Un gioco di specchi – di Mark Adin

Ma quanto sono belli i vicini di casa. Che dichiarano che il pluriomicida era un onesto lavoratore, che lo spacciatore dei propri figli sembrava tanto per bene, che il corrotto era personcina irreprensibile, il violentatore buon padre di famiglia, la zoccola timorata di dio e il puttaniere  uomo integerrimo.

Vorrei poter montare, in un blob infinito, i filmati delle interviste ai dichiaranti che accompagnano fatti di cronaca nera: la vecchina che mormora dalla porta socchiusa, fermata dalla catenella di sicurezza; il collega di lavoro che non vuole farsi riprendere in viso; l’ anonima voce che parla a un citofono.

A fronte di gravissimi atti di sangue, a scoppi di inaudita violenza, a vicende terribili accadute a un passo da noi: tutti che si dicono sorpresi; tutti a cadere dalle nuvole; tutti che “chi l’avrebbe detto”. Persino in senso riflessivo: “Non mi aspettavo potessi (io!) reagire così”, “Mi sono sorpreso delle mie stesse reazioni”. Ma guarda un po’.

Non ci accorgiamo di nulla di ciò che accade a un metro da noi, a volte persino dentro di noi, come vivessimo in una grande bolla di sapone.

Giochiamo a tressette con quel simpatico vecchietto, al circolino acli, e scopriamo che ha un passato da boia nazista. Accogliamo il prevosto per la benedizione delle case e scopriamo che ha violentato il suo chierichetto. Mandiamo la bambina a una scampagnata scout e ci ritorna incinta e intontita dall’ecstasy. Accarezziamo il cagnetto del nostro dirimpettaio e scopriamo che, in compagnia del padrone cannibale, ha divorato uno scemo arpionato su internet dopo averlo torturato a morte; per la precisione non se lo sono mangiato tutto: ce n’è ancora una parte nel freezer. Aiutiamo la cara vegliarda a traversare la strada e scopriamo che ha avvelenato la nuora col veleno dei topi.

Non conosciamo più le persone intorno a noi? O siamo dentro a un film di Quentin Tarantino?

Direi tutt’e due. Nella seconda ipotesi ci stiamo di diritto, passivi spettatori se non protagonisti. Ci potrebbe interessare la prima domanda: perché è tanto difficile conoscere e conoscersi?

Perché per farlo bisogna saper ascoltare.

E ascoltare gli altri, e anche noi stessi, non è una predisposizione, non un talento naturale, prevede volontà, tecnica, esercizio, ma soprattutto motivazione profonda.

Per niente facile ascoltare.

Bisogna esser completamente disponibili, attenti, protesi verso l’altro, sinceramente interessati, empatici, accoglienti, disinteressati, senza pregiudizi. E’ proprio la mancanza di tali atteggiamenti che porta al fallimento anche di quegli occasionali tentativi, a seguito di impercettibili sussulti di umanità, di rapidissime pulsioni che rintracciamo nel fondo del nostro animo. Si attivano quei sentimenti che ancora albergano, residui, prima che le leggi di adattamento della specie li cancellino per sempre dal nostro codice comportamentale.

Ed è soprattutto ciò che è distruttivo, la follia della violenza che affiora improvvisa, che strappa il velo della normalità, a sorprenderci e lasciarci con una espressione incredula, stupita e stupida, di chi attraverso una reazione sconcertata vuole dissociarsi, allontanare da sé la propria appartenenza a una specie (umana) fatta anche di assassini, torturatori, sadici, violentatori, stragisti, lupi mannari, boia, mostri capaci di ultra-mostruosità. Inutile chiamarsi fuori, recitare la parte degli inconsapevoli fresconi: sono fatti come noi e, sotto sotto, lo sappiamo e ci spaventa.

E’ difficile, faticoso conoscere gli altri, servono volontà e capacità di ascolto.

“Ascoltare” significa soprattutto la rinuncia ad esistere per il nostro Ego, per tutto il tempo dedicato all’ascolto del prossimo, e la cosa ci ruga.

Possiamo tentare, almeno una volta? Proviamo a non interrompere il nostro interlocutore mentre ci parla, sino all’ultima parola, a non giudicarlo, a svuotare la nostra mente per accoglierne ogni sfumatura e ogni sentimento, ogni fiato e ogni variazione di tono, eliminando ogni fonte di distrazione, e forse vedremo rivelarsi, per la prima volta, una persona fino a quel momento sconosciuta.

Se, poi, la stessa operazione la applicassimo all’ascolto di noi, nel nostro dialogo interno, se solo sapessimo ascoltare la nostra voce più profonda, facendo cessare ogni rumore dato dai fatti del giorno, imparando a non giudicarci, potrebbe rivelarsi un altro Io ancora sconosciuto, sorprendentemente diverso.

Attenzione: potremmo anche non piacerci, ma in tal caso sapremo sempre tornare alla vecchia postura mentale e dire, pure di noi stessi, qualcosa del tipo: “Una persona così per bene… chi l’avrebbe mai detto?”

Mark Adin

Redazione
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7 commenti

  • Ecco, questo mistero delle persone intervistate che non sanno mai niente, non hanno mai notato nulla, mi angoscia. Sono domande che mi faccio pure io e mi dico le stesse cose che ha detto (scritto) benissimo Mark Adin

  • Sì noi uomini conteniamo entrambi gli orizzonti, l’alba ed il tramonto, la notte e il giorno. Dopo millenni di Storia dovremmo avere imparato a conoscerci sia nei nostri comportamenti politici sia in quelli sociali o antropologici. Invece la maggior parte di noi prosegue con occhi bendati, alla ricerca di facili certezze, celebrando la razionalità umana e la connessa e presunta bontà…
    Diceva bene quel Poeta: “Qui mira e qui ti specchia, secol superbo e sciocco, che il calle insino allora dal risorto pensier segnato innanti abbandonasti, e volti addietro i passi, del ritornar ti vanti, e procedere il chiami.”
    Purtroppo lo specchio spesso riflette l’immagine che vogliamo vedere.

  • pucci veronica

    anch’io trasecolo, per tanta insospettabilità dei colpevoli e per il candore dei loro vicini, conoscenti o colleghi. In che strano mondo vivono? Io sono certo che la maggior parte della gente che conosco – me compreso – è capace di commettere orrendi delitti, anche per motivi abietti. Me ne sono accorto benissimo, e cerco di essere prudente, come vittima potenziale, e calcolatore, come possibile criminale.

  • Quasi tutto condivisibile, bravissimo Mark. Io però sono convinto che una sana e consapevole prevenzione possa salvare da sorprese spiacevoli. Andando a braccia aperte verso l’ignoto ci si può sbattere il muso. Almeno le braccia teniamole avanti. Vorrei tanto ascoltare il mio prossimo, peccato che non mi parli. Potrei parlargli io, ma lo vedo sempre di fretta. Alla fine, anche tra vicini di pianerottolo, non si va più in la di un buonasera mormorato a mezza bocca. Sarà la privacy oggi così di moda? Nelle case di ringhiera anni ‘50 la privacy non si sapeva cosa fosse e ci si conosceva tutti, e tutti sapevano tutto di tutti. Anche troppo talvolta, e qualche lite ci scappava, ma c’era molta più solidarietà tra le persone. I tempi sono cambiati. Direi in peggio.
    p.s. Pucci Veronica, mi fai un po’ paura! Ma dici sul serio o scherzi?

  • Ipotesi di risposta al P.S. di Carlo
    Credo che Pucci dica sul serio e condivido la prudenza ed il calcolo.

  • pucci veronica

    saggia, Rebecca

  • Scusate se insisto, probabilmente non ho capito cosa intendesse dire Pucci e me ne scuso, ma proprio non credo che la maggior parte della gente che conosco sia capace di commettere orrendi delitti, neppure per motivi sublimi, figuriamoci per quelli abbietti. E neppure io ne sarei capace, a meno di impazzire totalmente. Credo di vivere in un mondo normale, dove un potenziale delinquente non lo si riconosce dai tratti somatici e forse neppure da una conoscenza meno che approfondita. Lo si riconosce dai fatti, e quando accadono il più delle volte è tardi. Perciò trovo abbastanza normale meravigliarsi se il vicino di casa, che magari abbiamo frequentato per anni, ha la nonna nel freezer per continuare a fruire della sua pensione, o che sua moglie, che credevamo fuggita con il postino, è invece sotterrata sotto le ortensie. C’è solo quel sano e consapevole pregiudizio (mai senza appello!) che può limitare i danni: se mi sono scottato, mi avvicinerò al fuoco con maggiore precauzione. Invece che pregiudizio, vogliamo chiamarla esperienza? Perciò, massima apertura al prossimo, ci mancherebbe, sed cum grano salis.

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