Una storia breve: il gomasio di René

di Sergio Mambrini (*)

René Lévy venne a trovare Giorgio il ventinove aprile del 1978, accompagnato da Vittorio. Era la prima volta che s’incontravano e, in un certo senso, si scrutavano anche con gli “occhi di scorta.

Dopo le strette di mano e i convenevoli di rito, si sedettero a tavola per mangiare un po’ di riso integrale lessato e condito con il gomasio. Giorgio masticò quei semplici grani con scrupolo. Sapeva di trovarsi davanti a un “maestro” e percepiva, dal suo sguardo sorridente, una valutazione di buon senso sul suo “essere davanti a lui”.

René parlava lentamente con una voce spessa e impostata. Infine sorseggiarono un tè caldo.

Furono amici. Pareva che si conoscessero già da molti anni, non da pochi minuti soltanto.

Lui alto, longilineo e leggermente ossuto. Giorgio, smilzo e baffuto, come usava tra i giovani negli anni settanta.

Lui faceva vedere senza timore la sua fronte spaziosa, che stava avanzando sulla testa. Giorgio sembrava Andy Capp, quel personaggio delle “strisce” con la visiera del berrettino piatto, perennemente calata sugli occhi.

René produsse uno dei suoi smaglianti sorrisi e con voce indiscutibilmente ferma espresse il suo pensiero, anche se il suo accento mostrava la realtà enunciata come un’apparente dissimulazione della vera natura del proprio giudizio:

  1. Il tuo gomasio non è fatto nella maniera giusta.

Capì il suo stupore e continuò a spiegargli:

  1. Devi sapere che il sesamo raccolto sui campi contiene tante sporcizie: legnetti, terra, sassolini e altre impurità. Per questo motivo bisogna lavarlo con cura. E’ un’operazione semplice ma, nello stesso tempo, complessa, se non sai come fare.

Metti il sesamo in un pentolino dai bordi alti. Poi portalo sotto il rubinetto dell’acqua. Falla scendere in modo che il sesamo si agiti come se bollisse. Chiudi l’acqua e versa velocemente i semi che nuotano nel pignattino, in un colino fitto. Ripeti l’operazione finchè ti resta sul fondo del tegame solo terra, sassi e altre impurità.

Dopo bisogna tostare il sesamo senza bruciarlo. Lo versi in una padella di ferro abbastanza larga. La metti sulla fiamma vivace, impugnando il suo lungo manico con la mano sinistra, mentre con la destra stringi un cucchiaio atermico. Meglio se anche lui ha un manico che ti consenta di restare distanziato dal fuoco. Agita avanti indietro la padella e intanto mescola il sesamo……ah, ah! Sembra facile, ma dovrai esercitarti. Attento a non bruciare i piccoli semi. E’ il loro profumo che ti convincerà della giusta tostatura. Prova a schiacciarne alcuni con l’indice e il pollice. Se si sfarinano….è fatta. Versali nel suribaki e usa la stessa padella per tostare del sale marino integrale. Ovviamente più in fretta di prima, perché il sale scoppietta quando sta per asciugarsi. Non annerirlo, altrimenti diventa tossico. E’ sufficiente che sia soltanto ben asciutto. Quest’operazione serve anche a far morire dei micro vermi che si trovano molte volte nel sale integrale crudo.

Ormai sei pronto: per una misura di dodici cucchiai colmi di sesamo aggiungine uno raso di sale asciutto. Non esagerare con il sale.

Dopo macinali insieme nel suribaki finchè saranno perfettamente mescolati e il sesamo sembrerà quasi una farina.

Questo dovrà essere il tuo gomasio. Conservalo per una settimana, non di più, chiuso in un vaso di vetro. Dopo irrancidisce. Quando invecchia non va bene.

Il gomasio va mangiato fresco. Solo così approfitti delle sue straordinarie proprietà, come condimento.

Passarono alcuni mesi, quando un sabato sera arrivò da Bologna Marcus, un caro amico di Giorgio, anche lui baffuto. L’anno precedente aveva aiutato Giorgio in una fase delicata della sua travagliata e metodica ricerca di salute. Anzi, no, si può dirlo ben chiaro, oggi, a distanza di quasi quarant’anni: a quei tempi Marcus gli aveva davvero salvato la vita e proprio il sale era stato il fulcro di tale incredibile svolta.

Quella sera mangiarono un risotto con i ceci e le aghe kombu veramente buono. Condirono ogni piatto con il gomasio che Giorgio produceva ormai con perizia raffinata. Ricordarono le stagioni passate, con reciproco orgoglio. Avevano entrambi trovato “l’alternativa” praticando le scelte importanti ma impegnative, tipiche di quegli anni mitici. Marcus se ne andò che era notte inoltrata. Si abbracciarono, ma con fare furtivo l’ospite appoggiò le sue labbra graffianti all’orecchio sinistro dell’amico, quello che conosceva meglio la sua condizione passata, e sussurrò: Stai attento al sale!

Giorgio mi raccontò questa storia breve trent’anni dopo i fatti, o forse di più. Badò a precisare, con un pizzico di nostalgia, misto ad amor proprio: E’ così che ho imparato dai “Maestri”. Ho ascoltato i loro suggerimenti, poi ho sempre fatto di testa mia.

(*) Sergio Mambrini è autore di «Fango nero» (vedi qui Cancro enfisema fumo intossicazione silicosi). Nel 2014 uscirà un suo libro di «proposte, consigli e ricette per una cucina più naturale». Questo è il suo secondo gastro-racconto in blog e rimanda ai personaggi di «Fango nero» (db)

 

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