Una vittoria storica

L’abbandono del progetto dell’aeroporto a Notre Dame des Landes è vissuto nella zona come una vittoria che riempie di gioia ma anche come una tappa della negoziazione sull’avvenire del territorio. Racconto di una giornata straordinaria

di Nicolas de La Casinière (*)

Rappresenta sicuramente una data nella storia delle lotte. La storia delle lotte sui territori, delle lotte per delle terre. Il 17 gennaio peraltro ci ha messo del tempo per iniziare. Prima delle 13 non c’era nulla o quasi. Un elicottero della gendarmeria sorvolava il boschetto, come fosse un richiamo alla individuazione di una zona percorsa da tensioni. Dei giornalisti si aggiravano come dei cani in un prato. Le mucche, che ruminavano dietro la siepe, sono indifferenti al tempo noioso dell’attesa. A quattro chilometri dal borgo di Notre-Dame des Landes, nella zona chiamata La Rolandiére, nella sala al pianterreno della biblioteca, una quarantina di zadisti, cioè degli attivisti della “Zona di sfruttamento razionale differito”, (per loro Zona da Difendere) ascoltano la radio, scalpitando nell’attesa del discorso del primo ministro. Una eccitazione molto forte, dei sorrisi ininterrotti, e questi commenti sugli scenari possibili che uomini e donne hanno tante volte messo a punto. Per alleviare l’attesa, si realizza con mezzi di fortuna una specie di striscione, da srotolare sul faro, alto come un posto di vedetta, collocato su un traliccio su un lato della casa. Si discute su cosa scriverci e alla fine si decide: “E TOC! Appuntamento il 10 febbraio”, la data della manifestazione che festeggia la fine della dichiarazione di utilità pubblica. “Ma se il progetto non fosse abbandonato?”, “Beh, non esponiamo lo striscione!” E invece alla fine lo hanno esposto.

Quando finalmente il discorso di Edouard Philippe suggella la vittoria, esplodono in urla di gioia, tutti si abbracciano, tutti sorridono fino alle orecchie, alcuni piangono di gioia. Con quattro fumogeni accessi in pugno tutto il gruppo si arrampica con lo striscione sul traliccio trasformato in faro. Un posto di osservazione che domina la costruzione trasformata in biblioteca e centro stampa. La banda ritrova la capacità di inventare slogan: “A chi appartiene la ZAD? È nostra!” e di produrre immagini come: “E uno, e due e tre a zero!” dei sostenitori delle squadre di calcio che fa sorridere i vecchi militanti contadini: “Lo vedi che i giovani fanno proprio come noi!”.

Un gruppo di zadisti prepara un altro striscione, con su scritto: Merci, per ricordare i contadini storici che hanno iniziato e tenuto in piedi le lotte a partire dagli anni Settanta. L’unità tra le diverse componenti, i ringraziamenti e gli abbracci sottolineano il rinnovato incontro tra i militanti accorsi per festeggiare l’evento. Fotografi e operatori si muovono continuamente per cogliere questi momenti di emozione, con una aggressività talvolta quasi da guardoni. Stessa confusione all’inizio degli interventi delle diverse componenti del movimento, alla Vacherit, a cinquecento metri di distanza. La massa compatta dei giornalisti stringe contro un muro i portavoce del movimento contro l’aeroporto.

“Liberate i nostri compagni!” gridano alcuni zadisti. “La ZAD, è una zona di rispetto degli altri. E si può essere in favore e rispettosi”, sottolinea un fotografo indipendente. Chi ha una macchina fotografica si fa strada a gomitate, si insultano tra di loro, non si sente più nulla. Questa confusione patetica presentata dai mezzi di comunicazione in un branco di individualisti e individualiste avrebbe proprio bisogno di un corso di formazione in autogestione, almeno tanto quanto di uno spazio per le inquadrature. Una volta che la bolgia si è più o meno sistemata, e il brusio si è un po’ calmato, si riesce a sentire: “… La necessità che gli agricoltori che sono nati nella zona e chi vi abita possano veder rispettati i loro diritti il più presto possibile. Il rifiuto di qualunque espulsione di coloro, donne e uomini, che sono venuti a viverci questi ultimi anni nel boschetto per difenderlo e che desiderano continuare a viverci e di prendersene cura. Una volontà di prendersi a carico a lungo termine delle terre della ZAD da parte di un movimento in tutte le sue diverse articolazioni – contadini, naturalisti, abitanti rivieraschi, associazioni, antichi e nuovi abitanti”.

Ph Marino Ficco

I militanti che non si sono ancora incontrati si abbracciano o inviano dei messaggi, “Abbiamo vinto!” alternato a “Quando ci beviamo sopra?”. E sempre ancora dei baci, delle braccia avvolgenti, e degli abbracci tra persone che non si sono mai sentite così vicine, così insieme, con le lacrime agli occhi. Un autista di camion passa sulla strada, il finestrino aperto, le dita a V per salutare la vittoria. Tipo di bardo con la chitarra di ogni manifestazione, Dominique Loquais ha composto una nuova canzone: “Le mani nelle mani, non abbiamo mai abbassato le braccia. Mani nelle mani, non abbandoneremo mai”, ripresa dei canti, intonati dentro il capannone da persone di ogni età e di qualunque prospettiva. “Erano quarantadue anni che sentivo questa spada di Damocle sulla testa. E ora non c’è più”, esulta Dominique Fresneau, presidente della Acipa. Ma in realtà non è finita. Ora dobbiamo scrivere la storia del futuro della ZAD”. La proiezione nell’avvenire immediato è unanime. “Questa vittoria, è una nuova tappa per rendere duraturo tutto ciò che è stato fatto qui, abitazioni, progetti agricoli, organizzazione della vita sociale – sorride Geneviève Coiffard, instancabile pilastro operaio del coordinamento degli oppositori”. “È necessario che questo continui a essere un laboratorio di esperienze basate sugli scambi tra persone”, dice una vicina arrivata nel 1983, quando il progetto era stato un po’ dimenticato, un fantasma vagamente minaccioso.

Sulla strada ingombra di auto, nel locale davanti al capannone agricolo dove si sono tenute così tante assemblee, ci si scambia dei “Grazie, grazie… Grazie molte, ma in realtà è un ringraziamento collettivo. È la diversità che ha vinto!”.

“Con la commemorazione del Maggio 68, Macron ha una opportunità da cogliere, quella di lasciare esistere la ZAD come una Zona di utopia in marcia”, si lascia sfuggire Christophe Dougè, consigliere regionale EELV. Una idea che seduce l’antico scaricatore del porto Gilles Denigot, e che la suggerirà al suo amico Dany Cohn-Bendit, il quale viene ascoltato da Macron, in particolare in queste ultime settimane sul tema di Notre-Dame des Landes. Gilles Denigot pensa perfino che Macron abbia fatto una mossa di strategia locale e di calcolo politico, giocando di anticipo rispetto alle prossime elezioni municipali del 2020, nella speranza di poter riconquistare due grandi città, Nantes e Saint-Nazaire controllate da un Partito socialista che ha portato avanti il progetto di aeroporto e che questa sconfessione ha destabilizzato ancora di più. Figure del movimento, l’antica eletta Francoise Verchère, non aspetta che il momento di poter esprimere davanti ai microfoni la sua “mescolanza di gioia, di sollievo, di emozione e di sfinimento, dopo una lotta irragionevolmente lunga. Spero che ciò permetterà una riflessione critica sulle metodologie delle decisioni pubbliche. Io sono arrivata a pensare che i sostenitori del progetto facessero parte di quell’infima parte di francesi che credono che la terra sia piatta. Per opporsi alle loro argomentazioni, siamo stati obbligati a fare qualunque cosa, parlare della resistenza dei materiali, delle tecniche aeroportuali, di geologia, architettura, diritto… Un lavoro che non è stato certo una passeggiata. Siamo quasi arrivati a dover pilotare un aereo…. Spero che a partire da tutto ciò non sarà più possibile ‘sistemar’ distruggendo. Il Primo ministro non ha parlato né di espulsioni né di evacuazioni. Abbiamo un po’ di tempo per discutere della fase di inizio del futuro”.

Le regolamentazioni e i margini di tolleranza nei negoziati relative alle esperienza agricole in corso hanno senza dubbio tutto l’inverno per precisare le loro aree di accordo con le istanze amministrative ufficiali.

Ph Marino Ficco

Ma il futuro immediato ha un nome in codice: D281, dal nome della strada dipartimentale che attraversa la ZAD, tre piccoli chilometri e mezzo, chiusi dalle amministrazioni nel 2013. “Le baracche che occupano parte della strada devono essere evacuate, gli ostacoli ritirati, la circolazione ristabilita. Se ciò non avverrà, le forze dell’ordine procederanno alla operazioni necessarie”, ha detto Edouard Philippe nel corso del consiglio dei ministri.

Questo ‘percorso a ostacoli’ che i gendarmi avevano soprannominato ‘La strada Mad Max’, costituisce una immagine ben definita delle volontà di un ritorno molto visibile alla normalità. Ciò vuol dire una riapertura alla circolazione, senza buche nell’asfalto ne restringimenti della carreggiata. I nuovi abitanti delle baracche ai suoi lati sperano tuttavia di poter restare, di ottenere dei dorsi d’asino e delle limitazioni di velocità e di conservare le tracce di questa decorazione dei resti delle barricate, delle carcasse di auto riempite di terra dove l’erba ha cominciato a crescere. Più in generale, il movimento (contadini, Acipa, coordinamento, zadisti) non vuole perdere tutto per questo solo simbolo. “Il movimento si impegna a rispondere lui stesso a questa richiesta per evitare un intervento della polizia che non farebbe che avvelenare la situazione”.

La spinta urgente è quindi diretta a pervenire ad un accordo pacifico tra gli occupanti del bordo della strada e le diverse componenti del movimento. “Malgrado le nostre differenze di organizzazione, che spesso non sono delle divergenze, siamo riusciti a non frammentarci durante tutta questa lotta. Io sono veramente contenta di aver vissuto questo momento di costruzione e di ricomposizione”, sottolinea una zadista piena di fiducia.

“Questa sera si farà festa, ma da domani abbiamo una Assemblea Generale dalle 10 della mattina, per parlare delle utilizzazioni, degli impegni immediati, come pensiamo insieme che dovrebbero diventare i terreni ceduti per il progetto”, confida un altro zadista. Siamo pronti ad entrare in una fase di negoziazione, a discutere dei progetti in un contesto ufficiale o fuori di contesto, dei luoghi occupati che saranno in tal modo riconosciuti come legittimi, poiché il governo ha stabilito che la resistenza è stata legittima e ha contribuito all’abbandono del progetto….”. Mercoledì sera, in ogni caso, senza discussioni: abbiamo fatto la festa!

(*) Pubblicato su Reporterre.net il 19 gennaio e ripreso da Comune-info

Traduzione di Alberto Castagnola.

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