Un sabato qualunque?

di Gianluca Ricciato

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Per uscire dalla paranoia, bisogna decidere di uscirne e iniziare a partecipare. Questo per me vale nelle cose personali e in quelle politiche, che spesso sono più collegate di quello che sembra.

Quello che mangi ad esempio, è una cosa personale e anche politica, deriva da scelte personali e culturali, può curare e fare ammalare me e il mondo.

Da quando hanno cominciato a parlare di sovranità alimentare i movimenti zapatisti messicani e i Sem Terra brasiliani a metà degli anni Novanta, Josè Bove in Francia e Vandana Shiva in India, da quando sono nate Genuino Clandestino e le reti dell’economia solidale per reclamare e praticare la riappropriazione del settore agroalimentare – come un collettivo di persone decide di coltivare, scambiare, vendere e consumare semi, frutti e trasformati agricoli – ma soprattutto da quando siamo entrati nell’epoca dell’imperialismo economico in cui diventano “proprietà intellettuale” anche i semi e le piante, le parole politica e partecipazione hanno assunto significati diversi.

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Sabato scorso (7 maggio 2016) sono accorse a Roma alcune decine di migliaia di esseri umani per rappresentare anche in Italia una resistenza al “Trattato per un Partenariato di Commercio e Investimenti” tra Stati Uniti e Europa, che come spiega l’economista statunitense Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, più che un trattato è una sorta di servitù coattiva che ha come fine principale l’eliminazione degli ostacoli che ancora impediscono di veicolare generi alimentari quanto meno dubbi – se non proprio diciamo osceni – grazie a un principio di precauzione che dal 1991 impedisce alle holding di immettere in commercio qualsiasi fantasiosa invenzione pseudoalimentare, che nutre le azioni in borsa di queste società e si serve di ricerche scientifiche allineate per giustificare la loro imprescindibile utilità al pianeta Terra.

Una risposta non scontata che su questi temi non si vedeva da almeno dieci anni, sebbene in questi anni, dall’epoca dei forum sociali e delle reti solidali, siano sbocciate in Italia dal Nord al Sud miriadi di realtà con pratiche di sostenibilità sociale e ambientale.

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Ma le azioni locali, in una situazione del genere, hanno sempre una portata globale, nel bene e nel male, che lo si voglia o meno – altrimenti si ricade nel pensiero ingenuo di chi parla di autarchia del territorio mentre mangia prodotti che vengono dall’altra parte del mondo, solo per fare un esempio banale.

La crescita di una consapevolezza collettiva su questi argomenti, che dalla fine degli anni Novanta e soprattutto dopo il G8 di Genova era sbocciata anche in Italia,  è stata ostacolata – per quello che ho visto e capito io –  dalla persistenza di una mentalità novecentesca di pratiche politiche, atteggiamenti intellettuali e idee diffuse, dando vita facile a pratiche poliziesche repressive, che invece avevano e hanno il chiaro segnale di un nuovo totalitarismo la cui matrice non è nazionale ma, appunto, sovra-nazionale e  non legata a sistemi decisionali democratici (l’accordo segreto TTIP è solo l’ultimo di questi luoghi decisionali fuori dalle regole democratiche).

Per questo motivo, com’è bene che ci si ritrovi in sempre più occasioni a condividere pratiche e conoscenze che resistano ad attori economici che consideriamo ormai criminali, per quello che fanno da decenni in tutto il mondo – aziende petrolifere, agroalimentari, farmaceutiche, belliche – così è bene che nessun politico di una inesistente sponda istituzionale strumentalizzi questi temi a fini elettorali, così come nessun egocentrico eroe di piazza (ovviamente sempre maschio) faccia passare guai ad altre persone grazie alle sue brillanti idee mitopoietiche che piacciono ai giornalisti, così come non si ripropongano dinamiche di partito novecentesco in spazi collettivi il cui respiro, evidentemente, è di portata ben più ampia e meno angusta rispetto ai calcoli elettorali.

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Forse ci volevano dire qualcosa le immagini delle specie protette del fiume Polcevera travolte dal petrolio che abbiamo visto schiaffeggiare mediaticamente – proprio nel giorno del referendum – un popolo italiano dal pensiero debole e malaticcio che vaneggiava su facebook della propria libertà di pensiero e di giudizio, mentre un governo criminale e suddito dell’imperialismo petrolifero faceva propaganda astensionista e telecomandava il “libero pensiero” dei cittadini di questa inedita democrazia, che farebbe rabbrividire anche i pensatori liberali dell’ottocento – per non parlare di Pasolini o altri intellettuali che avevano previsto dove sarebbe arrivato il sistema capitalista, cioè esattamente qui.

Forse che il disastro petrolifero sia capitato a Genova proprio nel giorno del referendum, e che quest’anno a luglio saranno quindici anni da quel luglio 2001 in cui in Italia si trapassò da un’epoca a un’altra, non è proprio un caso, ma una congiuntura astrale necessaria. Potrebbe essere un’occasione di invenzione, creatività e rilancio, invece che una semplice e scontata commemorazione in un sabato qualunque di luglio. Se si avranno forze inventive e creative, e idee non scontate che ci portino finalmente fuori dal Novecento.

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Gianluca Ricciato

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