Brasile-Corsera: rappresentazioni pericolose degli Yanomami

Lettera aperta di Survival International al Direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana

di Francesca Casella (*)

 

 

Egregio Direttore,
abbiamo letto l’articolo pubblicato sul Corriere della Sera lo scorso venerdì 12 febbraio dal titolo “Covid, la variante brasiliana sta sterminando gli Yanomami”, a firma di Sandro Modeo.
Se da un lato il pezzo dà finalmente spazio alla tragedia in corso nel territorio yanomami, in Brasile, dall’altro lato purtroppo rappresenta gli Yanomami riprendendo stereotipi e luoghi comuni a cui riteniamo che il maggior quotidiano nazionale del nostro paese non dovrebbe dare credito.
La descrizione razzista degli Yanomami presente nell’articolo ci ha davvero stupito. Simili descrizioni sono anche pericolose perchè vengono utilizzate ancora oggi per alimentare e giustificare il genocidio dei popoli indigeni, in Brasile e non solo.
La invito a leggere la lettera che le inviamo in allegato, in cui abbiamo riassunto i punti più problematici dell’articolo chiarendo perché è così importante fornire una descrizione scientificamente e storicamente accurata degli Yanomami, e dei popoli indigeni più in generale.
Invieremo l’articolo anche alle organizzazioni yanomami e ad antropologi che, ne siamo certi, avranno le loro opinioni e reazioni, di cui vi terremo al corrente.
A questo proposito, le saremmo grati se potesse pubblicare la nostra lettera o dare spazio sul Corriere a un articolo di risposta scritto da chi collabora con gli Yanomami da moltissimi anni, o dagli Yanomami stessi.
Le prego, infine, di voler impegnarsi a garantire che d’ora in poi il Corriere della Sera eviterà in futuro di contribuire ad alimentare pregiudizi sugli Yanomami, e su tutti i popoli indigeni.
Resto a disposizione per ulteriori informazioni.
Grazie per l’attenzione.
Cordialmente,
Francesca Casella
Direttrice per l’Italia Survival International (Italia)
LA LETTERA
Egregio Direttore Fontana,
abbiamo letto l’articolo di Sandro Modeo pubblicato sul Corriere della Sera venerdì 12 febbraio dal titolo “Covid, la variante brasiliana sta sterminando gli Yanomami”. Se da un lato il pezzo dà finalmente spazio alla tragedia in corso nel territorio yanomami, dall’altro lato – purtroppo – rappresenta gli Yanomami riprendendo stereotipi e luoghi comuni a cui riteniamo che il maggior quotidiano nazionale del nostro paese qual è il Corriere della Sera non dovrebbe dare credito.
Nell’articolo si legge, infatti, che gli Yanomami sono “molto prossimi, per tanti tratti, alle comunità di cacciatori-raccoglitori precedenti la rivoluzione neolitica del 10.000 a.C.” e che “a lungo si è discusso – e si discute tuttora – sulla loro alta aggressività che trasparirebbe da rapporti intertribali scanditi da pratiche ‘omeriche’ (uccidere gli uomini, rapire le donne) e da una prole (anche le femmine) addestrata da subito a una sorta di violenza anaffettiva”.
Definire gli Yanomami come prossimi alle società neolitiche è scientificamente falso e dannoso.
Gli Yanomami, così come tutti i popoli indigeni, sono contemporanei e moderni esattamente come noi: anche loro, come ogni società umana, si sono evoluti e adattati a un ambiente in continua trasformazione. I loro stili di vita sono altrettanto sofisticati, anche se diversi dai nostri.
Ciò nonostante, simili stereotipi razzisti vengono utilizzati ancora oggi – da parte di governi e aziende – per giustificare le violazioni dei loro diritti fondamentali e la loro assimilazione forzata alla società dominante nel nome dello “sviluppo” e del “progresso”.
Anche attribuire agli Yanomami una propensione all’aggressività, una “violenza endogena”, è sbagliato e pericoloso perché veicola gravi violazioni dei loro fondamentali diritti umani.
Come si accenna nell’articolo, simili idee sono tutte riconducibili agli studi dell’antropologo statunitense Napoleon Chagnon, le cui tesi sono già state ampiamente criticate e screditate sia dal mondo accademico sia dagli Yanomami stessi e da stimati esperti di cultura yanomami (a questo link trova una raccolta). Queste rappresentazioni false hanno avuto conseguenze dannose e di lunga durata per la tribù: per due decenni, ad esempio, i militari brasiliani le hanno utilizzate per negare agli Yanomami i diritti territoriali. Ancora oggi, descrizioni come quelle presenti nell’articolo vengono usate per alimentare il genocidio dei popoli indigeni, in Brasile e non solo.
La invito a leggere sul tema un articolo del nostro Direttore generale Stephen Corry pubblicato sulla prestigiosa rivista di antropologia dell’ANUAC (Associazione Nazionale Universitaria Antropologi Culturali).
Inoltre, le consiglio di leggere il libro scritto dal leader e portavoce Yanomami Davi Kopenawa, “La caduta del cielo”, per una testimonianza in prima persona della vita e del pensiero yanomami. Tra l’altro, Davi è stato proprio recentemente eletto all’Accademia delle Scienze del Brasile.
Infine, non abbiamo potuto fare a meno di notare come nell’articolo la ragione dell’attuale
diffusione del Covid-19 tra gli Yanomami sia attribuita, oltre alla negligenza del governo sul piano sanitario, alla “promiscuità della vita quotidiana” e alla “totale assenza di profilassi igienica” degli Yanomami. In realtà, una delle principali ragioni del contagio – oltre alla negligenza, e alla complicità, del governo brasiliano – è l’invasione del loro territorio da parte di 20.000 cercatori d’oro illegali che, oltre a distruggere la foresta, hanno introdotto e continuano a diffondere la malattia.
Gli Yanomami e gli Ye’kwana hanno recentemente pubblicato su questo un rapporto
dal titolo “Xawara – il cammino mortale del Covid-19 e la negligenza del governo nel territorio Yanomami”.
La stessa petizione da 430.000 firme promossa dagli Yanomami che viene citata nell’articolo chiede proprio al governo brasiliano non solo di implementare un piano di emergenza per contrastare il Covid-19 (come viene spiegato), ma anche di sfrattare con urgenza gli invasori dal territorio. Come capirà, è assolutamente fuorviante non dare il giusto risalto a questo aspetto.
Infine, ci teniamo a sottolineare che la ventennale campagna internazionale che portò, nel 1992, al riconoscimento del Territorio Indigeno Yanomami non può essere definito “un successo molto parziale”: il territorio è oggi la più grande area di foresta sotto controllo indigeno al mondo, e la conoscenza scientifica degli Yanomami e il loro modello di conservazione di questa zona ad altissima biodiversità sono di cruciale importanza nella lotta per mitigare gli impatti dei cambiamenti climatici. Inoltre, cosa ancora più cruciale, senza quel riconoscimento dei loro diritti territoriali gli Yanomami non sarebbero sopravvissuti agli assalti esterni dell’epoca recuperando
poi, via via, le perdite demografiche subite. Come in molti paesi del mondo, la periodica
invasione illegale delle terre indigene non è un fenomeno inevitabile e inesorabile, bensì il frutto di una precisa e criminale inerzia delle autorità governative, da condannare senza mezzi termini.
Spero comprenda quanto sia importante fornire una descrizione scientificamente e storicamente accurata degli Yanomami e dei popoli indigeni in generale. Le saremmo grati se potesse pubblicare questa lettera come replica o, ancora meglio, dare spazio a un articolo scritto da chi collabora con gli Yanomami da moltissimi anni, o dagli Yanomami stessi.
Restiamo a disposizione per chiarimenti e approfondimenti.
Grazie per l’attenzione.
Cordialmente,
Francesca Casella
Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

2 commenti

  • Giorgio Chelidonio

    “Cacciatori-raccoglitori” non è una definizione degradante ma la strategia che ha permesso all’umanità di sopravvivere anche all’ultima glaciazione e di espandersi in tutte le nicchie ambientali del pianeta, pur mantenendo un certo equilibrio naturale uomo-ambiente. La nostra è stata e resta una specie predatoria che ha esercitato questa caratteristica verso le altre e, spesso, in forme intraspecifiche. Se vogliamo collocare le radici della crisi climatica e demografica attuale possiamo individuarle nel passaggio alle strategie di coltivazione/allevamento avviate “solo” 10.000 anni fa: la strategia del “taglia e brucia” (spesso praticata anche dalle ultime etnie che ancora vivono di caccia-raccolta) è all’origine della progressiva antropizzazione dei paesaggi e il conseguente impoverimento e degrado degli ecosistemi ormai sempre più insostenibili. E, del resto, neppure i nativi delle foreste tropicali non sono più pre-neolitici in quanto vivono di silvicoltura, peraltro mantenendo un equilibrio necessario alla loro sopravvivenza. Insomma questo tipo di giornalismo altro non è che il diretto discendente del darwinismo sociale colonialista.

  • La questione è più complessa e ultradatata di quanto possono fare reportage di quotidiani o riviste. Per parlare in modo serio degli Yanomami, oltre a conoscerli, bisognerebbe avere dei rudimenti di antropologia, in quanto per alcuni aspetti si tratta del popolo indigeno più “primitivo” esistente, sicuramente in Amazzonia. Anche dissertazioni apparentemente tecniche nascondono, specie in Brasile, elementi di schieramento politico, in quanto le terre Yanomami, per loro immensa sfortuna, si trovano da sempre sopra miniere di minerali preziosi, oro in particolare e gli interessi in gioco e la corruzione esistente sul tema sono enormi. Parecchi degli elementi citati negli articoli sono datati, risalgono a diversi decenni orsono, a supposti studi di antropologi stranieri, in particolare USA, i quali avevano dipinto questo gruppo indigeno come un popolo addirittura di cannibali, prendendo spunto da alcuni rituali relativi al modo di onorare e celebrare i loro morti. Sarebbe troppo lungo sviluppare il discorso qui, in un commento. Per eventuali interessati rimando alla bibliografia sul tema, in particolare al mio libro “A barriga morreu, il genocidio Yanomami”, 1991, Ed. Sonda Torino, ancora disponibile su internet

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