completa, Totale. Anzi: primordiale.

( segue)

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[1] Letture non scientifiche.

[2] È il processo scientifico che lo guida

[3] Valutano la scienza reale attraverso quella loro immaginaria; e alla scienza reali chiedono di essere quella che non è, né può essere, cioè fonte di ogni umana certezza. Ma non si può esorcizzare la morte o la precarietà della propria condizione tramite la scienza. Per placare l’ansia segreta che appartiene forse a ogni uomo essi hanno il loro Dio e queste deve bastargli. In questo Dio forse non credono quanto dovrebbero. O quanto fa loro piacere mostrare che credono.

[4] Attività parassitaria della scienza nella quale soffrono la concorrenza spietata dei politicanti.

[5] Attenzione: ne mette in crisi (continua a mettere in crisi) gli aspetti deterministici, non l’impianto teorico. Di quest’ultimo vengono evidenziati i limiti, non confutata la sostanza. Tant’è che a tutt’oggi è adoperato nel risolvere i problemi che si pongo all’interno del mondo mediano, quello che non riguarda l’infinitesimo piccolo e l’infinitesimo grande.

[6] I pregiudizi correnti sul processo di formazione delle idee, pregiudizi che si sostanziano nella “teoria del genio”, sono contraddetti dalla storia della fondazione della meccanica quantistica, frutto delle riflessioni dell’intera Comunità Scientifica nei primi decenni del Novecento. Non un uomo solo al comando, ma lo sforzo di diversi operatori dell’impresa intellettuale, coordinati dalle oggettive esigenze della scoperta stessa. Dalla necessità di fornire una interpretazione adeguata a una serie di fenomeni non più spiegabili con i concetti della meccanica classica.

[7] Per meglio comprendere il senso della metafora introdotta, si legga il bellissimo racconto di Borges sulla mappe dell’imperatore. Credo non sia mai stata raccontata meglio, neppure dagli epistemologi, le problematiche proprie alle scienze e allo scientifico.

[8] Quale inaudita follia per un dogmatico creazionista! Quale incomprensibile, oscuro delirio ai suoi occhi! Egli certo deve sentirsi mancare la terra sotto i piedi ogni volta che tenta l’avventura nei labirinti della scienza (che ricalcano quelli del mondo); egli certo deve sentirsi mancare ponendosi al cospetto di un ambito in cui regnano, nello stesso tempo, la certezza e l’attenzione critica, l’immaginazione e il rigore concettuale, la concretezza delle procedure e la provvisorietà dei risultati, la ripetitività dell’esperimento e la consapevolezza dei limiti delle inferenze operate. La solidità del presente e l’incertezza delle prospettive. Per lui, abituato alle solide, perentorie, immutabili asserzioni delle sacre scritture – o quelle dei predicatori televisivi – non c’è che una via d’uscita (per evitare quella della follia): o negare, o reinterpretare utilizzando la propria inutilizzabile (dal punto di vista epistemologico) chiave di lettura.

[9] Ma limiti, non invalidazione!

[10] L’invettiva, sia chiaro, non vuole coinvolgere l’interlocutore dialettico ma coloro che, ben meno innocenti di lui, operano per la distruzione dello spirito scientifico, unica via percorribile per restaurare il potere delle oligarchie religiose, le quali fondano il loro prestigio sull’arbitrio, sul fideismo, sull’irrazionalità.

[11] Il che è quasi lo stesso che dire nuovamente Dio.

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

  • Marco Pacifici

    Bellissimo leggervi,ma nella mia voluta ignoranza(leggo un libro ogni due notti e se non c’è troppa gente in libreria la domenica talvolta ne leggo due quel giorno(non potendo a Tuscania prepararre l’insurrezione dei “soliti sospetti”…) mi chiedo:immenso e meraviglioso scoprire,analizzare,capire la Vita…ma questo cazzo di VITA,cominciamo o no a vivercela? A riappropiarci della nostra VITA?A gaudere della nostra VITA? Mentre noi ne parliamo stanno distruggendola… Giornata del cazzo nera,perdonatemi…

  • Sì, è meglio vivere, almeno fin quando non si allestiranno roghi e autodafé…
    La tragedia dell’uomo è la facoltà di pensare, origine della necessità di dare nomi a ogni aspetto della realtà percepita.
    D’altra parte è solo col pensiero che si può avere la cognizione esperienziale e che la si può “registrare”.
    Dagli albori della memoria umana alle attuali conoscenze scientifiche permane comunque il mistero, l’aspetto ignoto di cui vorrebbero farsi testimoni e portavoce i vari sistemi religiosi con tutto il loro armamentario di libri sacri, dogmi, reliquie, profezie, miracoli, ecc…
    Alla scienza, perennemente in evoluzione, spetta allora chiarire che non è possibile chiarire, che il realzzarsi della vita nell’universo è possibile grazie all’oscuro nulla da cui in continuazione e all’infnito si genera la materia (che poi è luce) in una inconoscibile dinamica, di cui sappiamo solo i rudimenti.
    Ma gli uomini hanno paura del buio, e allora s’inventano Dio, a loro immagine e somiglianza.
    Per fortuna l’assoluto, essendo Tutto e Nulla, è ben altro da quanto pretende di concettualizzare l’essere umano, particella infinitesima, contenuta e con le assurde pretese di contenere.
    La Scienza è la vera natura di noi-Dio.
    E intanto, scusate, ma ce la stiamo prendendo dove dico io, perché ci sono uomini cui fa comodo papeggiare, ayatollare, santficare, martirizzare, e sprofondare l’umanità ne secoli bui.
    cb

  • MP dixit: ma questo cazzo di VITA,cominciamo o no a vivercela?

    le dolenti note! Spero non ti aspetti una risposta risolutiva da me, vero?
    Che ognuno faccia quel che può. Chi vive aiuta gli altri a vivere. Chi vive fa da battistrada. e chi no se la piglia in saccoccia…
    mam

  • per cb: a mio avviso la scienza è una delle forme che permettono all’uomo di conoscere il mondo. Anche l’arte svolge il medesimo ruolo (oltre a affinare la sensibilità e -m per dirla con Benigni – a dare nome ai sentimenti). La conoscenza artistica del mondo è una conoscenza del tutto particolare, non per questo meno valida.
    Anzi, io credo che senza la poesia neppure potrebbe esistere una scienza. Che non è solo razionalità, ma intuizione e capacità di attivare nuove visioni del mondo. Il che ci rinvia alla filosofia e all’essere sociale, al lavoro. Alla consocenza del mondo attraverso l’attività di trasformazione dello stesso…
    mam

  • Marco Pacifici

    …attivita di trasformazione dello stesso(mondo):ovvero Rivoluzione Culturale,Rivoluzione delle Coscienze,VIVERE da Rivoluzionari:pare difficile,invece basta non accettare compromessi(non interpretatemi male,se mi ferma la stradale e mi chiede la patente non tiro fuori il kala e sparo ma molto tranquillamente glieli do….)con se stessi.Guardarsi la mattina allo specchio e sorridersi:sia che sei disoccupato,sia che sei il direttore tecnico di una cantina coop con 690 soci:sorridersi guardandosi negli occhi. Oggi meno nera la giornata(finalmente me mettono sto cavolo de protesi (nun famo gli spiritosi….eheheh) all’anca che il femore è frantumato,mi trovo d’accordo con te mam,vorrei solo fare insieme un passo in piu:ora e sempre Resistenza,ma un pizzico di offensiva? non ci starebbe male.

  • “ma un pizzico di offensiva? non ci starebbe male.”

    Senza farsi illusioni sui risultati, è proprio questo il problema.
    Una microscopica riflesisone su questo tema la sto introducendo in una cosa che sto scrivendo proprio in questi giorni. Speriamo approdi a un buon esito.
    Mam

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