Una base militare nella Patagonia argentina

Dovrebbe sorgere nella provincia di Neuquén, mascherata da struttura in grado di intervenire in caso di disastri naturali, ma ospiterà i militari del Comando Sur Usa. La popolazione è in gran parte contraria al progetto, la cui finalità principale sarebbe quella di tutelare le multinazionali statunitensi interessate alle risorse naturali di cui è ricca la Patagonia.

di David Lifodi

No a la base yanqui en Neuquén” è lo slogan che percorre le strade della città della Patagonia argentina capitale dell’omonima provincia, ripetuto da organizzazioni sociali e mapuche, associazioni per i diritti umani, sindacati e partiti che non vogliono la costruzione di una base Usa sul loro territorio.

Secondo il Frente Neuquino sono ricominciati i lavori per l’edificazione di una base a stelle e strisce nell’ambito di un patto stipulato tra il governo provinciale, quello nazionale e l’ambasciata statunitense in Argentina, che donerebbe due milioni di dollari per supposti “aiuti umanitari” non ben precisati, ma soprattutto per la costruzione del cosiddetto Comité Operativo de Emergencias (COE). L’intera area dove sorgerà la base dovrebbe ricadere sotto il controllo della Difesa civile della provincia.

Il timore dei movimenti sociali è che la base venga presentata come luogo di coordinamento degli aiuti umanitari, ma che in realtà rappresenti un modo per nascondere le finalità militari della struttura. Alla richiesta di precisazione a proposito di cosa si intenda per aiuti umanitari, le autorità hanno risposto che la presenza della base dovrebbe essere utile nel caso in cui avvengano delle catastrofi naturali, ad esempio i terremoti, ma il Frente Nequino, di cui fanno parte circa 60 organizzazioni popolari, obietta che l’intera provincia di Neuquén non è una zona sismica.

Inoltre, la Patagonia è una terra ricca di risorse naturali ed il pensiero corre alle grandi multinazionali Usa interessate al loro sfruttamento e che potrebbero godere dell’appoggio e del sostegno degli Stati uniti e dei suoi militari.

A questo proposito, i mapuche hanno ricordato che definire la base militare come “umanitaria” rappresenta un evidente controsenso, soprattutto perché alla militarizzazione del territorio segue la conseguente violazione dei principi di sovranità e indipendenza non solo delle comunità indigene, ma di tutto il paese. Del resto, non è un segreto che gli Stati uniti siano interessati al giacimento petrolifero di Vaca Muerta, ubicato nel bacino del fiume Neuquén e dove si utilizza il fracking, una tecnica di estrazione che consiste nel fratturare la pietra con sabbia, sostanze chimiche e litri di acqua a pressione con conseguenze facilmente immaginabili dal punto di vista ambientale.

È dal 2012 che si parla di costruire una base militare Usa in Patagonia o nella Terra del Fuoco. Fin da allora si era già iniziato ad insistere con il presentare la base come avamposto medico o struttura di intervento rapido in caso di disastri naturali, ma gran parte della popolazione ha sempre espresso il proprio rifiuto.

Lo scorso 1° ottobre una manifestazione promossa dal sindacato degli insegnanti, dall’Asamblea por los Derechos Humanos e da avvocati come Natalia Olazabal, Mariana Derni, Ferderico Egea, Manano Pedrero, conosciuti per il loro impegno a favore dei diritti dei lavoratori e per la militanza ambientalista, ha riscosso una grande partecipazione, soprattutto a seguito della notizia che nella base andrebbe il Comando Sur, schierato più volte in America latina dagli Stati uniti per tenere sotto controllo il Venezuela bolivariano, la Bolivia e tutte le esperienze rivoluzionarie nel continente sudamericano.

A livello politico si è mosso il Partido Obrero, che fa parte del Frente de Izquierda y de Trabajadores – Unidad (Fit), la coalizione di sinistra a cui aderiscono anche il Partido de los Trabajadores Socialistas e Izquierda Socialista, sottolineando come siano trascorsi un paio di mesi da quando è stato interpellato il capo di gabinetto di Neuquén Sebastián González, braccio destro del governatore Gutierrez, senza però ottenere risposte soddisfacenti. Inoltre Patricia Jure, del Partido Obrero, ha ricordato a sua volta il tentativo di mascherare la base militare Usa come una presenza umanitaria nel territorio, insistendo sul fatto che gli Usa non aiutano nessun paese senza ottenere nulla in cambio. La Patagonia è infatti una zona chiave della politica estrattivista e non è difficile comprendere quali siano gli interessi statunitensi verso Neuquén e la sua provincia.

Proprio per questo, i movimenti sociali sono tonati a fare pressione sul governo argentino che, almeno a parole, spesso si richiama all’integrazionismo latinoamericano, affinché intervenga per evitare la costruzione della base. Ad essere in gioco è infatti la sovranità territoriale di Neuquén, della Patagonia e, più in generale dell’intera Argentina, le cui risorse naturali fanno gola alle multinazionali statunitensi e non solo.

I lavori per la base Usa si erano interrotti, lo scorso anno, solo per volontà degli stessi Stati uniti, ma adesso è stato proprio il governo della provincia di Neuquén a stimolarne la ripresa per condurre a termine l’edificazione della struttura, allettato dai circa due milioni di dollari promessi dall’ingombrante presenza nordamericana.

La base Usa sorgerebbe molto vicino all’aeroporto di Neuquén e favorirebbe l’attivazione di un altro progetto, quello di costruire un collegamento ferroviario con Vaca Muerta che permetterebbe l’esportazione delle risorse energetiche argentine verso gli Stati uniti.

La fortissima opposizione alla base non ha impedito di programmare già le attività al suo interno. Una volta costruita, la struttura militare dovrebbe ospitare, su una superficie di circa 600 metri quadri, una sala di coordinamento, uffici dedicati a monitorare le eventuali emergenze di carattere ambientale, un centro per ospitare gli evacuati in caso di disastri naturali e dei saloni in grado di ospitare tutto il materiale tecnico e logistico da utilizzare in caso di interventi rapidi.

Per ora, tuttavia, la maggioranza della popolazione neuquina non ha abboccato.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

Un commento

  • Michele Licheri

    …codesto articolo deve circolare. Se non altro per mettere in evidenza la vera natura dell’ideologia “del libero mercato” esportata ovunque militarmente. Mentre ai convegni G 20 etc. i potenti del mondo esibiscono il proprio passaporto ecologico a contrasto della CO2 millantando produzioni in prospettiva ecosostenibili, dall’altra si continua a condizionare, ricattare nazioni politicamente ed economicamente fragili, nonché corrotte, per depredarle delle materie prime. L’assistenza umanitaria al pari di tutte le guerre umanitarie non hanno mai portato nulla di buono. Hanno solo nascosto – e mai bene- la vera natura dell’attore muscolare che come sempre intende affermare il proprio dominio economico-militare sulla pelle degli altri: anche la Patagonia, in virtù delle proprie materie prime, e delle debolezze governative argentine, rientra negli interessi esproprianti e strategici americani. Che mai penserebbe Luis Sepulveda di tale prospettiva? Verso la Terra Del Fuoco già si levano le voci di dissenso e di opposizione: sosteniamole dando voce e visione all’opposizione india. Sabotare l’ordine mondiale imposto dalle multinazionali è un dovere morale.

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