Una Karawan è in cammino

«L’idea è nata un anno fa: invece di affrontare l’immigrazione nei soliti modi, fra il paternalista e l’allarmato ci siamo basati sull’idea che si tratta di gente normalissima, come noi. E se vuoi conoscere il tuo vicino di casa lo inviti a una festa». Claudio Gnessi del comitato di quartiere Torpignattara sta zompettando da una sala all’altra: dentro la bellissima (e poco conosciuta anche da chi è di Roma) Villa de Santis ci si agita per i preparativi di un lungo viaggio: Karawan è una festa itinerante partita il 15 novembre e che, con molte tappe intermedie, arriverà a giugno.

Nel programma si legge che «Karawan è il primo festival cinematografico (e non solo) sui temi dell’immigrazione, incontro di culture e integrazione con punto di vista e tono programmaticamente non drammatici». Infatti le rassegne «il sorriso del cinema» – prima quello arabo, poi romeno, cinese, bengalese – saranno tutte all’insegna della commedia.

«Abbiamo scelto film per la gente, non per cinefili» spiega Alessandro Zoppo dell’associazione Bianco e nero: «il nostro obiettivo è far vivere il quartiere nell’incontro». Racconta di quando è andato a portare il programma in vari call center della zona: «bello, verremo» gli dice un gruppo di giovani egiziani. «I film sono in lingua originale» sottolinea lui e i ragazzi rispondono, tra lo scherzo e il finto offeso, «meglio doppiarli, noi siamo italiani». Allora farete i sottotitoli? «Ci proveremo, è una questione di soldi. Karawan non ha sponsor, è partita grazie a una colletta internazionale on line. Non nuotiamo nell’oro».

A ogni modo – sottolineano Gnesso e Zoppo – «stiamo muovendo i primi passi e come ogni carovana dobbiamo sperimentare quel che è meglio fare». Si parte dunque: per il programma iniziale si può cliccare qui ma lungo il viaggio saliranno a bordo idee, mercanzie, cibi, musiche, storie e soprattutto persone nuove.

Strada facendo Karawanpianterà le sue tende in piazze, ville, auditorium, biblioteche, case, centri culturali, atelier, musei, bar, panifici e gallerie d’arte. A giugno il quartiere sarà invaso dai carovanieri per 10 giorni: un «Mundialito» di calcio, le Olimpiadi con gli sport delle altre tradizioni, una mostra mercato del commercio equo «ma a chilometro zero» puntualizza Gnesso «cioè prodotti realizzati qui dalle comunità presenti». Si finirà con il cinema, «proprio come nelle feste paesane di un tempo».

Il programma spiega che «Karawan è come Torpignattara: contraddittorio per natura, mutevole per necessità». Siamo nel municipio più multietnico di Roma. Il mensile «di cultura e società per i cittadini del Quadraro, Villa De Santis e Centocelle» si chiama «Altre periferie» (www.altreperiferie.it): l’ultimo numero è centrato su fatti e persone della zona ma allargando lo sguardo sul mondo, anche per riscoprirlo nelle giuste proporzioni come «la carta di Arno Peters» (cartografo berlinese) che, si ricorda qui, è diventata famosa perché – vedere per cfredere – libera la tradizionale cartografia dai vecchi imbrogli imperial-coloniali.

A condividere l’esperienza di Karawan c’è, sin dall’inizio, la casa editrice Compagnia delle lettere (www.compagniadellelettere.it) che ha sede in zona. Al banchetto dei libri si può incontrare Silvia De Marchi. Ha l’aria tranquilla ma in realtà è un pericolo pubblico. Pensate che in rete firma i suoi messaggi con questa frase: «Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: per questo viene chiamato democrazia. Qui ad Atene noi facciamo così. Qui le leggi assicurano una giustizia eguale per tutti, ma non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza. Qui ad Atene noi facciamo così. (…) Ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è di buon senso. Qui ad Atene noi facciamo così». La firma è di Pericle – «Discorso agli Ateniesi» del 461 avanti Cristo – e quell’idea di favorire i molti invece dei pochi è davvero pericolosa (per «i pochi» evidentemente).
Ecco cosa pensa la per-per, cioè pericolosa “periclese”:«Condividiamo con Karawan due idee importanti. Che per incontrarsi bisogna partire dal basso, dalle persone, e non aspettare le istituzioni. E che si può far cultura anche sorridendo». Non lo dice Silvia De Marchi ma fra i molti bei libri sorridenti e drammatici della sua casa editrice c’è anche un’antologia di racconti particolarmente significativi dei tempi che viviamo, «Miele e latte sotto la tua lingua»: qui autori e autrici – nativi, migranti o di “seconda generazione” – raccontano le cosiddette coppie miste cioè l’amore e l’eros in un Paese sempre più misto, meticcio.

Poco più in là, lo stand di Asinitas (www.asinitas.org) che si presenta come «centri interculturali con i migranti». Quel «con» invece di «per» chiarisce molto. E’ una associazione che applica i princìpi «dell’educazione attiva»

Al Pigneto, non lontano da qui Asinitas coordina diverse scuole di italiano (L2 cioè «seconda lingua») «per donne e madri straniere, rifugiati, richiedenti asilo e migranti». Solo una delle sue molte imprese: realizzazione di documentari e film, laboratori sia espressivi che manuali, un progetto di sostegno ai genitori, un archivio di memorie migranti. Varrà riparlarne alla prima occasione. Intanto è opportuno aggiungere che se Silvia De Marchi sbandiera Pericle, ad Asinitas scelgono come biglietto da visita la frase di un altro pericolo sovversivo, quel Giordano Bruno che venne bruciato a Roma perché colpevole di pensare con la sua testa. La citazione riguarda “gli asini” e non solo: «Maledetto il regno, sfortunata la repubblica, desolata la città, desolata la casa, onde è bandito, distolto e allontanato l’asino». Guai a chi non partecipa un po’ della «asinità» perché – questo è il senso – chi pensa di saper tutto è perduto. Valeva nel 1585 ma oggi persino di più.

Di salti nel tempo ne fa anche Claudio Gnessi quando spiega: «in questa zona 50 anni fa si facevano i costumi per Cinecittà, oggi i bengalesi ci portano le tecniche della loro antica tessitura: perché non fare incontrare queste due tradizioni e vedere cosa ne esce?».

Un po’ prima di 50 anni fa qui – proprio dove ora c’è Villa De Santis – c’erano catacombe, dette di sant’Elena. «Sono enormi e in gran parte percorribili ma poco note» raccontano un paio di persone del quartiere: «Furono usate come rifugi durante la seconda guerra mondiale ma noi speriamo che il prossimo anno – in occasione del 1700° anniversario dell’editto di Costantino – saranno aperte permanentemente al pubblico». C’è un motivo in più per sperare che questa parte di Roma valorizzi il suo grande patrimonio archeologico: su una zona ancora verde e senza le colate di cemento dei quartieri vicini incombe infatti la minaccia di un progetto per costruire 4mila appartamenti-alveare, proprio a ridosso di Villa De Santis. «Sarebbe il disastro» è il commento di chi abita qui.

Fra una chiacchiera e l’altra, arriva il cus-cus. E’ ancora presto per il film ma, con ogni evidenza, Karawan scalpita per partire. C’era una volta il giro del mondo in 80 giorni. Ora c’è un più affascinante giro del quartiere in 80 mondi.

BREVE NOTA

Questo mio articolo è uscito su «Corriere dell’immigrazione». (db)

 

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