Un teatro resistente

di Angelo Maddalena (*)

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Quando l’alto ieri Maria Pia mi ha chiamato per chiedermi di scrivere una testimonianza sulla mia vita “resistente”, dicendomi di raccontare in modo libero, a partire anche dall’esperienza del viaggio, dell’erranza, la prima cosa che ho pensato è stata l’espressione di Antonio Tancredi, un attore e musicista di Genova che ho rivisto proprio settimana scorsa, e siccome ha comprato il mio ultimo libro «I diari della bicicletta», in cui parlo del mio mestiere di scrittore e attore di narrazione itinerante, si parlava appunto, di “teatri resistenti”. E Antonio mi diceva che chi fa monologhi teatrali sta salvando il teatro, oggi, e non solo perché con la “crisi” i soldi sono pochi e viene più facile pagare uno solo in scena che una intera compagnia, ma perché chi fa monologhi teatrali, e chi è autore di questi monologhi, e racconta se stesso e i conflitti popolari come «fate tu, Andrea Pierdicca, Antonio Carletti», diceva Antonio, sta dando corpo al teatro vivo e vero, e sta salvando il teatro. «I teatri resistenti siete voi» diceva Antonio Tancredi «non i luoghi, lo spazio teatrale come struttura, ma voi che date corpo, con il vostro corpo, a qualcosa che è antico e sempre nuovo, soprattutto chi come te aggiunge il valore aggiunto della canzone e della chitarra». I rapsodi, i cantastorie siciliani, dicevo io. Io sono intanto lusingato e compiaciuto di aver ricevuto la telefonata di Maria Pia, tra l’altro, tanto per non dimenticare la “magìa degli incontri” e delle coincidenze, proprio in questi giorni sto lavorando alla registrazione e stampa del mio nuovo cd di canzoni «Mistico errante», e con il cd stamperò anche un “libricino allegato”, dal titolo «ASSUD, Tutta un’estate tour 2014 da Castellone ad Aliano», in cui racconto una tournée di spettacoli che mi ha portato a viaggiare per tutta un’estate; e proprio qualche giorno fa rileggevo il testo di «ASSUD», proprio le pagine in cui racconto dell’incontro con Maria Pia, che ho rivisto a Firenze in quell’estate 2014 perché c’è stato uno “sconfinamento” a Modena e in Toscana, durante la tournée a Sud! Quindi che dire? Sarebbe il caso, senza timore di farmi pubblicità, di parlare delle mie produzioni e autoproduzioni, opere e omissioni, libri e cd…e già lo sto facendo, ma la cosa più importante che voglio dire, a proposito del viaggio e dell’erranza, è che io ho abitato in almeno quattro città (Torino, Genova, Siena, Marsiglia) e dormito in almeno mille! Un po’ per il mio mestiere di scrittore e cantautore e narratore teatrale, scrittore di viaggio, raccoglitore di testimonianze e di tensioni, ecc. ecc., cantastorie e poeta e chi più ne ha più ne metta. E anche ritrattista di strada in un periodo “di passaggio”, e anche quello fatto in modo “non allineato” (diciamo così). L’aspetto che più mi preme tirar fuori è però questo: come ho imparato a gestire gli spostamenti, la leggerezza del viaggio e il sentirsi “straniero ovunque” (tanto per citare Teodoro l’Ateo, citato da M. Passamani in un suo scritto dal titolo «Ammutinamento del pensiero» o qualcosa del genere). Un incontro che mi ha aiutato tanto è stato quello con Emile Cioran, che ho incontrato “grazie” all’esperienza del suicidio di una mia amica, Mariella Siciliano. Chissà quanta importanza ha avuto quel gesto di Mariella nel darmi la “spinta” per indagare a fondo “le dimensioni dell’essenza”. E’ un fatto che nel 2008 ho scritto il mio primo monologo teatrale in francese, dal titolo «Déraciné comme Cioran» (Straniero come Cioran), replicato a Marsiglia e in altre città francesi, in Algeria e a Bruxelles l’anno scorso. «Lo scrittore, in un certo qual modo, è sempre un esiliato» scrive Cioran! Io ho cominciato a “viaggiare” molto tardi, praticamente a 35 anni, perché dopo la laurea a Milano sono tornato al mio paese natìo del centro Sicilia (Pietraperzia) e ho provato disperatamente ad “arroccarmi” alla campagna, alla vita sana ecc., una tendenza molto diffusa oggi e anche molto pericolosa, e per questo non mi stancherò mai di consigliare la lettura del libro di Cristopher Lasch, «La cultura del narcisismo». Di quel periodo è il racconto «Acqua cavalli e noci» pubblicato nell’antologia «Selvatico e coltivato» edito da Stampalternativa. (Sto scrivendo un romanzo in francese ispirato al quel periodo). Quindi ho iniziato a viaggiare per cercare la mia strada di artista nel 2005,; non ho viaggiato mai al di là dell’Atlantico e neanche del Mediterraneo, se consideriamo che l’Algeria tocca il Mediterraneo. E ho viaggiato sempre per spettacoli, o reportage che poi sono diventati spettacoli o libri, è il caso dello spettacolo «Cousins d’Algerie, frères de Kabylie», racconto teatrale con canzoni che ho interpretato anche in italiano (Cugini di Algeria, fratelli di Kabylia), che nel 2014 ha partecipato al festival «Raconte arts» in Kabylia, oltre che essere stato replicato in Francia (Marsiglia, Toulouse, Parigi, Montpellier) e in Belgio (Liege e Bruxelles). La dimensione del viaggio e dell’erranza, nel mio caso, è stata ed è più metafisica che reale, nel senso che tendo, poeticamente, a mostrarmi, per poetica personale e per esigenza di assumere “esperienza”, a presentarmi più “viaggiatore” (nomade ed errante) di come io non sia in realtà. Anche per “liberarmi” dall’ “impegno” e dalla “programmazione” che spesso i miei viaggi hanno, perché appunto sono spesso tournée di spettacoli con date fissate due mesi prima con un lavoro di “pressione” e di “lobbing” che io stesso faccio, quindi poi anche per rilassarmi tendo ad apparire “spensierato e leggero”, e meno male se no non ce la farei a reggere psicologicamente: io metafisicamente non farei niente, sono di una pigrizia incommensurabile, e qui ci sarebbe parole immensamente belle e significative scritte e dette da Cioran, ma anche da me! Per esempio il libro che ho appena pubblicato, «I diari della bicicletta», è un diario di un viaggio da Borgotaro a Parigi che ho fatto nel 2008, poi c’è anche un altro viaggio, sempre nello stesso libro (due viaggi in uno è il sottotitolo del libro), che è il diario della tournée da Pietraperzia a Lugano in bicicletta per Marco Camenisch. Ebbene sì, la prima parte del libro è appunto il viaggio in Francia, che può sembrare per certi versi un viaggio spensierato e quasi vacanziero anche se ricco di spunti e appunti di un certo spessore. Però dopo aver scritto quel libro, e anche dagli appunti di quel libro, ho scritto il monologo «Déraciné comme Cioran» in pochi giorni, a Marsiglia, e l’ho presentato a partire da Marsiglia e poi in tante altre città francesi nel giro di un anno o anche meno, più gli spettacoli di canzoni che ho fatto a Marsiglia ecc. quindi ho prodotto come una “macchina da guerra”, come direbbe qualcuno, ma questo, metafisicamente (Cioran docet) è “terribile”, quando ci penso mi viene da “abbattermi” (e rido alla Cioran!) perché l’essenza della vita è il nulla, il silenzio, la polvere, tutto quello che facciamo è inutile e pericoloso, o quanto meno “aggressivo” («Qualsiasi atto lusinga la iena che è in noi» è un aforisma di Cioran che ho musicato e messo dentro il monologo) e non è un caso che ho musicato il «Canto notturno di un pastore errante» di Leopardi (e ve lo farò ascoltare inedito!), poi ho anche scritto quel capolavoro di canzone che è «Mi scantu di jurnu di un pastore errante siciliano», ma questo lo trovate su youtube stragettonato! E poi, infine, ho scritto la canzone «Perdere», un mese fa ad Altamura, dopo aver perso 20 euro nella necropoli di Jesce. Ma qui siamo già nella mistica, con Cioran e Leopardi non manca la mistica, il senso del tragico, che è una delle più grandi perdite dell’età moderna. Con Walter Benjamin che dice che «l’uomo moderno è stato espropriato dell’esperienza» e con la perdita del senso del tragico da parte dell’uomo moderno, siamo al culmine, al cuore della nostra epoca. Però io ho una formazione cristiana e cattolica, che da Adriana Zarri a don Lorenzo Milani, a David Maria Turoldo passando per la tentazione ascetica del deserto (Carlo Carretto, Charles de Foucauld) mi “porta” avanti, mi fa sentire pieno anche nel vuoto, mi sostiene, e lo scetticismo di Cioran e Leopardi mi salva dall’ “adesione” che rischia di perdere l’amore per il dubbio, ho attraversato, ovviamente, la tentazione integralista, e anche questo è importante: «solo chi ha vissuto la rinuncia può vivere pienamente», sempre Cioran docet! Adesso…un’ultima cosa per la dimensione del viaggio: «Amico treno non ti pago» (eris edizioni) e «A piedi è un altro mondo» (euno edizioni) sono i miei due libri in libreria («A piedi è un altro mondo» è arrivato in libreria da pochi mesi anche se è stato scritto dieci anni fa!). Ma una delle riflessioni che ho fatto recentemente è quella del “viaggio visibile e invisibile”. Ci sono milioni di persone che viaggiano tantissimo, per lavoro (penso ai pendolari o ai rappresentanti ma anche a tanti altri) ma fino a quando i ritmi del salario guidano i passi di un uomo o fino a quando un mezzo di trasporto privato nasconde i suoi bagagli, la dimensione del viaggio, anche se frustrante e opprimente, è quasi “invisibile”. Il fatto di viaggiare con ritmi autodeterminati e senza un’automobile privata (io non guido e mi sono autosospeso la patente nel 2002) fa irrompere la dimensione del viaggio nella sua valenza liberatoria e a volte portatrice di “leggende” o malintesi: per leggende intendo: “quello viaggia senza un lavoro salariato o collegato a una struttura che decide per lui, quindi è libero, spirito libero, vagabondo, può andare dove vuole e quando vuole, fricchettone!”. E non è così invece: in parte sì, ed è bello pensarlo e immaginarlo, ma spesso, come dicevo, ci vuole molta più programmazione a gestire una vita “libera”, auto programmazione e autogestione, quindi determinazione di tempi e di ritmi, non rigidi, ma che danno tanta..: “autodeterminazione”, e quindi autodisciplina. Il malinteso può essere questo aneddoto seguente: una volta ero su un treno e avevo lo zaino in spalla, appena entrato nel treno, un tipo seduto di fronte a me, mentre sistemavo lo zaino, mi ha chiesto “cosa fai nella vita?”, o “che lavoro fai?”, io dovevo sistemare lo zaino, non ricordo bene l’insieme del discorso, ma ricordo che io ho temporeggiato qualche secondo prima di rispondere, è bastato questo per far dire a quella persona «va bene ho capito, non fai un cazzo, vai dove vuoi e quando vuoi». Ora, il ricordo è un po’ sfumato, io sull’argomento ci ho anche scritto una canzone che è anche il titolo del mio cd più “famoso”: «Pani picca e libertà!». Però una cosa mi colpì quella volta: che basta uno zaino in spalla e un minimo “temporeggiamento” nel rispondere a una domanda del tipo “dove vai o che lavoro fai?” per aprire tutto un mondo immaginifico, di cui c’è un estremo bisogno ovviamente, e quindi anche di malintesi e di svarioni, questo è l’essenza della mia vita poetica, il vagheggiamento, e spesso è fondamentale tutto ciò, per scavare nella realtà e trovare tanta merda ma anche tanto oro!

Dimenticavo: sto lavorando alla scrittura della biografia romanzata di mio nonno Angelo Di Gregorio, dirigente del partito socialista e anche vicesindaco del mio paese negli anni ’50, il titolo della biografia (titolo provvisorio) è «Storia di un uomo resistente». E, mentre ci siamo, vorrei ricordare che la sorella di mia nonna paterna, a zi Nunziata la Jria, che ho conosciuto perché deceduta nel 1994, era una poetessa maledetta anarchica dentro, che giocava nei bar con gli uomini negli anni ’60 e ’70 e ’80 nel centro Sicilia, guidava la macchina (l’ultima era una Panda che ho utilizzato anch’io fino alla metà degli anni ’90) e trovate qualche sua traccia nel mio primo libro «Un po’ come Giufà», purtroppo ormai fuori commercio, edizioni Lancillottoeginevra.

P.S.: Per avere notizie su altri teatri resistenti: «Poveri poeti e pazzi», autoproduzioni Malanotte, che abbiamo autoprodotto con Ultimo Teatro produzioni Incivilli, e per approfondire: «Dialoghi resistenti», interviste di Luca Privitera, c’è né una anche al sottoscritto.

(*) articolo ripreso da «Fuori binario», mensile dei “senza fissa dimora” di Firenze. Qui in “blottega” altre volte avete incroiciato post di/su Angelo e le sue escursioni.

 

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