Una vita da precario

(*) di Pietro Ratto

Attesa

Il precario della scuola vive i suoi giorni in attesa di una telefonata. E quando dice che la sua vita gli piace, non dice una verità intera: la dice solo a metà.

Tutti gli anni, a giugno, gli stessi uffici che lo avevano reclutato con urgenza gli danno il benservito e lo rispediscono a casa. Nessuno stipendio durante l’estate, nessuna speranza per l’anno successivo e un terzo dei contributi previdenziali inspiegabilmente non pagato (lo Stato che non paga i contributi?!)… Ogni estate, strisciando sul pavimento, il precario libera in fretta il suo armadietto, quello basso e scomodo che nessun collega vuole. Ancora una volta riempie la sua vecchia utilitaria di libri e compiti, salutando le bidelle che hanno già smesso di chiamarlo professore. Buone vacanze, signor X !

Il precario della scuola passa l’estate al computer. E quando dice alla gente di essere in vacanza, non dice una verità intera: la dice solo a metà.

Il suo vecchio PC è costantemente collegato al sito dell‘ufficio scolastico, che per giunta tenta di sfuggirgli cambiando continuamente nome. Provveditorato, CSA, USP, URP… Ma lui non molla, insegue ordinanze e regole ogni anno sempre più incomprensibili, lotta contro la maleducazione degli impiegati, si cerca disperatamente in graduatorie da cui inspiegabilmente sparisce una volta su due e a cui deve subito re-iscriversi, per sperare di continuare a lavorare. Passa da un ricorso all’altro. Poi scova una convocazione a sorpresa, possibilmente fissata ad agosto, quella in cui, ogni anno, migliaia di persone in attesa di una cattedra si giocano il proprio futuro.

Da lì, se riesce a strappare una manciata di ore di docenza (magari su tre scuole diverse a dieci chilometri l’una dall’altra, magari a centinaia di chilometri da casa sua), corre dai figli a far festa. Da settembre si lavora! E intanto continua l’attesa di un’immissione in ruolo che non arriva mai.

Quando c’è un concorso (in media ogni dieci anni e sempre presentato come l‘ultimo della storia), il numero dei posti disponibili resta un mistero. Così l’impanicato aspirante prof studia per mesi e, se passa l’esame, gli fanno i complimenti e lo rimandano a casa. Ed è di nuovo festa! …Dopodiché ricominciano anni di supplenze, come se nulla fosse accaduto, e molte volte l’età della pensione arriva prima del posto fisso..

In tempi di vacche magre, poi, quando i tagli del ministro creano classi che scoppiano di alunni e cattedre che non bastano nemmeno per quelli di ruolo, al supplente non resta che l’ibernazione, in attesa di giorni migliori.

Il precario della scuola passa mesi di lavoro cercando di fare una buona impressione con tutti. E quando prova a convincere i suoi alunni di essere un professore come gli altri, non dice una verità intera: la dice solo a metà.

Da tanti anni, sempre lo stesso copione. A lui va l‘orario peggiore, quello che nessun altro collega di ruolo tollererebbe mai. Tutti i giorni entrata alla prima ed uscita all’ultima ora, tutti i giorni ore buche passate a girovagare per i corridoi, perché di tornare a casa non se ne parla: in media, dista trenta chilometri dalla scuola in cui lavora. Spesso rinuncia al giorno libero, o accetta quello scartato dai colleghi di ruolo, che magari hanno meno anni di servizio di lui ma lo trattano da clandestino in attesa di rimpatrio. Per non parlare delle classi assegnategli: le più indisciplinate, le più numerose… Gran parte del suo orario è concentrata al sabato, quando i colleghi di serie A sono al mare o in montagna. Al sabato, infatti, le scuole pullulano di precari, neo-immessi in ruolo o altri scarti dell’umanità docente. Si aggirano silenziosi per i corridoi…

Non fa progetti a lunga scadenza, non esprime giudizi su libri di testo, regole, dogmi. Non fa domande, il precario. Pensa solo a contrastare la gelida diffidenza che ogni anno lo circonda, piovuto come un marziano nell‘ennesima scuola sconosciuta.

In questo modo, per decine di anni, il precario della scuola conduce la sua esistenza; senza certezze, senza ambizioni. E quando dice ai suoi figli, alla moglie o al marito, di aver fiducia nel futuro, non dice una verità intera.

La dice solo a metà.

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[*] Articolo tratto da BoscoCeduo.it

Pietro Ratto è su Facebook e su Twitter. Qui, tutti i suoi scritti “in Bottega” ed una sua biografia

Pietro Ratto
Nato nel 1965, si è laureato in Filosofia ed Informatica nel 1990 con una tesi in Intelligenza Artificiale. Dal 1995 è iscritto all'Albo dei Giornalisti. Professore di Filosofia, Psicologia e Storia, ha vinto diversi Premi letterari di Narrativa e di Giornalismo. Collabora saltuariamente con il quotidiano La Stampa e gestisce i siti "BoscoCeduo" (www.boscoceduo.it) e "IN-CONTRO/STORIA" (www.incontrostoria.it).
Le sue pagine Facebook e Twitter intitolate "BoscoCeduo" sono quotidianamente frequentate da centinaia di docenti ed alunni italiani.

I suoi libri:
- P. Ratto, "Le pagine strappate", Elmi's World, 2014
- P. Ratto, "La Passeggiata al Tramonto. Vita e scritti di Immanuel Kant", Leucotea, 2014
- P. Ratto, "Il Gioco dell'Oca", Prospettiva editrice, 2015
- P. Ratto, "I Rothschild e gli altri", Arianna editrice, 2015

Pietro Ratto è anche musicista. E' stato infatti fondatore e leader del gruppo di rock progressivo ATON'S (vedi http://www.atons.it oppure, su Wikipedia, http://it.wikipedia.org/wiki/Aton's), uno dei riferimenti più importanti del neo-progressive italiano a livello internazionale, dal 1977 al 1999, con una decina di album all'attivo.

2 commenti

  • bozidar stanisic

    gentile pietro,
    ho letto il suo scritto che mi ha ricordato gli anni passati da mediatore
    linguistico e culturale nelle scuole friulane, cioè i tempi in cui mi stupiva
    il fenomeno assurdo da lei perfettamente descritto.
    tante volte avevo collaborato meglio con dei “precari” che con c.detti
    ordinari ma non solo per questo fatto rimanevo stupito, a volte incredulo,
    per la macabra impostazione del “meccanismo”.

    e di più mi colpiva questa manipolazione con le persone
    cui la c.detta “carriera” ovvero sia – se tutto fosse normale – l’insegnamento
    giusto dipendeva più dalla carte compilate che dalla sostanza.
    poi
    restavo incredulo dopo alcuni discorsi con degli “ordinari”.
    l’uno diceva ‘è così’, l’altro ‘che fare?’, e così via (sindacalisti inclusi),
    ma zero ne sentivo di una vera solidarietà nei riguardi di chi
    veniva macinato dal “bene” del sistema.

    se proseguissi sul tema, temo che dovrei agganciarmi a marcuse,
    oppure a habermas, alla sua perfetta analisi dell'”industria della coscienza” che
    produce individui che nell’ ‘ego’ e nel ‘ratio’ vedono l’unico
    bene supremo.
    dico “temo” per non produrre delle parole laddove in realtà
    serve un salto di qualità – un risveglio della solidarietà, che cancelli
    ingiustizie (almeno) nel settore che dovrebbe essere privo di
    concorrenza e competizione assurdi.

    • Perfettamente d’accordo con lei.
      Sarei tentato di tirare in ballo l’ipotesi che “gli ordinari” abbiano rimosso la triste situazione vissuta al tempo del loro precariato… Ma temo che si tratti di qualcosa di peggio di una semplice “dimenticanza”..
      Noi, come vede, non abbiamo “dimenticato”.

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