Un lavoro organizzato per uccidere

di Umberto Franchi (*)

PERCHE’ LE MORTI  ED INFORTUNI  SUL LAVORO AUMENTANO ?

RISPOSTA: PERCHE’ SONO  PROGRAMMATI DAL SISTEMA PRODUTTIVO

L’ultimo morto di lavoro – scrivo il 24 maggio – si chiamava Alessandro Zabeo ed era un portuale precario interinale di 34 anni, caduto da un’altezza di oltre tre metri all’interno di una nave  container ormeggiata a Porto Marghera.

Secondo i dati INAIL nei primi tre mesi del 2022 gli infortuni sul lavoro sono saliti del 46,6% passando dai 109.662 casi dei primi tre mesi del 2021 ai 160.813 nei primi tre mesi 2022. E sempre nei primi tre mesi del 2022 i morti sul lavoro sono stati 189 con un incremento del 4% rispetto al primi tre mesi del 2021.

Gli omicidi nei luoghi di lavoro avvengono per schiacciamento, cadute, decapitazione e stritolazione nei macchinari, affogamenti, congelamenti…   Ogni anno i morti sul lavoro continuano ad aumentare. Nel 2021 se ne contano 1.400 circa: 100 in più rispetto al 2020.

Non sono “incidenti” ma morti programmati da una organizzazione capitalista del lavoro che ha messo al centro il risparmio di tutti i costi compresi quelli della prevenzione, formazione, informazione, addestramento … per fare più profitti.

Questa regola perversa colpisce anche gli studenti in «Alternanza Scuola Lavoro». La legge 107 del 2015 chiamata «Buona Scuola» ha già fatto morire due ragazzi di 18 anni e un altro è in prognosi riservata. E’ soltanto una forma di sfruttamento di ragazzi/e che con la scusa della formazione vengono fatti lavorare gratuitamente e qualche volta ci lasciano la vita.

Ai morti sul lavoro vanno aggiunti quelli che muoiono per le malattie professionali, per patologie dovute alle esposizioni di sostanze tossiche presenti sul lavoro di varia natura. E se poi si aggiungono le morti differite per infortunio e quelle non denunciate (lavoro in nero) ogni anno si supera 3000.

Quello che avviene nelle fabbriche  rappresenta molto bene lo scontro in atto fra capitale e lavoro e tutta la debolezza del sindacato, delle RLS, dei lavoratori !

QUALE SONO LE VERE CAUSE DELLE MORTI SUL LAVORO?  CHI SONO I VERI ASSASSINI ?

Questa grande tragedia di cui non si vede la fine non dipende dal destino cinico e baro ma da un tipo di sviluppo economico ed organizzativo che mette in conto oltre 3 morti al giorno: è il frutto di precise scelte e responsabilità sia imprenditoriali che governative, perpetuate da oltre 30 anni.

Gli aspetti fondamentali della causa di questi omicidi di lavoro sono:

 

  • la maggioranza dei datori di lavoro (anche se non tutti) pensano che la prevenzione e sicurezza sul lavoro sia un costo da ridurre al minimo… quindi la valutazione dei rischi, come previsto dalla normativa “Testo Unico Sulla Sicurezza”, resta sulla carta,  in termini burocratici senza interventi tesi a prevenire gli incidenti;
  • si cerca di ridurre tutti i costi del lavoro, senza investimenti di prevenzione sugli impianti; spesso per incrementare la produzione si tolgono anche i dispositivi di sicurezza esistenti;
  • si incrementano carichi e ritmi di lavoro, crescono le ore di straordinario per non assumere nuovo personale, con affaticamento e maggiore stress;
  • non c’è formazione, informazione e addestramento dei lavoratori, soprattutto nelle piccole imprese: niente prevenzione sui macchinari e nemmeno i Dispositivi di Sicurezza Individuale, tanto che dai controlli emerge che l’80% delle aziende non sono in regola.

Ma la rincorsa alla riduzione dei costi sul lavoro (con la riduzione  della sicurezza e l’aumento dei morti  sul lavoro) dipende anche dalla legislazione perversa fatta dai governi di centrodestra e centrosinistra negli ultimi 30 anni con:

 

  1. La depenalizzazione del Testo Unico sulla Sicurezza voluto dall’ultimo governo di Berlusconi e lasciato invariato da tutti gli altri governi, con la conseguenza che i datori di lavoro – anche quando vengono sanzionati nei controlli ispettivi – preferiscono pagare la multa piuttosto che investire sulla sicurezza… mettendo invece sempre più i loro capitali in attività speculative, anche dislocando le fabbriche come avvenne nel caso della GKN;
  2. A livello legislativo un’azione che ha favorito i morti sul lavoro è la Jobs Act renziana, con una situazione divenuta sempre più drammatica, perché essendo stato abolito il diritto al reintegro in azienda del lavoratore licenziato senza giusta causa (con l’abolizione dell’articolo 18 per i nuovi assunti), il lavoratore, sempre più spesso è costretto in condizioni di minor sicurezza e a volte anche a dichiarare (come richiede l’azienda) “malattia” quella che invece è patologia da infortunio, per paura di essere licenziato…;
  3. la legge 30 detta “Biagi” è ancora in atto e prevede 45 forme di lavoro precario, flessibile, falso autonomo… con lavoratori sempre ricattati e costretti a subire ritmi e carichi di lavoro impossibili, salari di merda, 10/12 ore di lavoro giornalieri, e senza gli strumenti di protezione sugli impianti altrimenti vengono licenziati ;
  4. Il lavoro è stato frantumato in termini legislativi anche dall’ultima legge sugli appalti, voluta da Draghi,  con  le aziende “madri” che possono dare in appalto e subappalto con gare al massimo risparmio (prima dell’ultima legge si chiamava “massimo ribasso”) e quindi tagliando sui costi della prevenzione e sicurezza (la maggioranza dei morti sul lavoro sono dipendenti da aziende in appalto);
  5. In Italia ci sono circa 800 contratti “pirata” cioè, non essendoci una legge sulla rappresentanza e rappresentatività dei lavoratori, le aziende fanno nascere sindacati di comodo e con loro fanno contratti nazionali con salari e normative  capestro che dopo applicano ai propri dipendenti.

Occorre ricordarlo: gli ispettorati del lavoro nel 2005 erano circa 5.000 e ora a causa dei tagli sono dimezzati.

A seguito di quest situazione ci sono stati due tipi di interventi a mio parere del tutto inutili:

 

  • Le OO.SS (Organizzazioni sindacali di categoria  e confederali) promuovono nei territori riunioni assieme a Confindustria, INAIL INPS, Prefetti, Carabinieri, Finanza… nel corso dei quali vengono stabiliti “PROTOCOLLI DI INTESA” dove le parti si dichiarano disponibili a effettuare maggiori interventi di controllo e azioni formative…. ma nella sostanza tutto resta invariato e prosegue come prima;
  • il Governo Draghi si è degnato di ricevere  le OO.SS.  impegnandosi a un “Piano Sicurezza”  che consiste nell’avviare una verifica  più approfondita attraverso una banca dati sugli infortuni, un piano di formazione per datori di lavoro e dipendenti, l’assunzione di 600 controllori: ma Ispettorato del lavoro, Inail, ASL agiscono  all’interno di 4.400.000 piccole, medie e grandi aziende esistenti in Italia, per un totale di oltre 17 milioni di lavoratori dipendenti .

I due tipi di interventi sopra menzionati mi sembrano “un brodino caldo dato a chi è moribondo”. E anche se dovessero assumere altri 10.000 ispettorati anziché 600 per fare i controlli nelle aziende e mille protocolli di intesa niente cambierebbe: i protocolli fra le parti in causa e i controlli ispettivi non dico che siano del tutto inutili ma na ben poco servono se non si affrontano le cause di fondo.

Sono due le questioni  vere su cui è necessario intervenire per ridurre infortuni e morti sul lavoro.

Primo: Il punto vero per ridurre gli infortuni e morti sul lavoro sta nel fatto nel ripartire dalla contrattazione dell’organizzazione del lavoro, degli orari,  degli investimenti da effettuare, del come e del per cosa si lavora: con il rifiuto del lavoro rischioso. Non serviranno a niente i controlli ispettivi e nemmeno altre leggi. E’ necessario sviluppare un movimento che, come negli anni 70, riparta dalla soggettività operaia.

Secondo: occorre abolire tutte le leggi che creano il lavoro precario e ripristinare l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.

Come ci ricorda lo stimato  costituzionalista Paolo Maddalena, l’articolo 32 della nostra  Costituzione sostiene che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività mentre l’articolo 41sottolinea che l’iniziativa economica non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

Quello che avviene con le morti sul lavoro mette sotto accusa un intero meccanismo di sviluppo distorto.

I datori di lavoro (anche quelli che avrebbero le risorse per fare innovazione e prevenzione) investono poco nella prevenzione “alla fonte” e preferiscono ridurre i diritti in un mercato del lavoro frantumato e precario, con carichi di lavoro sempre più stressanti e un continuo rischio.

Oggi è sparito il senso sociale del lavoro citato dalla nostra Costituzione, con una classe capitalista che non ha il senso della solidarietà e utilità sociale del lavoro ignorando  di proposito il bisogno di salute nei luoghi di lavoro, considerando i danni psicofisici di chi lavora, i 600.000 infortuni e i 1400 morti annui come un prezzo inevitabile da pagare.

Questa loro barbara logica la giustificano come necessità per essere più competitivi   nella globalizzazione sui mercati mondiali. Non è così: la competitività delle imprese sui mercati viene data dalla capacità di effettuare investimenti alti mentre “i padroni del vapore” investono i capitali in attività finanziarie speculative senza rischio di impresa.

Dobbiamo quindi prendere atto che gli “omicidi bianchi” sono causati dal sistema economico patologico, illecito, cinico, incostituzionale del neoliberismo.

Per combattere i massacri che stanno  avvenendo nei luoghi di lavoro bisogna mutare completamente il sistema legislativo sopra menzionato,  abrogando (anche tramite un referendum) la legge Jobs Act, la 30 e quella sugli appalti ma anche i contratti pirata,  perché altrimenti i lavoratori precari sono soggetti ad accettare ogni vessazione, in condizioni di insicurezza. E’ necessario non lasciare soli i delegati e quindi serve un’azione sindacale straordinaria diretta e coordinata con:

 

  • una diffusa iniziativa di lotta sui luoghi di lavoro per creare una nuova cultura di rifiuto dellavoro a rischio, sviluppando una contrattazione continua da parte delle RSU/RLS su tutta l’organizzazione del lavoro…;
  • una diffusa iniziativa di lotta a livello generale sulle cose sopra elencate per ripristinare anche a livello legislativo i diritti dei lavoratori.

Dobbiamo purtroppo dire che il sindacato appare molto debole: s’accontenta delle cose dette da Draghi (non riesce nemmeno a dar seguito allo sciopero generale nazionale proclamato d CGIL e UIL il 16 dicembre 2021) ma soprattutto è ridotto a cercare di gestire in termini assistenziali le ricadute negative sui lavoratori delle scelte economiche fatte da padroni e governi.

Il sindacato deve quindi mutare pelle. Oggi i dirigenti ai vari livelli si sentono gratificati nel fare il bel “discorsino” ai direttivi e alle assemblee ma non sono più capaci di sviluppare una contrattazione adeguata.

Occorre che i gruppi dirigenti escano dai palazzi e dalle scrivanie: devono  tornare nelle aziende e ripartire – come facevamo  negli anni 70 –  dalle indagini sulla soggettività operaia in merito ai rischi esistenti: ttornare a contrattare  tutta l’organizzazione del lavoro andando a decidere come si lavora, con quale sicurezza, con quali investimenti, con quanti organici con quali orari, per cosa si lavora…  senza delegare (come invece sta avvenendo) la questione della prevenzione e sicurezza alle sole RLS o agli organismi di controllo (ispettorati, Inail, ASL) che sono necessari ma del tutto insufficienti.

(*) Umberto Franchi già dirigente sindacale CGIL (e anche responsabile Fiom regionale  per la prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro).

L’IMMAGINE – trovata in rete – E’ STATA SCELTA DALLA “BOTTEGA”

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

4 commenti

  • Annamaria Lauro

    È Vergognoso, la razza umana sta involvendo

  • Dal WEB: http://www.varesenoi.it
    CRONACA | 25 maggio 2022, 14:36
    Incidente sul lavoro in un cantiere edile in Canton Ticino, ferito gravemente un operaio della provincia di Varese
    Secondo una prima ricostruzione, il lavoratore 45enne, stava trasportando del cemento alla guida di una pala gommata quando il mezzo è finito in una scarpata ribaltandosi: l’uomo è stato trasportato in ospedale con l’elisoccorso
    Grave incidente sul lavoro nella mattinata di oggi, 25 maggio, in Canton Ticino, dove attorno alle 11, un operaio italiano è rimasto ferito gravemente.

    Il 45enne residente in provincia di Varese stava lavorando in un cantiere per la costruzione di un’abitazione in via Lugia a Carona.

    L’uomo stava trasportando del cemento alla guida di una pala gommata; stando a una prima ricostruzione e per cause che l’inchiesta di polizia dovrà stabilire, nel corso delle operazioni di scarico del cemento in una scarpata, il mezzo è caduto nella stessa, per poi ribaltarsi.

    Sul posto sono intervenuti agenti della Polizia cantonale, i pompieri di Lugano, i soccorritori della Croce Verde di Lugano nonché della Rega, che dopo aver prestato le prime cure all’operaio lo hanno trasportato in elicottero all’ospedale.

    In base a una prima valutazione medica, il 45enne ha riportato serie ferite.

    —–
    http://www.pane-rose.it
    Di lavoro si muore Sicurezza nei luoghi di lavoro
    Sciopero generale, subito!

    Blocchiamo per un giorno ogni attività. Fermiamo la mano assassina del capitale. Organizziamoci nei posti di lavoro in comitati autonomi operai con funzioni ispettive. Vogliamo uscire di casa… e tornarci!
    (10 Dicembre 2007)

    La carneficina quotidiana che insanguina i luoghi di lavoro e le strade risultato dell’organizzazione capitalistica del lavoro e della circolazione. Il governo ha messo in cantiere un nuovo “testo unico sulla sicurezza” nei luoghi di lavoro, ma già con la “finanziaria” ha sospeso i controlli per un anno sulle imprese. Non ci sono “scudi esterni” né “ispettori” che possano proteggere la salute dei lavoratori. Solo l’organizzazione dei lavoratori può arginare la carneficina. Costituire i “comitati ispettivi” operai negli ambienti di lavoro e sul territorio. Bloccare il lavoro e la circolazione in caso di nocività e di pericolo. Combattere il padronato e il capitale per una società ugualitaria senza sfruttati e sfruttatori

    Il “sistema delle 24 ore”

    E’ luogo comune che le lavorazioni a ciclo continuo siano necessitate, per motivi “tecnici”. In realtà la necessità riguarda il processo di valorizzazione, non quello di lavorazione. (Riflessioni a “caldo”, dopo la strage alla ThyssenKrupp di Torino)

    Ciò in quanto la fermata del ciclo produttivo causa una doppia perdita all’impresa: perdita negativa (lucro cessante, in termini giuridici) e perdita positiva (danno emergente). Infatti, i mezzi di produzione e le materie prime, restando fermi per la notte, e per il fine settimana, non producono valore, sono capitale inutilizzato; e per riavviare la produzione occorre spendere. I motivi non sono pertanto tecnici, bensì di portafoglio.

    L’operaio è sussunto realmente al capitale, è incorporato alla macchina, è una sua appendice: il capitale è valore che si valorizza, e il suo processo di valorizzazione deve essere celere e continuo, sempre di corsa e senza sosta. Fino allo stritolamento del lavoratore stesso, al suo sfinimento, alla sua eliminazione come scarto della lavorazione, scoria produttiva, ed alla sua sostituzione con carne fresca, da macello.

    Non si tratta di un accidente, né tanto meno di un “incidente”: è la logica inesorabile del profitto, è la conseguenza inesorabile della produzione capitalistica, cioè della produzione per la produzione (di profitto).

    * * *

    L’enorme, smisurata, immane ricchezza accumulata nel pianeta, e in Italia, dai capitalisti, e trasmessa in via ereditaria fino ai nostri tempi, è il frutto di migliaia di miliardi di ore di lavoro, la maggior parte del quale non pagato (pluslavoro), cui sono stati costretti miliardi di operai adulti, donne e bambini, da quando il capitale ha cominciato a spremere plusvalore sulla faccia della terra. Il capitalismo inglese ha mosso i suoi primi passi sfruttando i bambini, facendoli lavorare fino a 48 ore consecutive… Oggi, ad es. in Cina non siamo molto lontani da queste performance. E in Italia?

    In Italia gli operai muoiono al ritmo di 3-4 al giorno, compresi il sabato e la domenica, e i festivi. La popolazione italiana ammonta, nel 2007, a 59milioni circa di persone (59.131.287 al 31/12/2006). In Cina si parla di 1miliardo e 300milioni, cioè circa 22 volte la popolazione italiana. Pertanto, se in Cina muoiono 60/70 operai al giorno (soprattutto nelle miniere di carbone), è lo stesso che in Italia, se non meno!

    In Italia, la voracità del capitale nazionale è sempre stata senza limiti, dall’unità risorgimentale a oggi, tranne che nei momenti di più acuta lotta di classe (come è stato per gli anni dal 1968 al 1980). Appena il livello e la pressione della lotta operaia si abbassa, la molla dello sfruttamento si espande e, con essa, si attua la trasformazione dell’operaio in carne da macello.

    In Italia, i turni di notte vengono affidati soprattutto ai giovani, ai meno esperti ma con più energie. Vediamo l’età degli operai morti alla ThyssenKrupp di Torino: 26, 34, 36, 43 anni il più “vecchio”. Il giovane costa meno: questa è la cruda realtà, ed il motivo principale del loro utilizzo nei turni notturni. Ha meno scatti di anzianità, ha minor qualifica. Ha, di solito, figli piccoli da mantenere. E’ più ricattabile.

    In Italia, … le cose devono cambiare, stanno per cambiare…: gli zombi, i lavoratori “scomparsi” (perché nessuno ne parla), gli scarti umani della lavorazione, le scorie viventi della produzione, i rifiuti sociali dell’industria, la carne da macello del capitalismo nostrano, non ne possono più, stanno risollevando la testa, si stanno riorganizzando. E non hanno di fronte il “capitale”, bensì il capo reparto, il direttore aziendale, ecc. Gli assassini pagheranno caro, pagheranno tutto.

    Pertanto, concludendo e traducendo in termini pratici le considerazioni che precedono, diamo a braccianti – operai – addetti ai trasporti – lavoratori dei servizi e di ogni altro settore le seguenti indicazioni operative.

    – Sollevarsi contro le stragi sul lavoro per affermare la dignità, personale e sociale, di chi lavora.

    – Promuovere uno sciopero generale di un giorno intero, di tutti i comparti e di tutte le categorie, a sostegno della dignità della salute e dell’incolumità fisica dei salariati.

    – Costituire i comitati ispettivi operai di fabbrica quartiere zona per difendere concretamente salute e incolumità fisica dalla nocività-pericolosità degli ambienti di lavoro e delle vie di circolazione; col compito di bloccare l’attività lavorativa fino alla rimozione della fonte di danno e di pericolo e al ripristino delle condizioni di sicurezza.

    – Assicurare la base necessaria di sviluppo ai comitati ispettivi operai, mediante l’organizzazione autonoma di tutti i lavoratori salariati, fino alla costituzione di un autentico sindacato di classe.

    – Opporsi al delirio punitivo contro i conducenti in nome della sicurezza stradale ed esigere la messa in sicurezza di strade e autostrade.

    domenica, 09 dicembre 2007

    GIORNALE MURALE DI RIVOLUZIONE COMUNISTA del primo maggio 2007

    – La carneficina quotidiana che insanguina i luoghi di lavoro e le strade risultato dell’organizzazione capitalistica del lavoro e della circolazione. Il governo ha messo in cantiere un nuovo “testo unico sulla sicurezza” nei luoghi di lavoro, ma già con la “finanziaria” ha sospeso i controlli per un anno sulle imprese. Non ci sono “scudi esterni” né “ispettori” che possano proteggere la salute dei lavoratori. Solo l’organizzazione dei lavoratori può arginare la carneficina. Costituire i “comitati ispettivi” operai negli ambienti di lavoro e sul territorio. Bloccare il lavoro e la circolazione in caso di nocività e di pericolo. Combattere il padronato e il capitale per una società ugualitaria senza sfruttati e sfruttatori.

    La catena di omicidi bianchi e di infortuni, che strazia ogni giorno decine di migliaia di lavoratori tra vittime e conviventi, non deve suscitare solo angoscia indignazione rabbia. Deve anche suscitare comprensione del fenomeno. E, soprattutto, deve spingere i lavoratori a organizzarsi, a mettere in atto gli strumenti di salvaguardia della propria incolumità fisica e della propria salute. Questa catena di morti e mutilazioni deve portare i lavoratori a creare un’autodifesa permanente perché essa non è figlia del caso o della fatalità, ma è il risultato dello sfruttamento padronale della forza-lavoro, il risultato intrinseco dell’organizzazione capitalistica del lavoro, nella sua specifica concretezza storica. Ed è perciò un fenomeno, un flagello che non si può estirpare senza sradicare il capitalismo.

    I dati nazionali e mondiali del “macello”

    La carneficina di lavoratori salariati, giovani e adulti, locali e immigrati, ha dimensioni impressionanti.

    Secondo i dati forniti dall’INAIL, che come è noto registra solo gli infortuni denunciati non quelli realmente accaduti, dal 2001 al 2006 si è verificato più di un milione di infortuni all’anno, con oltre 1.200 morti e 30.000 invalidi. Nell’ultimo triennio i morti sono stati: 1.328 nel 2004; 1.280 nel 2005; 1.250 nel 2006. L’andamento degli infortuni in questa prima parte del 2007 registra un’impennata degli omicidi bianchi. Per avere un quadro completo del fenomeno alla massa di infortuni bisogna aggiungere la quantità enorme di casi di malattie professionali. Alla fine del 2006 l’INAIL ha erogato quasi 200.000 rendite per invalidità di malattia. Quindi è l’intero corpo del lavoro salariato che viene flagellato.

    Secondo i dati forniti dall’Ilo (organizzazione mondiale del lavoro) nel 2006 sono avvenuti nel mondo 270.000.000 di infortuni. E sono morti per infortuni e malattie professionali 2.200.000 lavoratori. Inoltre sono stati registrati 160.000.000 di casi di malattie professionali. Questo è quindi il prezzo che il salariato mondiale paga nel complesso con la propria vita e con la propria salute allo schiavismo tecnologico.

    Il costo sociale di questo olocausto è stimato in Italia in 42 miliardi di euro (che rappresentano il grosso delle erogazioni dell’INAIL). E, a scala mondiale, nel 4% del Pil globale.

    Il “sangue sull’asfalto”

    Agli effetti pratici e ai fini operativi bisogna poi tener conto che, nel nostro paese, il 50% degli infortuni mortali è legato alla circolazione stradale (infortuni in itinere), che è il canale di convogliamento della forza-lavoro all’entrata e all’uscita del generale processo di produzione. La circolazione stradale riflette il flusso della mobilità della forza-lavoro ed è il termometro del suo grado di fluidità. Per cui la scia di sangue che scorre ininterrottamente nei luoghi di lavoro (aziende, cantieri, depositi, porti, ecc.) e le pozze che coprono l’asfalto rappresentano (fatte le debite distinzioni tra la circolazione connessa al lavoro e quella legata alle attività extra) un fenomeno unitario. L’espressione di un campo unico di macellamento della forza-lavoro, mantenendo tuttavia la distinzione tra i due elementi costitutivi per pesarne la rispettiva incidenza interna.

    Ad illustrazione del mattatoio stradale ricordiamo che il 10 giugno 2003 perdeva la vita in via Ovada a Milano il nostro militante e dirigente Sergio Rosola mentre si recava al lavoro alla centrale Barona della Telecom di cui era dipendente. Nell’occasione sottolineavamo che il macello di vite umane che si verifica giornalmente sulle strade e autostrade ha la sua causa nella flessibilità generalizzata del lavoro e dell’esistenza; che non esistono accorgimenti protettivi atti a eliminarne gli effetti micidiali all’infuori della lotta proletaria; e che non basta denunciare la matrice pubblica del macello stradale, ma che occorre battersi contro questo tipo di distruttività sistemica; specificando in proposito che la lotta contro questo settore del mattatoio va collegata al fronte generale di lotta contro lo sfruttamento del lavoro e contro il potere statale che lo protegge a partire dai luoghi di lavoro ove la carneficina non si ferma mai (ved. Suppl. 1/7/2003).

    Detto questo veniamo alla prevenzione.

    Il paravento della prevenzione

    Il principio fasullo, e comunque subalterno, del sindacalismo confederale, portato ai governi di turno, è che senza vigilanza e sanzioni le leggi non vengono applicate e che lo scudo contro gli infortuni sono i controlli. Su questa premessa di principio c’è chi invoca una task force per i controlli; chi suggerisce di rafforzare lo strumento ispettivo accentuando le competenze attribuite ad ASL INAIL ARPA; chi lamenta che gli ispettori intervengono poco e in modo inefficace. A vedere quello che accade si capisce subito che si tratta di finzioni o tutt’al più di velleità.

    Lo confessano gli stessi addetti ai lavori. Gli ispettori ministeriali lamentano in primo luogo la mancanza di mezzi e le difficoltà degli accertamenti; in secondo luogo il clima di minaccia che circonda tante imprese a nero. I medici del lavoro raccontano che dedicano il 75% del loro tempo a svolgere attività di polizia giudiziaria sull’infortunio già avvenuto. I rappresentanti dei lavoratori alla sicurezza (Rls), a prescindere della loro nomina da parte dei burocrati sindacali, hanno scarsi poteri (peraltro sempre più smangiati dalla contrattazione articolata). Sono limitati alla singola azienda. E, quando arrivano, arrivano a fatto compiuto. Quindi nella concreta realtà produttiva e/o circolatoria tutti gli strumenti della prevenzione si rivelano punte spuntate.

    Le lacrime di coccodrillo dei vertici istituzionali e il nuovo disegno sulla sicurezza

    Di fronte alle ultime stragi sul lavoro il capo dello Stato ha dichiarato visibilmente commosso che non “ci sono parole per esprimere il cordoglio”; mentre il presidente del consiglio ha reperito la parola solenne “martirologio” scambiando le vittime con volontari della morte. Come sempre i vertici istituzionali versano lacrime sul latte versato. Lacrime che sono tanto più patetiche quanto più ipocrite e impotenti. Tuttavia non c’è dubbio che alla base di tanti tragici eventi ci sono precise responsabilità istituzionali, ministeriali governativi statuali, costituite da inottemperanze omissioni mercimonio delle funzioni pubbliche, ecc., in quanto o le misure anti-infortunistiche disposte per legge spesso restano lettera morta o i controlli affidati agli ispettori del lavoro e al personale medico sono radi e poco incisivi. Per cui nessun rappresentante delle pubbliche istituzioni può tirarsi fuori dalla responsabilità politica, e per tanti versi anche da quella giuridica, delle stragi sul lavoro.

    Sull’onda delle recite istituzionali il Consiglio dei Ministri ha varato il 13 aprile un disegno di legge per raccogliere in un testo unico le norme sulla sicurezza sui posti di lavoro. Il disegno porta la firma dei ministri Damiano-Turco e imposta il riordino della materia su tre linee: a) stabilendo premi alle imprese che ridurranno il numero degli infortuni; b) riconoscendo la tutela anti-infortunistica ai para subordinati e interinali; c) estendendo, nell’appalto, la responsabilità dalle società appaltatrici alle società appaltanti. Il disegno tra l’altro non precisa come possano agire i RLS. Riservandoci ad altro momento un’analisi più esauriente e dettagliata del disegno dobbiamo fare subito alcune osservazioni preliminari.

    Prima di tutto bisogna rilevare che l’estensione della normativa anti-infortunistica ai parasubordinati senza prima abolirne il fittizio stato di autonomi, che maschera la condizione reale di dipendenza, mantiene normativamente questa categoria di lavoratori in una situazione di svantaggio. In secondo luogo va denunciato che la linea dei premi porta a sgravare le imprese dai controlli, come ha già fatto la Finanziaria in vigore (comma 1198) che ha sgravato dai controlli per un anno le imprese che riemergono dal nero. In terzo luogo va inoltre denunciato che il disegno Bersani sulle liberalizzazioni ha attribuito ai privati una parte della sicurezza, spostando per i macchinari a pressione (che riguardano una vasta gamma di lavorazioni) la competenza dei controlli dalla Ispcsl a società private. In quarto luogo va ancora denunciato che il disegno, pur estendendo la responsabilità alle società appaltanti, non si occupa della struttura societaria delle subappaltatrici spesso costituite da cooperative di lavoratori che mascherano rapporti di lavoro di tipo negriero. Infine va da ultimo denunciato che il disegno si disinteressa delle condizioni di flessibilità del lavoro e dei luoghi di lavoro e non prende neanche in considerazione il prolungamento illimitato degli orari, la detassazione degli straordinari, ossia tutto ciò che rende usurante intorpidente epperciò più rischiosa la prestazione lavorativa. Il nuovo disegno sulla sicurezza allarga quindi la forbice tra attività lavorativa e insicurezza; esautora i lavoratori e affida il controllo alle imprese; legalizza le condizioni di insicurezza proprie della precarizzazione del lavoro.

    La prevenzione, se non è attuata dai lavoratori, si adegua alla logica del profitto

    Il ministro del lavoro, ex sindacalista della Cgil, e il vice-presidente della Confindustria reclamano insieme più sorveglianza dall’esterno e più ispettori. Si tratta della proverbiale ricetta delcane che si morde la coda. Chi può infatti stabilire quando ci sono le condizioni per poter lavorare e quando bisogna invece bloccare le operazioni lavorative se non gli addetti comandati ad eseguirle?! Non ci sono controlli esterni che mettano in discussione il dominio unilaterale del capitale sulle condizioni di lavoro. Il dilemma, che non si può nascondere, è che l’utilizzo padronale usa e getta della forza-lavoro costituisce un meccanismo di sfruttamento e al contempo di distruzione della forza-lavoro. Analizzando il riassetto del mercato del lavoro, avvenuto nel 2003, abbiamo messo subito in evidenza che la competitività basata sulla flessibilità a tutto spiano, elimina ogni limite alla razzia del lavoro; e abbiamo conseguentemente chiarito che non c’è comparto dell’economia, o settore operaio o impiegatizio, che non sia sconvolto dalla riorganizzazione flessibile del lavoro; e precisato che con la legge Biagi il padronato ha rimosso ogni residuo limite all’utilizzo elastico dei lavoratori e portato a termine una legislazione del lavoro schiavizzato (ved. Suppl. 16/11/03). Il dilemma perciò è che la razzia del lavoro (non solo la frantumazione del ciclo produttivo o la svalutazione dei lavori rischiosi e disagiati) innesca meccanismi selvaggi di torchiatura e di mutilazione della forza-lavoro; nei cui confronti cedono regole e controlli esterni. Esempio: la Lombardia è in testa al numero di infortuni sul lavoro ed occupa questo primato non tanto perché abbia la percentuale più alta di lavoratori, quanto perché manca la sicurezza negli ambienti di lavoro e perché è terreno principe di razzia del lavoro. La regione marcia verso un livello più alto di privatizzazione, ossia verso un livello più alto di manipolazione distruttiva della forza-lavoro. E, quindi, non ci sono controlli esterni che possano garantire la sicurezza nel lavoro.

    La “sicurezza” deve essere imposta dai lavoratori

    Il 13 aprile trecento operai del porto di Genova hanno bloccato il lungomare Canepa in segno di protesta contro la straziante fine di Enrico Formenti, quarantenne, rimasto schiacciato da due balle di cellulosa di 1.700 kg l’una mentre lavorava in una stiva. Per il porto si tratta della trentesima vittima in 10 anni; dell’ultimo omicidio bianco di un ambiente di lavoro che, come sanno i portuali, divora il corpo a pezzetti (prima una mano, poi un braccio, poi una gamba, fino a tutto il corpo). Dopo avere vegliato il corpo del compagno, i trecento lavoratori si sono riversati sulla strada, ove hanno acceso un gran falò a base di copertoni, per manifestare col fumo nero non solo il loro dolore ma la volontà di reagire contro il sanguinoso stillicidio. La protesta ha assunto la forma di una sollevazione; tanto che i burocrati sindacali per calmare gli animi hanno indetto uno sciopero di 24 ore. Ma quello che è importante, e che merita di essere sottolineato di questa sollevazione, è la consapevolezza dei manifestanti che chi parla di sicurezza dall’esterno inganna i lavoratori e la volontà che la sicurezza va imposta dai lavoratori stessi. E va imposta intervenendo sugli spazi troppo stretti, sulle condizioni di nocività e di pericolo, sui ritmi e orari; in breve su tutto ciò che mina la salute e l’incolumità personale di chi il lavoro lo fa effettivamente. Perciò, se non è errato dire, come ripetono a iosa i liturgici della prevenzione, che gli incidenti non sono intrinseci al lavoro, questo non vale o è estremamente relativo per il lavoro salariato, per l’organizzazione capitalistica del lavoro, che, come i dati dimostrano, è la fonte principale in assoluto di distruzione di vite umane; e di vite umane di sfruttati e oppressi.

    Pertanto, concludendo e traducendo in termini pratici le considerazioni che precedono, diamo a braccianti operai addetti ai trasporti lavoratori dei servizi e di ogni altro settore le seguenti indicazioni operative.

    – Sollevarsi contro le stragi sul lavoro per affermare la dignità, personale e sociale, di chi lavora.

    – Promuovere uno sciopero generale di un giorno intero, di tutti i comparti e di tutte le categorie, a sostegno della dignità della salute e dell’incolumità fisica dei salariati.

    – Costituire i comitati ispettivi operai di fabbrica quartiere zona per difendere concretamente salute e incolumità fisica dalla nocività-pericolosità degli ambienti di lavoro e delle vie di circolazione; col compito di bloccare l’attività lavorativa fino alla rimozione della fonte di danno e di pericolo e al ripristino delle condizioni di sicurezza.

    – Assicurare la base necessaria di sviluppo ai comitati ispettivi operai, mediante l’organizzazione autonoma di tutti i lavoratori salariati, fino alla costituzione di un autentico sindacato di classe.

    – Opporsi al delirio punitivo contro i conducenti in nome della sicurezza stradale ed esigere la messa in sicurezza di strade e autostrade.
    ———————————–

  • Norma Bertullacelli

    Apriamo una nuova colonna per il conteggio, sapendo che alla fine dovremo sommare tutto: i ragazzi morti in alternanza scuola lavoro. Il ministro avrà forse pronunciato qualche frase di circostanza, ma non si sogna nemmeno di dimettersi.
    L’infame alternanza (regalo di un governo a guida pd) viene organizzata nelle scuole da insegnanti che, per pochi spiccioli e spesso per ingraziarsi i presidi gestiscono questa nuova ed innovativa forma di sfruttamento e di indottrinamento.
    I compiti degli/ delle insegnanti extra insegnamento sono sempre più numerosi ed impegnativi e spesso sono inutili. Ma questo è davvero dannoso. Gli/le insegnanti che, alla luce di quello che accade, continuano a prestarsi a questa funzione dovrebbero essere moralmente boicottati dai colleghi e dalle colleghe. E il boicottaggio comincia alla macchinetta del caffè.

  • Egr. Redazione de La Bottega del Barbieri ,

    una domanda :
    “parlando dei fondi Europei del Recovery Plan e delle riforme che ci chiede di varare la Comunità Europea per accedervi , quali possibilità ha un Governo di un Paese come il nostro che ha rinunciato alla sovranità monetaria (e quindi per portare avanti un Piano di sviluppo economico e produttivo deve comunque sottostare a dure condizioni ?

    Puntare sugli affidamenti prevalentemente alle imprese private, allentare la presa sulle norme vigente a tutela della salute, dell’ambiente e della sicurezza sui posti di lavoro e nei territori circostanti, rendere più difficile e complicato – per sindacati ed associazioni la possibilità di adire a vie legali ! La stessa ristrettezza dei termini di prescrizioni sui reati ambientali e contro i diritti alla salute e alla sicurezza umana ci deve far pensare molto !

    Teniamo presenti che certi problemi di cui parliamo sono stati e vengono ancora aggravati dai vari Decreti semplifuicazioni Governativi ! Il Codice degli appalti in un Paese come il nostro nel quale la maggioranze delle Aziende private puntano ad accaparrarsi appalti pubblici soprattutto nel campo dei servizi pubblici statali e degli EE.Ll. già con il continuo svilimento dello stesso Codice degli Appalti e del potere di intervento dell’ANAC si è dato abbastanza mano libera alle imprese private di fare i loro porci comodi .

    A mio avviso sarebbe stato molto più utile puntare ad una Riforma del Codice degli Appalti, puntando anche ad estendere l’applicazione delle norme di tutela della salute e della sicurezza umana nei luoghi di lavoro e nei territori antistanti anche ad imprese che operano all’estero o hanno rami di aziende all’estero e in particolare nei Paesi in via disviluppo e prevedere modalità di partecipazione democratica diretta da parte dei rappresentanti dei lavoratori e dei Consumatori !

    Sarebbe stato davvero un passo utile per recuperare rilanciare il ruolo di garante dei diritti costituzionale per l’insieme di una Comunità da parte dello Stato !

    Peccato che le manie di egemonia da parte del soggetto promotore del referendum sul Codice degli Appalti, la CGIL naz.le ne abbia compromesso sin dall’inizio l’esito !

    Credo che il PNRR di Draghi sia stato fin troppo decantato come la panacea di tutti i mali ! Un Governo e delle Forze politiche serie avrebbero dovuto mettere in guardia avrebbero dovuto mettere in guardia il Paese dai facili ottimismi e cercare di spendere meglio quei pochi finanziamenti europei disponibili invece di distribuire questue a destra e a manca ai soliti imprenditori speculatori imprenditoriali e all’industria delle armi !

    E oggi che con questa guerra russo/ucraina in corso, che fa seguito alla grave pandemia da coronavirus che ancora non siamo del tutto sicuri di esserne usciti, si riparla di nuovo di un ritorno al patto di stabilità con questo Governo che ci ritroviamo dove pensiamo di poter andare?

    Cordiali saluti, Onofrio Infantile

    Salerno, 29 maggio 2022

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