Una lingua tutta da rifare

Le parole non sono neutre. Le “Letterate” di Trento lanciano l’iniziativa «Io ci sono e lo dico» perché la forma è sostanza.

Intervista di Barbara Romagnoli a Giovanna Covi.

«Noi letterate siamo profondamente convinte che la forma non sia che l’estensione del contenuto, persuase che lo stile non sia mai un fatto puramente estetico ma sempre un atto anche etico e politico, sicure che lingua e immagini in quanto materia del pensiero siano anche materia inscindibile dalle nostre azioni. Noi sosteniamo che la violenza fisica è sempre anche violenza verbale e intellettuale. E che la lingua non è mai neutra»: è un messaggio potente, inequivocabile, chiaro e comprensibile, oltre che condivisibile.

È stato scelto per introdurre l’iniziativa «Io ci sono e lo dico» promossa dalle Letterate di Trento e rilanciata dalla Società italiana delle letterate [Sil] su un tema che fatica ancora a diventare prioritario nel dibattito pubblico. È una di quelle questioni considerate roba da femministe ottuse, da donne che si fissano su dettagli considerati irrilevanti. Non è così, perché si tratta di quel sessismo tradotto in parole – quelle usate ma soprattutto quelle che esistono e che non vengono, volutamente, adoperate – che sostiene e alimenta il sessismo che si traduce poi in disuguaglianza, discriminazione, violenza.

È quindi una cattiva abitudine far finta che la lingua sia neutra. Disattendendo, fra l’altro, anche le regole elementari dell’italiano, lingua sessuata come il tedesco e lo spagnolo.

Eppure, soprattutto chi lavora con le parole cade spesso nella rete che la cultura maschilista ha intessuto. Una donna, specialmente quando assume un ruolo di rilievo, non è chiamata e rappresentata per quello che è: ministra, direttora, dottora, ecc. Le letterate, a tal proposito, fanno anche notare, che usare, ad esempio, professoressa al posto di professora, significa accettare i derivati dal maschile in -essa che sottointendono una gerarchia di potere. Il professore vale più di una professoressa.

Giovanna Covi – docente di Lingue e Letterature Angloamericane e Studi di Genere presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento – racconta come è nata l’iniziativa e spiega il senso di un prezioso invito a costruire una lingua con la quale noi donne possiamo dirci anziché essere dette e taciute.

Quali sono state le reazioni alla vostra iniziativa?
È la nostra iniziativa prima di tutto che è nata per reazione. Abbiamo reagito alle dichiarazioni esibite dalla maggior parte dei giornalisti dopo che sì è insediato il governo Monti – tutti a parlare di stile, di linguaggio, a sforzarsi di misurare le parole dopo anni di sfacelo – e la totale ignoranza di decenni di elaborazioni sul sessismo nel linguaggio. Che questa dichiarata attenzione al linguaggio potesse rendere il dovuto conto dell’emancipazione femminile, infinitamente lenta e del tutto insufficiente ma ormai visibile anche ai vertici della società italiana, si è rivelata subito un’illusione. Appena una donna ha assunto un ruolo dirigenziale è stata declinata al maschile e messa sotto un velo. Ho scritto numerose lettere alla stampa nazionale e locale e sono state ignorate. Così l’8 marzo scorso quando la Commissione Pari Opportunità della Provincia di Trento ha invitato le associazioni a presentare idee abbiamo deciso che era ora di rilanciare l’invito a contrastare il sessismo nella lingua italiana. La Commissione ha reagito bene e si è impegnata a stampare il nostro invito in forma di slogan su borse della spesa per una diffusione capillare; hanno reagito bene anche le Donne in Cooperazione [donne@cooperazionetrentina.it] che hanno fatto proprio il nostro documento invitando tutte le iscritte a curare le parole di genere, e bene ha reagito anche il segretario del Pd provinciale che ha esteso il nostro invito a tutti gli iscritti. Il resto della diffusione lo abbiamo fatto per via elettronica: in Provincia abbiamo scritto alla stampa e alle donne in politica; a livello nazionale abbiamo diffuso l’invito a fare laboratori nelle scuole tramite le socie della Società Italiana delle Letterate.
In che modo pensate di comunicarla a più persone possibile? Cosa prevede il progetto?
Siamo un gruppo piccolo, neanche una dozzina, e senza alcun finanziamento, quindi progetto è una parola grossa. Abbiamo però molta pazienza e la perseveranza non manca. A breve verranno stampate grazie agli assessorati alla Cultura e Welfare del Comune di Trento alcune centinaia di copie del pieghevole
«Io ci sono e lo dico» per una diffusione ampia e continua del nostro invito. Il contatto con il blog http://ilsessismoneilinguaggi.blogspot.it della Casa delle Donne di Pisa si è rivelato fruttuoso e contiamo di tenere alta l’attenzione insieme a loro e di fare rete a livello nazionale. Ogni giorno si incontra un’immagine o una parola che richiede la nostra cura perché le donne che ci sono possano anche essere adeguatamente rappresentate e perché possano sognare di esserci se ancora là non ci sono. Basta pensare, per esempio, al dibattito sul termine femminicidio di questi giorni. A volte a fare resistenza sono donne stesse, anche se provengono da percorsi di movimento, politica fra le donne e incontro con i femminismi. Penso a docenti che non si fanno chiamare professoressa ordinaria o associata o a Susanna Camusso, che all’inizio non ha marcato il suo essere Segretaria generale.
Cosa diresti a donne come loro, con ruoli anche di potere, per convincerle della necessità di una lingua sessuata?
È vero a volte le donne che hanno conquistato una posizione lo hanno fatto perché sono state al gioco che è sempre un gioco maschile; ancora in troppe poche sono riuscite a trovare la forza di competere e al tempo stesso cambiare l’obiettivo per cui si sono battute. Essere donna non equivale a essere femminista, lo sappiamo bene. Molte donne in carriera non lo sono, tutto qui. Credo che Camusso non sia un buon esempio; l’ho seguita con attenzione in questi mesi e mi pare una delle poche capace di resistere, si dichiara segretaria e chiama le altre ministre. Mi pare un esempio di virtuosa resistenza all’omologazione giornalistica e professorale al maschile presunto neutro universale. Mi pare che lei sia stata almeno sfiorata dal femminismo, mentre la maggior parte delle mie colleghe in accademia lo ignorano o lo contrastano. Che dire loro? Niente di nuovo, credo. Sicuramente mai smettere di dire, farci sentire, mostrare l’alternativa all’assimilazione. Ripeterci, fino alla nausea.
Avete pensato a strumenti didattici per diffondere l’idea nelle scuole, luogo fondante per la formazione del vocabolario che si usa?
Ci piacerebbe farlo ma per il momento abbiamo solo gli strumenti per offrire alle insegnanti il nostro
«Io ci sono e lo dico» e invitarle a discuterlo.
Ultima, provocatoria domanda. Non pensi che il movimento Snoq («Se non ora quando») che è anche lo slogan con cui chiudi il vostro appello, non abbia assunto fino in fondo tutto questo ragionamento sull’uso sessuato del linguaggio e che anzi sia caduto in becere distinzioni fra donne per bene/per male che sono specchio riflesso di un linguaggio sessista?
Il movimento Snoq ha grandi pregi e grossi limiti, ma credo che non aiuti focalizzare l’attenzione sui difetti di chi, in senso generale, va nella nostra direzione. Bisogna farsi sentire con voci più forti e numerose anche dentro Snoq. Io ho mandato loro il nostro documento, ho firmato i loro appelli segnalando che l’attenzione alla cultura deve includere attenzione alla lingua. Dobbiamo essere in tante a dirlo per essere ascoltate: da Snoq, dalle donne che non vogliono essere femministe e dalle ragazze che non sentono questa questione culturale come fatto politico. Dobbiamo non solo ripeterci, fino alla nausea, ma anche rinnovarci, continuare l’elaborazione e la riflessione, non abbandonare nessun campo. Dire sempre la nostra in modo che faccia la differenza, dire noialtre in modo diverso da come ci vogliono dire, riprenderci le parole le immagini e il pensiero. È faticoso ma appagante ed è l’unico modo per vivere pienamente in questo mondo.

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *